Non è una buona notizia per il mondo il fatto che papa Francesco ha voluto dedicare l’intera riflessione domenicale, che precede la preghiera mariana, al tema della guerra in Ucraina, tralasciando la pur consolidata prassi del commento al Vangelo. Segno che il piano inclinato del conflitto è prossimo a un punto di non ritorno.
Eppure, Francesco non si rassegna, evidentemente immune da quel virus del “positivismo del potere” di cui pare siano affetti i presunti grandi della terra. Rivolge una “supplica” a Putin, affinché cessi «anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte». Immediatamente dopo, indirizza un analogo appello al presidente dell’Ucraina «ad essere aperto a serie proposte di pace». La sua riflessione ruota intorno alla “pazzia” della guerra che è sempre in sé un «errore e un orrore». Sullo sfondo la minaccia nucleare che il papa esplicitamente evoca e che bolla come “assurda”.
Il papa ha voluto così ribadire la tesi contenuta nella Lettera enciclica Fratelli tutti secondo cui non ci potrà mai essere una “guerra giusta”, essendo la guerra l’incarnazione stessa del male assoluto. «Oggi è molto difficile sostenere – si legge nell’enciclica – i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!». Per concludere nella nota successiva: «Sant’Agostino elaborò un’idea di guerra giusta che oggi ormai non sosteniamo».
Ma la grandezza del suo appello, che rende dei nani politici gli attuali reggitori degli Stati coinvolti direttamente o meno nel conflitto, risiede altrove. È in una traccia tutt’altro che astratta di un ipotetico negoziato di pace, se solo si interpreta controluce quella che necessariamente appare una formula allusiva. Così, conclude la sua omelia: «Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni».
Se l’ipotesi ermeneutica che si propone è fondata, il primo cardine da fissare sarebbe un cessate il fuoco immediato, per costruire le condizioni minime di un negoziato; il punto secondo, dovrebbe essere rappresentato dal ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina; il terzo, il rispetto delle minoranze russofone. L’ultimo punto, invece, chiama in causa il blocco occidentale, che già in precedenza aveva tacciato di “abbaiare” ai confini della Russia (in un’intervista rilasciata a Civiltà Cattolica). È contenuto in una formula contratta ma inequivoca, «rispetto […] delle legittime preoccupazioni». Molto probabile si riferisca a uno statuto di neutralità perlomeno militare da preservare all’Ucraina.
Più che sul diritto internazionale – che sovente asseconda la legge del più forte anziché emendarla – l’appello di Francesco è riposto su di un’idea di giustizia antica quasi quanto il mondo. Nel solco delle più grandi tradizioni religiose allude all’armonia che in politica significa, poi, equilibrio o, quanto meno, contenimento degli squilibri.