Pur avendo conquistato la scena internazionale per la fermezza con cui, a soli 37 anni, ha liquidato la tradizione di neutralità (e il ruolo di ponte tra Est e Ovest) del suo paese, abbracciando posizioni ultra-atlantiste e militariste, Sanna Marin esce sconfitta dalle elezioni generali del 2 aprile. Analogamente a quanto accaduto in Svezia a settembre (https://volerelaluna.it/mondo/2022/09/21/svezia-nel-paese-simbolo-della-socialdemocrazia-vince-lestrema-destra/), il risultato positivo del Partito socialdemocratico (19,9%, + 2,2 rispetto al 2019) non basta a compensare la débâcle dei partner nel governo di centrosinistra: i Verdi (in caduta libera: -4,5%), il Centro (- 2,5%), l’Alleanza di sinistra (- 1,1%, che paga anche l’appiattimento sul coro bellicista) e il Partito popolare svedese di Finlandia (- 0,2%). La dinamica del voto utile (?) – concentrare i voti sul partito principale, per arrestare l’avanzata dei cattivi – non ha funzionato neanche stavolta: se il Partito conservatore di Orpo Petteri si impone come primo partito con il 20,8% (+ 3,8), a cantare vittoria sono soprattutto i “Veri finlandesi” (un nome un programma), che, dati per moribondi qualche anno fa in seguito a lotte intestine, portano a casa il migliore risultato di sempre, attestandosi, con il 20,1% (+ 2,6), al secondo posto, a ridosso dei Conservatori.
Apprezzata da una parte dell’elettorato come segno distintivo di una leader moderna e in grado di comunicare con le giovani generazioni, la sovraesposizione mediatica di Marin non è stata universalmente gradita. Se il partygate (la diffusione del video che ritrae la prima ministra durante una festosa e alcolica serata) è stato un incidente, che comunque Marin è riuscita in parte a volgere a suo favore («Sono una persona normale»), un episodio verificatosi ai margini del vertice UE del 24 marzo a Bruxelles rivela quanto la ormai ex prima ministra abbia sfruttato scientemente la propria immagine. Dopo ore di discussione tra i capi di stato e di governo dei 27 stati membri, improvvisamente Marin compare, accompagnata dal ministro degli affari europei Tytti Tuppurainen, davanti alla camera fissa puntata sul tappeto rosso che i leader europei percorrono al loro arrivo. I giornalisti la vedono camminare avanti e indietro nella zona riservata ai big (sullo sfondo, le bandiere dell’UE), senza apparente motivo, finché non capiscono che i due si stanno esibendo, nell’iconica sede dell’Unione, in una sorta di servizio fotografico da diffondere sui social, in vista delle imminenti elezioni. Comportamenti come questo spiegano tanto le simpatie quanto l’ostilità che Marin ha suscitato nel proprio paese. Certo, è difficile capire in che misura le voci critiche esprimano una ripulsa della mediatizzazione della politica o piuttosto una gretta misoginia: un elemento, questo, che ha pesato anche sul bilancio delle politiche attuate in questi tre anni e mezzo dal governo della leader socialdemocratica.
L’adesione alla NATO ha brillato per l’assenza, nella campagna elettorale finlandese (come in quella svedese): del resto, un dibattito vero non c’è mai stato e il voto parlamentare ha visto una maggioranza bulgara a favore della svolta epocale. Altri sono stati i temi al centro del confronto: il Welfare, le finanze pubbliche e, ça va sans dire, l’immigrazione. Marin, già apprezzata per la gestione della pandemia, è riuscita là dove i suoi predecessori avevano fallito: realizzare una storica riforma (la cosiddetta SOTE) dei servizi sociali e sanitari, che mirava a riorganizzarli per renderli più accessibili ed equi. Ha invece deluso le aspettative rispetto all’autodeterminazione dei Sami (la popolazione indigena del Circolo polare artico), ai diritti delle persone trans e al contrasto ai cambiamenti climatici: le promesse, particolarmente ambiziose nel caso del clima, non sono state mantenute.
La maggior parte degli attacchi tuttavia si è concentrata sulla sua politica economica. La cultura patriarcale dell’opposizione ha sfoderato il peggio di sé, alimentando l’idea che il ruolo di “adulti nella stanza” non potesse essere ricoperto da un governo composto da diverse giovani donne, a partire dalla prima ministra. Metafore come “ecco cosa succede quando lasci la carta di credito a dei bambini” sono state utilizzate per screditare Marin e la sua squadra in quanto responsabili di aver condotto la Finlandia sull’orlo di una moderata recessione; il debito pubblico, pur al di sotto della media europea e in linea con quello tedesco, attualmente ammonta al doppio di quello svedese e danese. Un’onta, per un paese che fa parte del club dei “frugali” (gli Stati membri dell’UE che si oppongono a qualsiasi allentamento dell’austerity) e dove la destra è riuscita a far passare il messaggio che il bilancio dello Stato deve essere amministrato come le finanze di una famiglia, il che ovviamente dal punto di vista economico è una bestialità. Il fantasma che viene agitato è quello della crisi greca del 2009-2015: così finirà la Finlandia qualora non riduca la spesa pubblica. Se, come alternativa, i Conservatori propongono, con grande originalità, di ridurre le tasse (limitandone il carattere progressivo) per far ripartire l’economia – ricetta considerata improponibile dagli esperti, in questa congiuntura – i Veri finlandesi hanno la soluzione per tutti i problemi del paese: stroncare l’immigrazione.
La Finlandia, a differenza degli altri paesi nordici, ha una lunga storia di populismo, nel cui solco i Veri finlandesi per certi versi si inscrivono, rappresentandone tuttavia una velenosa alterazione. Fondato nel 1995, il partito ha accentuato negli ultimi venti anni il suo profilo nazionalista e xenofobo, adattando al contempo le sue politiche sociali e economiche alla fase in corso; è chiaro che in questo momento paga proporsi come difensori del Welfare, ma solo per i nativi e non a scapito delle finanze pubbliche. Dove tagliare, dunque? Sull’accoglienza dei migranti di ogni sorta. Questo è il mantra di Riikka Purra, che, ascesa alla leadership nell’agosto 2021, ha accentuato il segno reazionario di un partito che già non brillava per inclusione e solidarietà (la sua propaganda contro gli aiuti UE a Atene fu semplicemente vergognosa) e che ormai non può più essere definito genericamente “populista”, rientrando a pieno titolo nella categoria dell’estrema destra, di cui assume in pieno la lotta per l’egemonia di un’agenda nativista e anti-UE. Basta con il diritto d’asilo (da qui l’ammirazione per i socialdemocratici danesi…) e con l’immigrazione economica, che, essendo costituita da forza lavoro con bassa qualifica, non contribuisce a rendere più competitiva l’economia finlandese. Su questo punto, Purra mente sapendo di mentire, perché la Finlandia, come tutti i paesi europei, ha bisogno eccome dei moderni schiavi. Insomma, l’equazione migranti = parassiti/criminali ha attecchito (e da tempo) anche in Finlandia, che pure in termini percentuali ha la metà degli immigrati della Svezia. Quest’ultima, invidiata per lo stato delle sue finanze (che in realtà non è così roseo), è additata come modello in negativo per quell’esplosione di gang criminali che è frutto, come noto, di politiche di accoglienza troppo generose…
Paradossalmente, l’ingresso della Finlandia nella NATO viene formalizzato oggi, cioè a sole 48 ore dalle elezioni che hanno sancito la sconfitta di colei che lo ha fortemente voluto (ma tutto sembra indicare che Marin assumerà nel prossimo futuro prestigiosi incarichi internazionali, forse proprio nella NATO). In queste ore, il leader del Partito conservatore, Orpo, comincia i suoi negoziati per la formazione del nuovo governo. Dovrà scegliere se venire a patti su immigrazione e UE con i Veri finlandesi o sulla politica economica con i Socialdemocratici.
A prescindere dall’esito (sembra più probabile il primo), resta il dato dell’ennesima vittoria di una destra portatrice di valori antitetici a quelli che contraddistinguono una civiltà degna di questo nome; è, questa, l’unica risposta di cui il neoliberalismo è capace di fronte a una crisi che esso stesso ha creato – e che non può risolvere.
Come ben sottolinea l autrice di questo interessantissimo articolo, Finlandia é stata per decenni uno Stato ponte, con un ruolo cruciale sul piano politico/economico, con trattamento di favore da parte della Russia (come l Italia, peraltro) oltre che garanzia per l integrita fisica dei suoi cittadini.
Su questo aspetto i media occidentali tacciono.
Da questo status invidiabile, una neutralita che di questi tempi é l unica vera garanzia di restare al sicuro, in pochi mesi, per volere di non si capisce chi (o forse si capisce), é diventato uno Stato meramente “esecutivo”, magazzino di armi e soldati nato, che in parte deve ovviamente mantenere, sottraendo risorse al welfare (leader socialista??)
I rapporti con la Russia sono collassati. E la Russia non é uno staterello come la Lituania..
HElinki si illuminava con molta elettricita russa, per dirne una.
I prezzi sono esplosi, come in tutti gli Stati baltici. molto piu che da noi .
Peraltro la Finlandia dispone di centrali nucleari e depositi di scorie a tempo indeterminato (millenni), ora con un vicino di casa molto meno amichevole..
in caso di guerra, sará l obiettivo piu immediato anche solo per spostare i confini russi che ora sono a pochi km da Helsinki e dalla NAto.
sembra un film dell orrore.
e invece é la realta portata avanti, pure con orgoglio, da una premier per motivi anagrafici senza la necessaria esperienza di vita, che si fa selfie come una teenager..