“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.” scriveva Antonio Gramsci dal carcere. E credo che questa considerazione aiuti a capire anche la situazione del mondo in questo momento cruciale.
Nessun punto di riferimento, nessuna prospettiva concreta. L’Occidente identificato con e/o succube degli Stati Uniti, che di fatto sono la maggiore minaccia alla pace mondiale: come dice il politologo inglese Richard Sawka: “l’esistenza della Nato si giustifica col bisogno di gestire le minacce provocate dal suo allargamento.” Per convincersene basterebbe ripercorrere l’ impressionante elenco delle guerre della Nato, tutte senza la necessaria autorizzazione delle Nazioni Unite, quindi illegali, redatto dallo storico svizzero Daniele Ganser nel suo Le guerre illegali della Nato, Fazi. Dello stesso autore è illuminante e documentata con precisione elvetica anche la Breve storia dell’Impero Americano, Fazi: due libri che, pour cause, non mi sembra abbiano avuto molta risonanza in Italia e che invece andrebbero letti “in tutte le scuole di ordine e grado” come si diceva una volta. E soprattutto, se non fossero generalmente in malafede, dai nostri giornalisti.
Di fatto l’ordine mondiale non è più, per quanto possibile, controllato e difeso dall’ ONU ma deve organizzarsi secondo il modello atlantico e le regole stabilite dagli USA: forze americane sono nel 70% dei paesi mondiali; le basi militari americane all’estero sono oltre 800… E le multinazionali, con le loro referenze planetarie, hanno in mano il destino di buona parte dell’umanità.
In Europa passo dopo passo stanno prevalendo le forze di destra, la sinistra non ha più riferimenti reali nella società e quindi nemmeno concretezza politica. La sensazione è di non avere più punti di riferimento: si procede un po’ a caso, o a tentoni nel vuoto. I più allegri come la Vispa Teresa, i più depressi come il grande Bartali: “gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”. Le certezze o le speranze e le passioni di un tempo non ci sono più, spesso perché ormai obsolete o superate e smentite dal procedere della storia. Tutte senza agganci, concreti e realistici, a una possibile prassi. Non ci sono più nemmeno le “passioni tristi” descritte qualche anno fa in un bel libro di Miguel Benasayag e Gérard Schmit.
Ed è proprio il vuoto davanti e intorno a noi che è pericoloso e fa paura. Per i molti depressi che procedono smarriti a tentoni o a caso c’è sempre qualcuno più svelto che prima o poi riempie purchessia lo spazio rimasto libero: è questo forse il vero pericolo. Ovviamente non è un problema solo italiano: la sensazione è che in generale la grande colonia americana chiamata “Europa”, spaccata al suo interno da interessi particolari e sovranismi, galleggi come un sughero sulle onde di un mare in tempesta. O balli su una mattonella, come usava nelle balere di una volta, e quindi resti sostanzialmente immobile. E se nell’afasia e nello scirocco, che nonostante una guerra alle porte e impaziente di allargarsi soffocano ogni iniziativa, nascesse un qualche debole guizzo, un sussulto vitale, questi si perderebbero nel vuoto, come le stelle cadenti in agosto. A volte sembra di essere tra tanti Estragon e Vladimir in attesa di Godot.
Circondati però da eserciti forsennati: ormai ci siamo assuefatti ad armate di volontari assassini, come ai tempi di Giovanni dalle Bande Nere o di Francesco Sforza, antenati di Prigozhin e della sua banda Wagner. Difficile individuare vie d’uscita: in una società depressa e spappolata come quella attuale, almeno da noi, e soprattutto nell’area che un tempo si diceva “di sinistra”, cioè con riferimento ai valori per lo meno di solidarietà e per quanto possibile di uguaglianza, è difficile fare massa. L’apericena e lo sniffo hanno sostituito i raduni e le discussioni; e le ore perse a chattare giorno e notte non consentono gli incontri diretti e i capannelli d’antan. Forse la mia è soltanto la nostalgia di un vecchio che farfuglia dei suoi tempi andati. Penso però che ci si debba sforzare di trovare e sperimentare nuove forme di socialità e soprattutto di impegno politico. La tecnologia e l’internazionalizzazione non consentono più i raduni, la fisicità, le lotte del passato: manca proprio la materia prima. Ed è difficile opporsi a poteri spesso globali che possono spostarsi ovunque gli faccia comodo, utilizzando, talvolta fino allo schiavismo, la mano d’opera là dove è più conveniente. E anche per questo l’opposizione allo sfruttamento e all’ingiustizia sociale è sempre più flebile e spesso impotente o ricattabile. L’impressione comunque è quella dello spappolamento di una parte di mondo, l’Occidente, che sta disfacendosi e che si muove un po’ alla cieca, come un toro tormentato dalle banderillas.
Non riesco a immaginare come si possa uscire da questa confusa impotenza: l’impressione è che ormai la valanga sia partita, pochi vogliano fermarla e comunque quei pochi volonterosi non sappiano come farlo. Tutto si è sfarinato, la confusione è grande sotto il cielo, ma contrariamente a quanto affermava il Grande Timoniere la situazione non è affatto eccellente. Da noi tutto si sta sbriciolando in una grande nube di polvere, mentre il continente africano, già martire dell’ uomo bianco, è devastato da violenze, carestie, corruzione e con la forza della disperazione sacrifica i suoi giovani in naufragi e respingimenti. E i pochi che riescono a sbarcare diventano carne da macello per gli sfruttatori, il caporalato, la malavita.
E il Che fare? resta senza risposta per impotenza e confusione. A volte sembra che l’Occidente, panciuto e superbo, cammini a occhi bendati sul trampolino di una piscina senz’ acqua, come Mr Bean.
Che fare? Forse può essere utile la “cultura” contadina : continuare a seminare sperando in un’ annata migliore.
La Vita è più forte. Nasce e rinasce, magari diversa. La ns società è decrepita , deteriorata da una democrazia zoppa che non sa come cambiare perché essa stessa idra da mille teste e quindi mille voci che urlano. Io non permetto che queste uccidano in me la speranza di un ritorno dell’intelligenza buona, attenta al vero uomo animale sociale, quindi atteto uno verso l’altro. Non sono genio letterario e quindi non riesco ad esprimere meglio il mio pensiero. Credo nell’ironia verso se stessi e verso i cosiddetti potenti, perché questa ti fa vivere sorridendo. Suvvia, animo: osserva il sorriso di un bimbo, lo sguardo di una madre, quello di due innamorati, una pianta di cappero sulle vecchie mura e ancora ancora e dimenticherai la stupida arroganza, il disordine delle nostre città, la volgarità di questo nostro tempo troppo ricco di parole e povero di pensiero.
Con amicizia.