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03/03/2023 di: Fabrizio Tonello
Elly Schlein è certamente il meglio che oggi esprime il ceto politico italiano, ma basterà? Qui non vogliamo discutere le sue capacità, le sue buone intenzioni, i valori progressisti che porta con sé: il tema è piuttosto la sua probabilità di successo nel riformare il Partito Democratico e nel riportarlo al governo. Sperando di essere smentiti, noi pensiamo che quelle probabilità siano molto basse.
Le ragioni sono molte. Partiamo dalla prima: chi rappresenta il PD? Non la galassia di lavoratori dei servizi sottopagati e spesso precari che sono oggi la parte più debole della società italiana. Non gli operai più stabili e garantiti, a cui non ha nulla da offrire, avendo introiettato il dogma della sacralità del mercato da decenni. Non le partite IVA, vere e false, che trovano da sempre un interlocutore più che compiacente nella destra al governo. Di fatto il PD rappresenta ciò che rimane del “ceto medio riflessivo”, ovvero insegnanti e pensionati attivi, questi ultimi grazie a una formazione politico-culturale antifascista acquisita in giovane età e dimostratasi, per fortuna, abbastanza solida. Forse è un’esagerazione definire il PD come il partito delle ZTL ma i risultati elettorali mostrano chiaramente che ottiene più voti nelle grandi città che nelle piccole e più voti nei centri cittadini che nelle periferie.
Se questa analisi è corretta chiunque sia il nuovo leader del PD si trova di fronte a compiti non risolvibili nel breve periodo: l’insediamento sociale è un fenomeno complesso, che dipende da reddito e status ma anche da formazione culturale e visioni del mondo. La forza del PCI stava precisamente nel suo avere un insediamento sociale capillare, attraverso gli strumenti tradizionali delle sezioni e delle federazioni. I militanti avevano un luogo dove discutere tanto dei semafori nel quartiere quanto dell’imperialismo. Le sezioni erano situazioni sociali strutturate e strutturanti, per parafrasare Pierre Bourdieu. In altre parole, per modificare il rapporto del PD con i ceti più deboli non è sufficiente fare un buon documento, parlarne in un talk show, e neppure fare visita a una fabbrica occupata (anche se questo sarebbe utile). Per tornare a parlare con i lavoratori occorre convincere una nuova generazione di attivisti che il partito rappresenta i loro interessi. Dare una prospettiva. Mettere fine all’afasia che caratterizza da trent’anni i partiti progressisti europei (si veda la triste fine del Partito socialista francese). Non sarà facile. Supponiamo che Schlein lavori in questa direzione: se vorrà avvalersi delle competenze di intellettuali vicini o lontani, ma disponibili a riflettere, come Fabrizio Barca e Nadia Urbinati, sarà un’ottima cosa. Restano però altri problemi più immediati, su cui la nuova segretaria dovrà dare delle risposte fin da domani mattina.
Il primo è la guerra. Il secondo i migranti.
L’Ucraina è stata invasa da Putin, nessun dubbio. La guerra prima o poi finirà, nessun dubbio. Se però la pace può arrivare solo “dopo la vittoria”, come sostiene praticamente unanime la stampa italiana allineata su Washington, le cose si complicano. Prima di tutto stiamo parlando di una guerra contro una potenza nucleare che, in Crimea, difenderà il “suo” territorio e una popolazione russofona, facendo appello al patriottismo grande-russo. In secondo luogo, nel XXI secolo nessuno può vincere una guerra su larga scala, perennemente a rischio di escalation verso un conflitto nucleare. Sostenere incondizionatamente Zelensky significa, come ha scritto il filosofo tedesco Jurgen Habermas, creare «il rischio di aggirarsi come sonnambuli sull’orlo dell’abisso». Qualche mese fa, il 22 ottobre, l’umanità intera avrebbe dovuto festeggiare: era infatti il sessantesimo anniversario del momento in cui l’intero pianeta scampò alla distruzione, durante la crisi dei missili a Cuba. Sulla storia di quel confronto fra le due superpotenze si sono scritte intere biblioteche ma è rimasto piuttosto in ombra un episodio ricostruito dallo storico Sergei Plokhi, quello in cui un sommergibile russo con una testata nucleare a bordo fu sul punto di lanciarla pensando di essere sotto attacco da parte della marina americana. Era autorizzato a farlo da istruzioni confuse del Cremlino e dal comportamento aggressivo della U.S. Navy, che voleva costringerlo ad emergere mentre si trovava nelle acque dei Caraibi. Fu l’allora vicepresidente Lyndon Johnson a insistere perché la marina non creasse un incidente con potenziali pericoli di escalation. La catastrofe fu evitata per puro miracolo: il capitano del sommergibile aveva già dato ordine di preparare il missile. Oggi le esperienze della guerra fredda sembrano dimenticate e una nuova generazione di politici incompetenti e irresponsabili sembra voler giocare col fuoco, incoraggiata dagli strateghi da poltrona che pontificano in TV o sui quotidiani. Non è difficile prevedere che se Elly Schlein volesse distaccarsi, anche minimamente, dal discorso dominante si troverebbe ad affrontare un linciaggio mediatico di proporzioni inaudite, a cui sarebbero ben felici di unirsi i feudatari locali del suo partito e la maggioranza dei deputati e senatori, senza contare gli ex segretari come Enrico Letta e Walter Veltroni, assieme all’innominabile personaggio di Rignano sull’Arno.
Il secondo problema è quello dei migranti. Anche in questo caso si tratta di una questione strutturale e planetaria, su cui i singoli leader o partiti possono incidere ben poco: le popolazioni si muovono, nella storia si sono sempre mosse, e il riscaldamento globale non fa che accelerare questo processo, assieme alle guerre civili. Non sono passati nemmeno tre giorni dalla tragedia in Calabria e neppure una settimana dal vergognoso decreto del Governo che aggredisce le ONG che fanno ciò che ogni persona dovrebbe fare senza nemmeno pensarci: salvare chi è in pericolo. Purtroppo, l’idea di usare Libia e Turchia come campi di concentramento dei migranti che l’Europa non vuole risale a un ministro dell’Interno del PD, Marco Minniti. L’idea di chiamare pomposamente “guardia costiera” i gangster libici dotati di motovedette fornite dall’Italia risale anch’essa a molti anni fa e a Governi in cui il PD era presente. Su questo tema non ci sono scelte facili ma da decenni il PD balbetta per timore di perdere voti, salvo proporre con scarsa convinzione idee sacrosante come lo ius soli. Di nuovo, Schlein potrebbe essere personalmente favorevole a una politica più decente ma chi impedirà ai satrapi locali di gridare all’invasione? Anche su questo terreno la commozione per donne e bambini annegati dura 48 ore, poi viene sepolta da una marea di chiacchiere, da una televisione allineata, da interessi di bottega che il governo Meloni sarà ben felice di sfruttare.
Ci sarebbero molte altre considerazioni da fare ma fermiamoci qui: è possibile che Elly Schlein sia una leader come non se ne vedono da tempo nella politica italiana, che sappia muoversi con la forza della leonessa e l’astuzia della volpe. Lo speriamo sinceramente. Ma riconoscere le enormi difficoltà dell’impresa è necessario anche per evitare rapide disillusioni.