Tralasciando le funzioni di controllo e indirizzo, la vitalità dei Parlamenti si misura soprattutto nell’attività legislativa e in quella di spesa. Su entrambi i fronti, alle nostre Camere è rimasto un ruolo del tutto marginale. L’attività legislativa è ormai svolta integralmente dal Governo, sotto forma di decreti legge. Questi, nel corso del tempo, hanno assunto una dimensione normativa sempre più abnorme. Così, nei 60 giorni in cui essi possono essere convertiti, non c’è tempo perché il loro esame si svolga in entrambe le Camere. Quindi, una sola delle due Camere esamina effettivamente il testo, introducendo qualche correttivo; all’altra residuano solo pochi giorni per una sbrigativa ratifica del lavoro della prima. Per lo più, dopo un esame nella Commissione competente della Camera cui è stato trasmesso il decreto, approvata qualche limitata correzione, il Governo confeziona un nuovo testo (quando serve per il tramite di un maxi-emendamento) e su di esso pone la questione di fiducia. L’attività legislativa delle due Camere si esaurisce per lo più nell’attività di questa Commissione. Il resto del procedimento è destinato a risolversi in un semplice doppio voto fiduciario. Quanto alla procedura di bilancio, essa è nella sostanza dominata dall’indirizzo politico impresso dal Governo in ogni ordinamento moderno. Tuttavia, le procedure parlamentari di approvazione del bilancio sono complesse e lunghe ovunque. Del resto, il bilancio, incidendo su tasse e spese, ha effetti rilevanti su libertà, diritti e uguaglianza dei cittadini. La complessità della procedura di approvazione, dunque, non è sorprendente: basti ricordare che nella contrapposizione tra Congresso e Presidente negli Stati Uniti, prima di giungere a un compromesso, capita spesso che le amministrazioni federali siano addirittura costrette a una temporanea chiusura per mancanza di fondi. Nel nostro ordinamento, invece, la procedura parlamentare di approvazione della manovra di bilancio è divenuta estremamente rapida e semplice. Naturalmente a spese dell’effettività del controllo parlamentare. In questo quadro si inseriscono i primi passi della nuova maggioranza, che non sembrano preannunciare nulla di buono per la vitalità delle Camere.
L’atto più rilevante del nuovo Governo fino ad ora è certamente rappresentato dal varo del bilancio. Il relativo disegno di legge dovrebbe essere presentato alle Camere entro il 20 ottobre di ciascun anno. Quest’anno, poiché le elezioni politiche si sono tenute alla fine di settembre, il disegno di legge è stato presentato in ritardo (ma non è la prima volta). Il Consiglio dei ministri lo ha ufficialmente approvato il 21 novembre ma esso è stato presentato alle Camere solo il successivo 29, dopo che il testo è stato evidentemente modificato. Ciò conferma una prassi ormai consolidata ma certamente incostituzionale: il testo del disegno di legge da presentare alle Camere deve essere quello approvato dal Consiglio dei ministri e non un testo confezionato dopo la sua deliberazione. Nonostante il ritardo con cui interveniva, il Governo ha assicurato fin da subito che la legge di bilancio sarebbe stata approvata entro la fine dell’anno, senza ricorrere all’esercizio provvisorio, che la Costituzione prevede per tre mesi in mancanza di una sua tempestiva approvazione. L’esercizio provvisorio implica semplicemente che le amministrazioni statali possano spendere per ogni mese un dodicesimo della spesa prevista per l’anno precedente e vi si è quasi sempre fatto ricorso durante le prime legislature della Repubblica, senza che nulla di sconvolgente sia accaduto. Si obietta che allora le finanze dello Stato non esponevano il debito pubblico al giudizio negativo dei mercati internazionali. Tuttavia, nulla avrebbe escluso che il Governo, visti i tempi ristretti, decidesse almeno di presentare un bilancio snello, per consentire un esame parlamentare effettivo ancorché breve. Il Parlamento, invece, pur in mancanza di tempo, ha licenziato una legge di bilancio che occupa 184 pagine della Gazzetta Ufficiale e conta ben 1017 commi. A tale esito si è pervenuti attraverso forzature procedurali rilevanti, ancorché non inedite. Il testo è stato licenziato il 20 dicembre dalla Commissione Bilancio della Camera, quando, vista l’intenzione del Governo di porre la questione di fiducia, il Presidente della Commissione ha sostanzialmente ricompattato il testo in unico articolo, così da consentirne l’approvazione in Aula in soli due giorni (dal 22 al 24 dicembre). Il 27 dicembre la Commissione Bilancio del Senato ha iniziato l’esame dei 1017 commi che sono approdati in aula il 28, quando il Governo ha immediatamente posto la questione di fiducia, approvata il giorno successivo. La più rilevante legge dello Stato è stata dunque esaminata dal complesso dei deputati e senatori per tre soli giorni in totale.
Durante questi due mesi di carica, mentre il Parlamento (o meglio: la Commissione Bilancio della Camera) era alle prese con la legge di bilancio, il Governo ha invece trovato il tempo di varare un numero abnorme di decreti legge. L’abuso della decretazione d’urgenza in luogo del ricorso alle normali procedure legislative è una piaga antica. La scorsa legislatura ha toccato dimensioni record. Se si considera il numero delle parole delle leggi approvate, il 67% di esse è risultato contenuto in leggi di conversione; il 29% in altre leggi di iniziativa governativa (e di esse buona parte è riferibile proprio alle leggi di bilancio, approvate con modalità del tutto simili a quelle dei decreti-legge, come appena visto). Solo il 4% delle parole è riferibile a leggi di iniziativa parlamentare. Come si vede, si tratta di una completa inversione tra regola costituzionale (la legge ordinaria del Parlamento) e sua eccezione (la decretazione d’urgenza). A tale risultato si era pervenuti nella scorsa legislatura con il ritmo di circa 5 decreti legge ogni bimestre. Questa legislatura inizia a una velocità doppia: i decreti-legge varati dal Governo nei suoi primi due mesi sono 10. Con questo passo, i record negativi della scorsa legislatura saranno facilmente superati.
In particolare, tra i dieci decreti varati, va segnalato il cosiddetto decreto Rave. Oltre ai dubbi di legittimità costituzionale sostanziale che fa sorgere (in particolare per la genericità del nuovo reato), esso si segnala anche per gravi forzature di tipo procedurale. Il decreto, infatti, è stato convertito solo grazie al ricorso alla cosiddetta “ghigliottina”, una procedura illegittima sul piano del Regolamento della Camera. Essa consiste nella chiusura anticipata della procedura parlamentare, disposta dal Presidente della Camera mettendo immediatamente ai voti un testo, ancorché ai sensi del Regolamento il tempo garantito agli interventi dei parlamentari non sia ancora esaurito. A tale misura, nella storia della Repubblica fino a qualche giorno fa, si era fatto ricorso una volta sola. È il caso della conversione del decreto cosiddetto Imu-Bankitalia, quando la Presidente della Camera Boldrini nel corso della XVII Legislatura aveva tolto la parola ai deputati dell’opposizione, che avevano il diritto di intervenire, per evitare che il decreto decadesse. Nonostante il Regolamento della Camera non preveda tale istituto, esso viene giustificato sulla base di una criticabile interpretazione della Costituzione, dove prevede che il decreto, se non viene convertito in legge entro 60 giorni, decade. Se ne è voluto desumere che la Camera, entro quel termine, debba potersi esprimere a prescindere dai diritti dei parlamentari e dell’opposizione sanciti dal Regolamento. La Costituzione, tuttavia, nel prevedere come eccezionale il ricorso alla decretazione d’urgenza, non stabilisce né un diritto del Governo a ottenere un voto sulla conversione del decreto, né alcun dovere a carico del Parlamento di votare sul decreto. Piuttosto, bisognerebbe ritenere che è onere del Governo, quando ricorre all’esercizio straordinario di una funzione – quella legislativa – che non è sua ma del Parlamento, accertarsi almeno che le condizioni del calendario delle Camere consentano l’approvazione in tempo del decreto, nel rispetto però delle procedure parlamentari. Del resto il Regolamento della Camera prevede che, dopo la fiducia, ma prima del voto finale, i deputati possono presentare ordini del giorno e illustrarli per 10 minuti ciascuno. Poiché l’opposizione non può contare più di 160 parlamentari, è dunque sufficiente alla maggioranza approvare la fiducia su un decreto un paio di giorni prima della scadenza, per assicurarsi il voto finale di conversione.
Il decreto Rave, a causa della concomitanza della procedura di bilancio (e delle feste natalizie), è approdato in Aula alla Camera solo il 27 dicembre, quando è stata immediatamente posta la questione di fiducia sul testo già approvato dal Senato. Tuttavia, alle 8.00 del 30 dicembre, giorno di scadenza, un’ottantina di deputati doveva ancora intervenire, mettendo a rischio l’approvazione del decreto entro la mezzanotte. Non essendo però ancora matematicamente certo lo sforamento del termine, la maggioranza faceva iscrivere una trentina di suoi deputati, così da consentire al Presidente della Camera di chiudere la discussione anzitempo, «al fine di assicurare che la deliberazione dell’Assemblea avvenga nei termini costituzionali, senza concedere la parola ai deputati che hanno fatto richiesta per dichiarazione di voto finale o a qualunque altro titolo». Come detto, però, i “termini costituzionali” non sono posti a carico del Parlamento e i deputati che avevano fatto richiesta di parlare esercitavano una prerogativa garantita loro dal Regolamento. E l’eventuale decadenza del decreto non avrebbe comportato alcuna grave conseguenza.
Come si vede, dunque, i primi passi della nuova maggioranza ripercorrono le peggiori pratiche precedenti e ne aggravano gli effetti: gli spazi parlamentari di deliberazione effettiva nella fondamentale procedura di bilancio si sono ancora ridotti; il ricorso alla decretazione d’urgenza sembra ulteriormente accrescersi; le forzature per imporre al Parlamento la conversione in legge di tale abnorme massa di decreti vengono accentuate; la procedura legislativa bicamerale, per il tramite di un ricorso sistematico alle questioni di fiducia, viene di fatto soppiantata da una procedura monocamerale concentrata in una sola Commissione, consumando ogni effettivo potere decisionale delle due Aule.
Nel complesso, lo svilimento del Parlamento all’interno del processo di produzione legislativa ne riesce confermato e si scorgono i germi di un suo ulteriore aggravamento. Non si tratta solo di evidenti violazioni delle disposizioni costituzionali, il che sarebbe grave in sé. Nel sistema della Costituzione, la superiorità delle due Camere nella produzione legislativa è a servizio della sovranità popolare e del principio democratico. Non solo perché è nelle due Camere che siedono i rappresentanti direttamente eletti dal popolo. Ma anche perché solo il circuito legislativo nelle Camere garantisce trasparenza sufficiente e tempi adeguati a una reale interlocuzione dei cittadini e dei corpi intermedi della società con l’apparto istituzionale. Il circuito di produzione normativa incentrato nel Governo, invece, è sì rapido ma anche assai opaco. Privilegiare il primo favorisce la partecipazione; privilegiare il secondo la verticalizzazione del potere. I primi passi della nuova maggioranza procedono in questa seconda direzione, non solo nelle proposte di modifica costituzionale, ma anche nei fatti. Purtroppo proseguono su un solco già ben tracciato da chi li ha preceduti.
Il Presidente della Repubblica che fa? Perché non interviene in sede di controfirma dei DL che, come previsto dalla Costituzione, dovrebbero rispondere ai requisiti di necessità e urgenza? E perché non interviene, in sede di promulgazione delle leggi, per denunciarne, quando c’è, l’incostituzionalità? Passano decreti illegittimi e leggi incostituzionali continuamente. Per responsabilità di presidenti assenti o conniventi abbiamo avuto intere legislature illegittime (è il caso più eclatante), ma anche leggi ordinarie di ogni tipo, palesemente incostituzionali, passate al vaglio di presidenti della Repubblica dormienti o conniventi, cosiccome decreti legge, la cui urgenza era ed è rimasta tutta da dimostrare. Potrei continuare con la miriade di casi di mancanza di rispetto della Costituzione in cui incorrono i nostri presidenti della Repubblica, ma sono noti. La figura del garante della Costituzione va ridisegnata con una modifica costituzionale necessaria più di ogni altra.