Il 12 agosto scorso, a conclusione del Cammino per la pace e il disarmo da Maresca a Sant’Anna di Stazzema, via Montefiorino, si è svolto, nel piazzale antistante la chiesetta di Sant’Anna, un incontro pubblico dal titolo “Una via per la pace. Subito”. Ad esso hanno partecipato, tra gli altri, Mario Primicerio, ex sindaco di Firenze, e Simone Siliani, direttore della Fondazione Banca Etica. Quella pubblicata di seguito è la prima parte dell’intervento svolto in quella sede da Lorenzo Guadagnucci; la seconda parte seguirà nei prossimi giorni. (la redazione)
Non amiamo granché le ricorrenze, gli anniversari, le cerimonie, ma torniamo ogni anno a Sant’Anna di Stazzema perché pensiamo che questo luogo, dove quasi 400 persone furono trucidate nell’arco di poche ore la mattina del 12 agosto 1944, sia una delle capitali morali della nostra repubblica, nata da un progetto politico antifascista ben consapevole degli orrori della seconda guerra mondiale. Questo è un luogo di ispirazione che può aiutare nella riflessione e nella comprensione del nostro tempo, tanto più oggi, con la guerra che è tornata sul suolo europeo e non accenna a placarsi, tutt’altro. Proprio l’Europa, intesa come l’Unione formata da 27 stati del continente, la sta alimentando con le sue scelte, invece di svolgere un ruolo di mediazione e pacificazione, come sarebbe nelle sue corde, nell’atto stesso della sua fondazione. L’idea di un’Europa federale, non dimentichiamolo mai, ebbe come suo embrione il Manifesto di Ventotene, concepito nel 1941 da prigionieri politici del fascismo e mentre la guerra ancora infuriava; era un progetto che colpiva al cuore la matrice nazionalista dei fascismi e si proponeva di pacificare il continente, origine e teatro di due devastanti carneficine mondiali, come dovremmo chiamare le due grandi guerre del Novecento.
L’Europa, fomentando la guerra in Ucraina anziché lottare per fermarla con gli strumenti della politica e della diplomazia, sta dunque tradendo sé stessa. Non possiamo accettarlo e vogliamo quindi prendere parola, proprio da questo luogo, per invocare un immediato cessate il fuoco, per chiedere ai governi europei e alla stessa Unione europea di cambiare rotta e tornare lungo il percorso indicato dal suo atto di nascita; l’Europa deve tornare a battere il terreno definito dalla sua vocazione originaria.
A Sant’Anna di Stazzema, cercando un dialogo coi morti sepolti sotto questa terra, molti dei quali rimasti senza tomba e anche senza nome, abbiamo compreso meglio che cos’è davvero una guerra e anche perché, in simili contesti, si arriva a compiere stragi di civili. In questo luogo si è ucciso con brutalità senza alcun riguardo e senza alcun rimorso; si sono usate bombe e mitragliatrici, si è appiccato il fuoco alle case e ai cadaveri e i corpi sono stati abbandonati a terra: si è agito in questo modo perché erano vite di scarto, persone di seconda classe, persone che non contano. Così viene trattata in guerra la vita dei nemici, non importa se militari o civili, e forse i secondi sono meno rispettati dei primi.
Pochi anni fa un artista torinese, Carlo Molinero, portò qui a Sant’Anna una sua installazione dedicata “Aux frères migrants mort en mer”, ai fratelli migranti morti nel Mediterraneo. L’opera nasceva dalle assi di una vecchia botte: Carlo le aveva dipinte e poi piantate in terra, a poca distanza una dall’altra, in un luogo simbolico di questo posto, le stalle della Vaccareccia, una delle frazioni di Sant’Anna, dove furono trucidate circa 70 persone. Ogni asse, nel progetto dell’artista, rappresentava uno dei genocidi commessi nella storia dell’umanità, e tutte insieme, in quella piccola folla di assi piantati sul selciato delle vecchie stalle diroccate, ricordavano il genocidio in corso in Europa in questi anni, un genocidio politico, voluto dalle democrazie del continente con la loro politica di chiusura delle frontiere, la politica del lasciar morire: il genocidio dei migranti. Il ricordo di una guerra e delle vite di scarto del ’44 ci permetteva e ci permette di inquadrare i fatti e le responsabilità del presente: il Mediterraneo trasformato nel più grande cimitero d’Europa, dove si muore per scelta politica, quindi con la nostra indiretta responsabilità di cittadini europei. I governi che decidono di lasciar morire e sono quindi all’origine del genocidio in corso, vengono eletti per via democratica; ma possiamo ancora chiamare democratici dei governi, dei parlamenti che prendono decisioni del genere? È una domanda che dobbiamo porci, se vogliamo dare un senso al concetto di memoria e se vogliamo onorare il dialogo con i morti che qui, quasi ottant’anni fa, hanno perso la vita. Dobbiamo rompere il muro dell’ipocrisia e dire chiaramente che non ha senso, non è accettabile ricordare la strage del ’44, commemorare con dolore e indignazione la crudeltà nazifascista di allora e intanto permettere che altre vite di scarto siano abbandonate in fondo al mare nel mare Mediterraneo.
Un giornalista, Maurizio Pagliassotti, in un suo libro reportage lungo la rotta balcanica (La guerra invisibile, Einaudi, 2023), a un certo punto riflette su come le persone in cammino verso l’Europa vengono trattate e si dice che in realtà queste persone, che lui ha incontrato, conosciuto, spesso ammirato, non sono, agli occhi delle autorità europee, dei semplici migranti, cioè persone in viaggio in cerca di nuovi spazi di vita, sono piuttosto dei nemici; solo così si spiega la crudeltà delle scelte compiute. La verità dunque è che siamo in guerra e quelle persone in movimento sono i nostri nemici. E così il giornalista le chiamerà nel resto del reportage: nemici. Un atto di drammatica chiarezza. Quindi giù il velo dell’ipocrisia e allontaniamo da noi anche la consolante versione delle scelte compiute “non in nostro nome”: il dissenso individuale non basta; di fronte a questa angosciante deriva delle “democrazie” europee abbiamo il dovere di agire collettivamente per cambiare questo ordine le cose. Che è insopportabile.
Ecco dunque che cos’è la memoria: una bussola che orienta nel presente e un potente carburante per spingere all’azione. Non bastano la commozione, l’omaggio ai caduti, il ripudio del fascismo e del nazismo: serve molto di più, se ancora vogliamo salire a Sant’Anna e riflettere con onestà e rispetto sull’estate del ’44, sulle guerre, sul principio di dignità della vita umana affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani all’indomani della seconda carneficina mondiale. Non possiamo tollerare, in questo posto, la retorica fine a sé stessa e tanto meno l’indifferenza. Da qui osserviamo con più chiarezza il mondo che ci circonda: non solo la guerra non dichiarata ai migranti, ma anche la guerra in corso in Ucraina, la convitata di pietra di questa giornata di commemorazioni, a malapena evocata nei discorsi ufficiali e solo per confermare la linea ufficiale dell’establishment politico, militare e mediatico di questa infelice stagione storica: armare l’Ucraina, combattere ancora, senza dire una parola sulle conseguenze, sulle vie d’uscita, sui limiti – se ve ne sono – di questa guerra che si dichiara di voler vincere, pur al cospetto di una potenza nucleare. Perciò, a fronte di questa prevedibile elusione, spinti dal desiderio di capire meglio e agire con più efficacia, a conclusione della nostra Camminata per la pace e il disarmo abbiamo sentito il bisogno di ragionare pubblicamente di concrete strategie di pace sulla piazzetta davanti alla chiesa, nel punto dove furono massacrate circa 150 persone.
La foto in homepage è stata scattata il 14 dicembre 1944 a Sant’Anna di Stazzema, di fornte a una fossa comune dove erano sepolte 150 persone, da un militare dell’esercito statunitense.
D’accordo su tutto, Lorenzo, ma per il momento manca, e a Sant’Anna di Stazzema è sempre mancata, una seria e approfondita ricerca anche sulla memoria di altri eccidi, commessi nel tempo da truppe italiane e civili italiani in terre lontane e, in particolare, in Libia, Grecia, Albania, Somalia, Eritrea, Etiopia. Gli eccidi sono frutto di guerre e fonte di altre guerre. Il movimento per la Pace italiano dovrebbe fare i conti anche con i crimini perpetrati da italiani in suolo nazionale e straniero.
Grazie per lo spazio.