Lula ha vinto!

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Scrutinati il 99,95% dei voti, Lula riceve 60.313.340, il 50,90% dei voti validi. Il perdente, Jair Bolsonaro riceve invece 58.189.292, il 49,10%. Ha votato l’80% dei brasiliani aventi diritto e Lula ha ottenuto più consensi di quelli ricevuti nelle due precedenti elezioni presidenziali. Luiz Inácio Lula da Silva sarà per la terza volta il presidente del Brasile. Si insedierà a gennaio 2023. La Cut, Confederazione unitaria dei lavoratori, sindacato costituito da Lula ai tempi della dittatura militare, pubblica i primi messaggi di congratulazione e tra questi quella di Joe Biden, che si dichiara ansioso di lavorare in collaborazione dopo elezioni “libere, giuste e credibili”. Dall’Europa sono giunte le congratulazioni di Emmnuel Macron, di António Costa, primo ministro portoghese, e del premier spagnolo Pedro Sanchez.

Entrando al seggio per votare Lula ha dichiarato: «Oggi è forse il giorno più importante della mia vita e penso che sia un giorno molto importante per il popolo brasiliano, perché oggi le persone stanno definendo il modello del Brasile che vogliono, il modello di vita che vogliono». È proprio così, ma la strada sarà molto impegnativa dovendosi confrontare con una destra molto forte in un Paese spaccato. All’inizio della campagna elettorale sembrava una vittoria facile tale era la disistima per il presidente in carica e ancora nei sondaggi di sabato 29 ottobre il divario dei consensi elettorali tra i due candidati oscillava da un minimo di due a un massimo di otto punti. Come era già avvenuto per il primo turno le differenze reali negli orientamenti elettorali erano inferiori al previsto, e alcuni elettori intervistati non sono stati sinceri. È meglio comunque ricordare il trend dei sondaggi pubblicato dall’istituto che più si è avvicinato all’esito reale:

Ancora nelle ultime elezioni amministrative (15 novembre 2020) sembrava che il voto dato in passato a Bolsonaro fosse rientrato nelle formazioni politiche tradizionali con una netta sconfitta dei candidati delle formazioni politiche che sostenevano il presidente e, insieme, l’insuccesso del PT, il partito di Lula, che non recuperava i milioni di voti persi negli anni precedenti (https://volerelaluna.it/mondo/2020/11/25/brasile-bolsonaro-sconfitto-alle-amministrative-ma-la-sinistra-non-vince/). Ma l’elettorato moderato, progressivamente, ha scelto la destra “protofascista”, come la chiama Leonardo Boff, piuttosto che Lula, il quale pure aveva come candidato alla vicepresidenza un leader importante del PSDB, il partito socialdemocratico che ha come simbolo il tucano, Geraldo Alkmin; ancora a novembre 2021 quest’ultimo era il secondo partito brasiliano mentre in queste elezioni si è praticamente dissolto, con i vecchi e prestigiosi dirigenti come Alkmin, Fernando Enrique Cardoso (per due volte presidente della repubblica), José Serra a sostenere Lula per difendere la democrazia e la giustizia sociale e i dirigenti attuali, a partire dal governatore di San Paolo, schierati con Bolsonaro. Di più. Dopo il voto del primo turno, con Lula in vantaggio di cinque punti su Bolsonaro (circa 6 milioni di voti), la strada sembrava in discesa perché le formazioni politiche che avevano sostenuto Simone Tebet (quasi 5 milioni di voti) e Ciro Gomes (oltre 3,5 miloni di voti) si erano espresse appoggiando Lula al ballottaggio; ma anche in questo caso l’elettorato si è diviso tra i due candidati.

Durante lo svolgimento della campagna per le elezioni presidenziali molti osservatori hanno prestato attenzione agli orientamenti e alle intenzioni di voto dei credenti cattolici ed evangelici. Questa attenzione era dovuta innanzitutto al fatto che l’attuale presidente ha un forte legame politico, oltreché di fede, con la gerarchia della chiesa evangelica e nel suo governo il ministro per la famiglia è una nota esponente evangelica che ha condotto la campagna elettorale sostenendo che con la vittoria di Bolsonaro finalmente dio sarebbe stato al governo (con lei sua rappresentante, possiamo pensare, anche se non l’ha mai detto). Tra i diversi sondaggi che hanno accompagnato la competizione elettorale ne è comparso anche uno sulle intenzioni di voto dei credenti, ripetuto nel tempo. Tra i fedeli evangelici Bolsonaro aveva il 62% (era il 66%) mentre Lula registrava il 32% (era 28%). Tra i cattolici Lula era al 58% (il 55% nelle rilevazioni precedenti) e Bolsonaro il 37% (dal 39% precedente). Anche tra i credenti la spaccatura negli orientamenti politici e elettorali è abbastanza evidente. Mentre è noto il sostegno della gerarchia delle chiese evangeliche a Bolsonaro nulla è reso noto sul ruolo delle gerarchie cattoliche, anch’esse divise e con una destra partecipe della rete internazionale clerical-politica che difende il primato dei cristiani nel mondo e che oggi, ad esempio, viene citata indirettamente dal presidente della Camera dei deputati italiana e vede la gerarchia peruviana sostenere l’impeachment dell’attuale presidente Castillo. https://left.it/2022/10/27/bolsonaro-e-la-guerriglia-religiosa-che-lo-sostiene/

Rispetto all’esito elettorale di ieri le analisi sulle ragioni del voto, sulle differenze sociali e regionali devono essere ancora svolte, ma già dal primo turno appare evidente quanto pesano queste differenze tra i brasiliani e tra il nord e il sud del paese (cambiando emisfero, il loro nord è il nostro sud). Bolsonaro si afferma con nettezza nelle regioni del sud e del centro-ovest (59% contro 41 di Lula), Bolsonaro di poco sopra il 50% nel sud-est mentre Lula si afferma negli stati dell’Amazonas e trionfa nel Nord-est (72% a 28%). Immenso è il consenso di Lula nelle zone emarginate delle metropoli, tra tutte quella del Complexo do Alemão, la grandissima favela di Río de Janeiro dove ieri sera esplodevano i fuochi d’artificio illuminando il cielo carioca per festeggiare la vittoria di Lula.

Nei tre mesi di campagna elettorale ci sono state 1367 denunce a imprenditori che minacciavano i loro lavoratori per indurli a votare per il presidente in carica e nel giorno delle votazioni la polizia bloccava gli elettori che volevano recarsi alle urne nel nord-est del paese dopo che il loro comandante locale si era schierato con la destra. Man mano che si avvicinava il giorno del ballottaggio le tensioni e la violenza sono state crescenti. Alcuni giorni prima l’ex deputato Roberto Jefferson ha accolto la polizia che veniva ad arrestarlo con numerosi colpi d’arma da fuoco e il lancio di bombe ferendo diversi poliziotti. Poco prima aveva rilasciato una intervista alla rete social di un’organizzazione evangelica appellandosi all’intervento diretto dei militari: «Correggiamo l’errore della rivoluzione – riferendosi a quella della dittatura militare – perché Lula, Fernando Henrique, Dilma, Genuíno non avrebbero potuto sopravvivere». Jefferson, alleato di Bolsonaro e presidente onorario del PTB (il partito laburista, sic!), doveva essere arrestato in quanto organizzatore della “milicia digital”, organizzazione d’attacco della democrazia e in particolare dei giudici del Tribunale Elettorale Supremo (STF). Due giorni prima del voto la deputata Carla Zambelli del PL, il partito liberale di Bolsonaro, aveva minacciato un giornalista puntandogli la pistola dichiarando che non c’è nessuna legge che le vieta di portare l’arma durante la campagna elettorale, non riconoscendo il divieto che aveva emesso il Tribunale Supremo.

Bolsonaro accetterà l’esito delle elezioni? Aveva minacciato più volte di non farlo e speriamo che il contesto internazionale consigli l’ex capitano e prossimo ex presidente, assieme a parte non piccola della gerarchia militare, a recedere da questo intento. Comunque i rischi di una violenza crescente ci sono e una parte della destra potrebbe non accogliere l’appello per la fine dell’odio e della violenza rivolto da Papa Francesco al popolo brasiliano il 26 ottobre: «Nossa Senhora Aparecida proteja o Brasil e o liberte do ódio, da intolerância e da violência!».

I prossimi due mesi saranno duri per Lula e i suoi sostenitori. Nel momento in cui commento la vittoria di Lula non ho ancora potuto vedere i dati sui 12 ballottaggi per le elezioni dei governatori e la composizione del Parlamento. Ma il voto politico del 2 ottobre aveva già annunciato una situazione difficile in parlamento e nei rapporti tra istituzioni federali e statali. Comunque Lula ha vinto ed è una vittoria della democrazia e dell’uguaglianza. Come scriveva il militante assassinato a Las Higueras: «il peggior modo di perdere è rinunciare alla lotta». In Brasile non l’hanno dimenticato.

Gli autori

Fulvio Perini

Perini Fulvio, sindacalista alla CGIL, ha collaborato con la parte lavoratori, Actrav, dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

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