Capire: il ruolo (dimenticato) dell’intellettuale

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Aberrante” (Pina Picierno), “filo-putiniano (Federico Rampini): i commenti alle parole di Moni Ovadia che, dal palco della manifestazione promossa dai 5 stelle, ha osato ricordare il ruolo dell’allargamento a est della Nato nella genesi della guerra in Ucraina, ripropongono un refrain a cui ci siamo fin troppo assuefatti. Chiunque provi ad andare oltre la constatazione dell’ovvio e del risaputo (l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il 22 febbraio dell’anno scorso), chiunque tenti di inserire quel fatto in una sequenza temporale più lunga di quella che inizia poche settimane prima dell’aggressione, e in un contesto geo-politico più ampio di quello riguardante i due paesi ufficialmente in guerra, viene accusato di tradimento e squalificato come volgare propagandista.

Spiegare è già giustificare”. Lo sosteneva nella primavera del 2015 l’allora primo ministro francese Manuel Valls, all’indomani degli attentati islamici che avevano sconvolto Parigi. Guai a interrogarsi sul retroterra socio-culturale entro il quale quella violenza era maturata; guai a nominare l’islamofobia diffusa nella società francese e i suoi possibili contraccolpi; guai a cercare di comprendere, sollevando lo sguardo oltre (e dietro, e sotto) l’orrore. Scrive in proposito Enzo Traverso, riferendosi a un volume di Patrick Boucheron e Mathieu Riboulet: «Se un tempo l’intellettuale si atteneva al motto di Spinoza, Non ridere, non piangere, ma capire, oggi sembra voler soltanto piangere. È un approccio assai curioso: scrivere sugli attentati non per cercare di darne un’interpretazione o per analizzare le reazioni che hanno sollevato […], ma solo per esprimere uno stato d’animo» (La tirannide dell’io. Scrivere il passato in prima persona, Laterza, 2022, p. 92).

Oggi un simile atteggiamento ritorna in relazione alla guerra in Ucraina, che si pretende di “spiegare” evocando la follia criminale di Putin, novello Hitler in procinto di invadere l’intera Europa se non sarà fermato dalle armi occidentali, a qualunque prezzo. Andare oltre la condanna e le maledizioni nei confronti dei russi (pur comprensibili in bocca alle vittime dei bombardamenti) non si può. Interrogarsi sui reali interessi del popolo aggredito, al di là del fervore nazionalistico risvegliato in molti dalla guerra, neanche. Chiedersi qual è l’obiettivo della strategia della Nato e del Governo Zelensky di prosecuzione dei combattimenti “fino alla vittoria”, e quale prospettiva di convivenza futura con la Russia dischiuda, men che meno. Significherebbe incrinare la narrazione in bianco e nero di questo conflitto, con i buoni tutti da una parte, i cattivi dall’altra, e nessun compromesso possibile.

Si pongono qui due questioni, tra loro intimamente intrecciate. La prima è quella sollevata da Traverso: può la solidarietà empatica con le ragioni delle vittime sostituirsi al difficile tentativo di capire, guadagnando una distanza critica dal proprio oggetto? Il mestiere dello storico – ci dice Traverso – assomiglia per certi versi a quello del regista, che alterna la tecnica del primo piano a quella del piano sequenza. Il primo piano permette di isolare e ingrandire particolari che altrimenti sarebbero condannati all’invisibilità, ma questi dettagli – di per sé potenzialmente fuorvianti, e anche manipolabili – acquistano un senso solo se inseriti in una cornice più ampia. Le parole e le immagini strazianti di donne, bambini e anziani che si aggirano nei territori devastati dai bombardamenti, restituiteci da alcuni ottimi reportage, ci raccontano certo un pezzo della realtà della guerra, ma aiutano fino a un certo punto a chiarire le dinamiche geo-politiche ed economiche che contribuiscono a spiegarne la genesi, e la possibile evoluzione.

Si pone, in secondo luogo, il problema della responsabilità degli intellettuali – non solo gli storici, a cui è dedicato il volume di Traverso. Se, esseri umani come tutti gli altri, a ridosso di un evento traumatico potranno ben limitarsi a dare voce al proprio sgomento, e confessare la frustrazione per l’inadeguatezza dei propri strumenti teorici e cognitivi, in seconda battuta dovranno pur tentare di offrire un contributo alla comprensione del mondo, andando oltre la mozione degli affetti e le comode spiegazioni mono-causali (che si tratti della reductio ad hitlerum di Putin o dell’allargamento a est della Nato, a cui, pure, si è fermato Moni Ovadia nel suo comizio).

La buona notizia è che, in un dibattito pubblico desolante, egemonizzato dalla propaganda atlantista, compare ogni tanto qualche utile brandello di analisi. Segnalo qui in particolare un volume uscito da Utet pochi mesi fa: Esiste una guerra giusta? Tredici punti di vista su interventismo e pacifismo. Tredici autori e autrici; diverse prospettive, competenze, posizionamenti, per tentare di restituire la complessità della congiuntura storica che stiamo vivendo. Un contributo a capire, e anche a “spiegare”. Che non significa “giustificare”.

Gli autori

Valentina Pazé

Valentina Pazé insegna Filosofia politica presso l’Università di Torino. Si occupa, in una prospettiva teorica e storica, di comunitarismo, multiculturalismo, teorie dei diritti e della democrazia. Tra le sue pubblicazioni: "In nome del popolo. Il potere democratico" (Laterza, 2011), "Cittadini senza politica. Politica senza cittadini" (Edizioni Gruppo Abele, 2016) e "Libertà in vendita. Il corpo fra scelta e mercato" (Bollati Boringieri, 2023).

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One Comment on “Capire: il ruolo (dimenticato) dell’intellettuale”

  1. Ma per capire bisogna avere un quadro interpretativo. I miei tentativi di comprensione si basano su un campo disciplinare (al cui sviluppo cerco anche di contribuire) che si chiama contabilità ambientale. Non ancora pienamente consapevole di sé, essa può già fornire spunti di riflessione convincenti sui principali aspetti della realtà contemporanea, compresa la guerra.
    Fiorenzo Martini-Torino

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