“Senza casa, senza futuro”: universitari e non solo

Volerelaluna.it

26/06/2023 di:

È passato oltre un mese dall’inizio della protesta degli studenti contro il caro affitti che, iniziata piazzando una tenda di fronte all’università e mettendosi a dormire lì, si è allargata a molte città d’Italia (Milano, Roma, Cagliari, e poi anche Torino, Firenze, Pavia). La prima a farlo è stata la studentessa Ilaria Lamera, che il 4 maggio ha piantato la sua tenda fuori dal Politecnico di Milano: «I costi di Milano non permettono a studenti con famiglie normali alle spalle di prendere stanze in affitto» – ha detto in un’intervista a Repubblica –. «Io avevo trovato singole da 700 euro spese escluse, non potevo permettermele». Lo slogan della protesta è stato: “Senza casa, senza futuro” (Valigia Blu, 12 maggio 2023). Sintesi perfetta del mancato accesso al diritto alla casa. A quasi due mesi di distanza è utile fare il punto sulla situazione, anche per rompere la coltre di silenzio che, in larga misura, è calata sul tema.

In Italia nel 2022 risultavano esserci poco meno di 600 mila universitari che studiano in una provincia diversa da quella di residenza, ovvero circa un terzo degli studenti universitari complessivi, contro una media europea di due terzi. Il numero di alloggi pubblici però è ancora troppo basso: in Italia arriva poco sopra i 50mila, meno di un terzo rispetto a Francia e Germania, rispondendo solamente a circa il 20% della domanda potenziale. Una ricerca di Eurostudent mostra che nel nostro paese solo il 5% degli studenti universitari vive in uno studentato pubblico, contro una media europea del 18%.

La carenza di una efficace rete alloggiativa pubblica favorisce i fenomeni speculativi del mercato locatizio nelle “città universitarie”. L’ultima rilevazione di Scenari Immobiliari sul primo trimestre 2023 mostra che, a Milano, il costo medio per una stanza singola ha raggiunto gli 810 euro al mese. Seguono Roma con 630 euro, Venezia (580), Firenze (570) e Bologna (530). Poco sotto i 500 euro si trovano Torino, Verona e Padova (480 euro al mese in media per una stanza). Tutto ciò si rivela determinante per l’aggravarsi del fenomeno dell’abbandono del percorso degli studi. A tal riguardo, è importante evidenziare quanto riportato da www.corriereuniv.it il 28 febbraio 2022: «Il nostro Paese deve colmare il divario del numero degli studenti universitari: in Europa, sono complessivamente 17,5 milioni, con la Germania che vanta un 17,9 % di laureati, seguita dalla Francia (15 %) e dalla Spagna (11,7 %). L’Italia e la Polonia, invece, sono in fondo alle classifiche europee con percentuali del 10,8 % e dell’8,5%. Solo il 17 % della nostra popolazione, peraltro, raggiunge un titolo di istruzione universitario, contro il 33% della Francia e il 40,1% del Regno Unito. Va osservato, inoltre, che il declino della spesa in istruzione in Italia è avvenuto in modo più repentino rispetto ai cambiamenti demografici. Se gli investimenti nell’istruzione sono calati del 14%, in rapporto alla ricchezza pro-capite, la popolazione degli studenti si è contratta del 2,3 % e questo dimostra che il livello del calo delle risorse investite non è giustificato dal calo delle nascite e del numero degli iscritti». Tra i dati consultabili su www.cnvsu.it particolare rilievo hanno quelli relativi al tasso di abbandono. Più di uno studente su dieci abbandona l’università. Al Sud si arriva al 15%: tra il primo e il secondo anno lascia gli studi universitari il 21,3% degli studenti, da un massimo di 31,7% della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali ad un minimo di 2,2% di Medicina e chirurgia.

A proposito dello sbandierato fondo previsto nell’ambito del PNRR, pari a 660 milioni di euro, oggetto di una vergognosa operazione propagandistica del Governo e a tutt’oggi bloccati, Federica Laudisa (ricercatrice dell’Ires Piemonte) afferma: «Manca una clausola per cui, ipotizzo, almeno il 60% dei posti siano concessi agli studenti borsisti fuori sede, a tariffe calmierate. Il problema è che non c’è una clausola che imponga agli operatori privati di assegnare posti agli studenti che appartengono a famiglie non avvantaggiate economicamente. O saranno apportati correttivi, oppure non si comprende la ragione per cui il fondo è dato ai privati che già investono nel settore. Dovrebbero essere finanziati gli operatori privati se il pubblico ne ha un vantaggio. Ma se non c’è un “ritorno pubblico”, non se ne comprendono le ragioni» (il manifesto, 17 maggio 2023).

Si ripropone in modo determinante il ruolo del sistema pubblico, a fronte di un mercato immobiliare che acuisce le contraddizioni di classe emerse in modo dirompente in periodo di pandemia nel sistema formativo italiano e nella struttura urbana. Sempre più si estendono i processi di privatizzazione delle città. Un esempio per tutti riguarda la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) che ha dato vita, all’interno della propria struttura, al CDP Real Asset SGR spa (https://www.cdprealasset.it/), polo dedicato alle attività di fund e asset management nei settori immobiliare e infrastrutturale del gruppo. Obiettivo nei prossimi tre anni è gestire ben 5 miliardi di euro per investimenti immobiliari e infrastrutturali generali nel Paese pari a 10 miliardi. Gli assi previsti sono quattro, di cui due afferiscono ainfrastrutture sociali per l’abitare” e “valorizzazione immobili ex pubblici”. Molti sono gli interventi nel settore dell’housing sociale e degli studentati, alcuni già realizzati e altri in fase di progettazione, che prevedono una forte integrazione con gruppi finanziari che sono attivi nel mercato immobiliare nazionale e internazionale. Inflazione, caro bollette, calo del potere d’acquisto dei salari; e mancanza di alloggi a prezzo accessibile, non solo per gli studenti: sono questi gli ingredienti dell’emergenza abitativa, che si conferma sempre più come fenomeno strutturale, che si sta verificando oggi in Italia. Sono sempre di più le famiglie sotto la soglia di povertà, sotto sfratto o in attesa di una casa popolare. Negli ultimi anni, trovare un’abitazione in affitto è sempre più difficile: la domanda cresce mentre l’offerta fatica a tenere il passo, anche a causa dell’aumento degli affitti turistici e della finanziarizzazione del mercato immobiliare. Soprattutto nelle grandi città, i prezzi sono sempre più alti, spesso non giustificati dallo stato degli immobili. Nel frattempo, nel nostro paese manca ancora un piano casa strutturato, con politiche in grado di rispondere alle necessità delle persone e ai problemi dei centri storici. In questo contesto la domanda che sorge spontanea, in merito ai citati 5 miliardi previsti dalla CDP, è: in questo fondo sono confluiti anche i versamenti effettuati dai lavoratori sino alla fine degli anni ’90, destinati all’ampliamento dell’offerta delle case popolari e alla loro manutenzione, di cui negli anni si sono perse le tracce? Come ricorda il movimento “Riprendiamoci il COMUNE”, la CDP gestisce il risparmio postale. Fondata da Cavour nel 1850, aveva lo scopo di finanziari le attività dei Comuni con prestiti a tasso agevolato. Tutto ciò sino al 2003 quando è stata trasformata in SpA e al suo interno sono entrate le fondazioni bancarie. In questi giorni è in atto, su iniziativa del citato movimento, una petizione per sostenere una proposta di legge popolare tesa a trasformare la CDP in soggetto di diritto pubblico (analogamente alla sua omologa francese), mettendo nelle disponibilità delle comunità locali 280 miliardi di risparmi postali oggi dirottati su interessi privatistici (https://volerelaluna.it/politica/2023/02/09/riprendiamoci-il-comune-contro-la-privatizzazione-della-funzione-pubblica/).

La situazione descritta ha un forte impatto sulle condizioni abitative degli studenti meno abbienti e delle loro famiglie ed entra in rotta di collisione con i principi costituzionali riferiti al diritto allo studio. Il fenomeno dell’abbandono scolastico e universitario è fortemente correlato alla condizione di classe. Negli ultimi tempi si fa riferimento, anche a “sinistra”, al blocco dell’ascensore sociale e al dilagare delle “diseguaglianze sociali”. Due questioni che tendono, di fatto, a ricomporre le contraddizioni di classe nel sistema capitalistico stesso, su cui approfondire una discussione utile ad aprire nuovi orizzonti ai movimenti giovanili. Mettere in crisi il sistema “meritocratico” e la logica di mercato che si cela dietro il concetto di “ascensore sociale” è fondamentale per riaprire una nuova stagione di lotta politica e sociale finalizzata all’emancipazione delle classi sociali subalterne e non al protagonismo individuale e/o di gruppi tematici. Ma questa è un’altra storia.