Perugia-Assisi, 23-24 febbraio: una marcia notturna contro le guerre

image_pdfimage_print

Perché tornare a camminare fra Perugia e Assisi? E perché farlo di notte, fra il 23 e il 24 febbraio, a un anno preciso dall’invasione russa dell’Ucraina? È presto detto. Primo, perché Aldo Capitini, quando inventò la Marcia, nel lontano 1961, intendeva spezzare quel clima di odio, bellicismo, non comunicazione fra blocco occidentale e Unione sovietica che stava minacciando il mondo. La Marcia introduceva un imprevisto, uno scarto, un’occasione per pensare qualcosa di nuovo e aprire un varco al dialogo. Camminare, farlo insieme a tanti altri, è un modo per essere e mostrarsi pacifici, aperti al confronto e per testimoniare, col proprio corpo e la propria fatica, la persuasione che un altro modo di pensare, di essere e di agire è possibile. Secondo motivo: camminare di notte, a un anno esatto dall’invasione, e con decine (o centinaia?) di migliaia di persone nel frattempo annientate, è una metafora che non si presta a equivoci: la guerra è la più buia delle notti, lo è per chi la pratica, per chi la subisce, per chi l’alimenta, e poi non fa intravedere alcun mattino, non c’è alba nella distruzione e nel disprezzo per la vita umana. Non c’è luce all’orizzonte nel rifiuto di allargare lo sguardo, nello spazio e nel tempo, per trovare risposte e soluzioni negoziate, diplomatiche e politiche al conflitto. C’è anche un terzo motivo, un’altra metafora: cammineremo nella notte umbra, fra mezzanotte e il mattino, illuminando la nostra strada con le deboli, fioche luci delle nostre persuasioni; si dirà che è poco – un gruppo di camminatori con torce e fiaccole al cospetto dei missili, degli elicotteri, dei tank, dell’artiglieria, dell’enorme armamentario concentrato in quel grande, sventurato paese che è l’Ucraina – ma è tutto ciò che abbiamo per indicare la giusta via, perché c’è una giusta via, mentre non c’è una guerra giusta, perché anche la guerra reputata più giusta diventa ingiusta e insensata se lascia sul terreno migliaia di morti, se distrugge le città, se inquina e avvelena i territori, se militarizza un intero continente, se semina tanto odio da pregiudicare il futuro di tutti, se – infine – spinge a cercare la “vittoria” a qualsiasi prezzo, fosse anche una terza guerra mondiale, magari combattuta con ordigni atomici. La giusta via è quella del cessate il fuoco, del confronto e della diplomazia, perché c’è sempre una soluzione, e oltretutto è la via che tutti dicono di volere a un certo punto imboccare, ma quel momento non arriva mai: da un anno si combatte e si muore e il momento della diplomazia è così prossimo quanto l’arrivo di Godot nella pièce di Samuel Beckett.

Questa nuova guerra europea di inizio del XXI secolo somiglia sinistramente alla prima Grande guerra del ‘900, una carneficina che fu iniziata e combattuta per anni, con mezzi di morte infinitamente meno potenti degli attuali, per ragioni che ancora sfuggono alla piena comprensione; sappiamo però con certezza che gli Stati del tempo erano molto ben armati e che avevano sviluppato al proprio interno forti ideologie nazionaliste e militariste, quelle ideologie che abbiamo cercato di decostruire e neutralizzare, sul piano culturale ma anche su quello istituzionale, dopo la Seconda carneficina mondiale, cui seguirono documenti e organizzazioni come la Dichiarazione sui diritti umani, le Nazioni unite, le Costituzioni democratiche europee. Lo storico Christopher Clark, in un libro famoso (I sonnambuli, Laterza), descrisse le élite del tempo, alla vigilia della Grande guerra, come dei sonnambuli, che avviarono il mondo, e soprattutto l’Europa, alla catastrofe che conosciamo, in un misto di incoscienza, di insipienza e di inerzia: una condizione, appunto, di sonnambulismo.

Noi camminatori fra Perugia e Assisi, nel nostro piccolo, accenderemo torce e fiaccole nel buio dell’Europa presente e cercheremo di scuotere e svegliare i sonnambuli al potere, ma sappiamo d’essere troppo pochi, troppo deboli, troppo periferici per illuminare davvero il buio che avvolge le cancellerie europee e di oltre Atlantico; sappiamo anche, però, di avere dalla nostra parte un potenziale enorme, che può risultare decisivo: i corpi di milioni di cittadini europei che possono – devono – uscire dal silenzio e portare in strada la fiaccola della pacificazione di cui abbiamo bisogno per gettare un fascio di luce sui sonnambuli di Roma e Parigi, di Washington, Berlino e Bruxelles. Da svegli, solo da svegli, e ascoltando le voci che salgono dal basso, la guerra può essere fermata, e un futuro decente per l’Ucraina, la Russia, l’Europa, il mondo intero può essere immaginato.

Per informazioni sulla marcia contro tutte le guerre del 23-24 febbraio: www.perlapace.it

Gli autori

Lorenzo Guadagnucci

Lorenzo Guadagnucci, giornalista e blogger, lavora al “Quotidiano nazionale” (Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno). Durante il G8 di Genova del luglio 2001 fu tra i giovani percossi e arrestati nella suola Diaz. Fondatore e animatore del Comitato verità e giustizia per Genova ha scritto, con Vittorio Agnoletto, “L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 di Genova” (2011).

Guarda gli altri post di:

One Comment on “Perugia-Assisi, 23-24 febbraio: una marcia notturna contro le guerre”

  1. Marciare per la pace è sensibilizzare e scuotere un mondo sonnambulo, dove i diritti sono violati, dove la vita è offesa e stroncata.
    Credo che oggi ogni marcia per la pace o manifestazione che la promuova debba assolutamente partire dall’individuo, dalle persone e dichiararlo apertamente. È un obiettivo da ricercare: la pace in me! Che vuol dire disarmare il cuore, il nostro cuore che è chiuso da millenni di egoismi e bellicismo. Vuol dire dare una svolta antropologica, un cambiar rotta iniziando da noi.
    La marcia per la pace non è solo rivolta al mondo in guerra, ma contemporaneamente anche a me, a ciascuno di noi, è un cammino faticoso e obbligato se si vuole che la vita prosegua!
    Grazie

Comments are closed.