Che cosa vuol dire celebrare il Giorno della Memoria, in questo anno 2023, tra la stanca retorica di chi quella memoria ha lasciato morire e la clamorosa contraddizione di un governo di matrice fascista?
Vuol dire guardare in faccia la realtà, in tutta la sua crudezza. Cioè ripetere a voce alta, e allo specchio, queste parole di Primo Levi: «Il nazismo in Germania è stato una metastasi di un tumore che era in Italia. È un tumore che ha condotto alla morte la Germania e l’Europa, vicino alla morte, al disastro completo. Non sono solo per i quattro milioni di Auschwitz, ma anche per i sei o sette milioni di vittime ebree. Per i sessanta milioni di morti della Seconda guerra mondiale, che sono il frutto del nazismo e del fascismo».
Quel che dobbiamo ricordare è che il fascismo italiano è stato una ideologia e un regime della violenza e della morte quanto il nazismo tedesco.
Quel che dobbiamo ricordare è che le leggi razziste del 1938 non furono un sottoprodotto del razzismo tedesco, ma l’esito di una storia che ha le sue radici nella lunga storia dell’antisemitismo cattolico e della Chiesa, nella retorica nazionalista del Risorgimento, nel colonialismo liberale e poi fascista italiano.
Quel che dobbiamo ricordare è che il razzismo italiano fu il frutto del totalitarismo fascista, che odiava ogni diversità: quella di ebrei, rom, neri…
Quel che dobbiamo ricordare è che il razzismo italiano era legato alla mistica della guerra coltivata dal fascismo, e alla convinzione che una nazione ‘pura’ avrebbe sempre prevalso con la forza su una ‘meticcia’.
Quel che dobbiamo ricordare è che Mussolini non fu affatto ‘meno peggiore’ di Hitler. E che noi italiani non fummo affatto ‘brava gente’, ma responsabili esattamente quanto i tedeschi.
Quel che dobbiamo ricordare è che Giuseppe Bottai, ministro della pubblica istruzione, ordinò che la «Difesa della razza» fosse accolta in tutte le biblioteche scolastiche e universitarie, e letta nelle scuole. Quel che dovremmo rileggere, a voce alta in mezzo di strada, è il Manifesto della razza che vi fu pubblicato nel primo numero. Eccone qualche, mostruoso, passaggio: «È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’Italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali), da una parte, gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani».
Quel che dobbiamo ricordare è che il segretario di redazione di quella oscena rivista era Giorgio Almirante. Che vi scrisse, tra altre aberrazioni: «Vi fu dunque sempre un insuperabile, e spesso drammatico, contrasto fra la romanità – la ‘vera’ romanità e non quella annacquata dalla pseudocultura internazionalistica – e giudaismo. Il che dimostra ancora una volta che in fatto di razzismo e di antigiudaismo gli italiani non hanno avuto né avranno bisogno di andare a scuola da chicchessia». Triste, ma esatta, profezia.
Quel che dobbiamo, oggi, ricordare è che è lo stesso Giorgio Almirante a cui Fratelli d’Italia intitola le sue sezioni e, quando è al governo, anche piazze e strade.
Quel che dobbiamo, oggi, ricordare è che la nostra Presidente del Consiglio, che riconosce Giorgio Almirante come suo punto di riferimento, lo ha, tra l’altro, definito: «Politico e patriota d’altri tempi, stimato da amici e avversari. Amore per l’Italia onestà, coerenza e coraggio sono valori che ha trasmesso alla Destra italiana e che portiamo avanti ogni giorno. Un grande uomo che non dimenticheremo mai».
Oggi, Giorno della Memoria 2023, abbiamo il dovere di ricordare che, è vero: non l’hanno mai dimenticato. Proprio per questo ciò che è successo potrebbe succedere ancora. Abbiamo il dovere di ricordare che il fascismo non è morto, e non è cambiato. E che, oggi, chi rivendica quelle idee atroci (che non sono separabili dai campi di sterminio cui portarono) è tornato al potere in Italia, e si appresta a calpestare la Costituzione antifascista del 1948, per ridare il potere nelle mani di uno solo.
Il Giorno della Memoria riguarda tutti noi. Riguarda il presente e il futuro. Perché, come diceva Primo Levi in quella stessa intervista: «Anche in Italia non ci vorrebbe molto. Io purtroppo devo dirlo – lo so questo: non è che lo pensi – i lager si possono fare dappertutto, possono esistere. Dove un fascismo – non è detto che sia identico a quello –, un fascismo, cioè un nuovo verbo come quello che amano i nuovi fascisti d’Italia, cioè che “non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi diritti, alcuni hanno i diritti, altri no”. Dove questo verbo attecchisce, alla fine c’è il lager. Questo io lo so con precisione».
non é un caso che la Giornata della memoria sia il 27 gennaio, eppure
a dispetto del nome molti se ne sono scordati.
in quella data l Armata Rossa (non lo spirito santo) ha liberato migliaia di internati da quell inferno che era Auschwitz, ridando loro libertá e il ritorno alla vita.
tra parentesi, nei mesi successivi l Armata Rossa é arrivata fino a Berlino
decapitando il vertice del nazismo; gli Alleati sono arrivati dopo.
una data che ha segnato l inizio della fine dell Olocausto. ecco perche il 27 gennaio.
spiace che questo dato di verita storica venga sottaciuto.
e che addirittura chi ha consentito questa liberazione sia addirittura allontanato dalle
celebrazioni ufficiali.
si chiama revisionismo. non é concettualmente diverso da chi sottovaluta
o addirittura nega l esistenza dei campi di concentramento.
ed é un regalo, pur non voluto, per i nazifascisti.