Difficile immaginare un momento peggiore di questo per la credibilità della Corte Suprema degli Stati Uniti e per la sua capacità di presentarsi come il faro del progresso civile all’interno del mondo occidentale. Due decisioni di fine semestre, per quanto prevedibili, paiono oggi non soltanto minare in via definitiva le basi della sua legittimazione quale Corte con compiti di controllo sulla costituzionalità delle leggi (così detto judicial review power), già in precedenza fortemente in bilico. Esse sembrano più in generale decretare il declino del modello statunitense, da decenni associato a un ideale di civiltà giuridica più avanzata e per questo oggetto di imitazione da parte delle “periferie” del mondo.
Si tratta delle sentenze del 23 e il 24 giugno 2022, in tema rispettivamente di porto d’armi e di aborto, emanate sulla scorta di una medesima lettura originalista della Costituzione, che ha dato però luogo nei due casi a esiti opposti, tanto sul piano logico quanto su quello più strettamente giuridico.
Nel primo caso, New York State Rifle & Pistol Association v. Bruen, la Corte Suprema era chiamata a decidere sulla costituzionalità di una legge di New York, che stabiliva che per ottenere il porto d’armi occorresse dimostrare un valida ragione (proper cause) per richiederlo. Si trattava, come dice la Corte di una “may issue” jurisdiction, ossia di uno Stato in cui l’autorità in base alla legge poteva discrezionalmente decidere di non dare il permesso di porto d’armi qualora non ritenesse giustificabile il motivo della richiesta (analogamente a quanto avviene da noi, per intenderci). La questione del diritto costituzionalmente protetto di girare armati si era posta negli Stati Uniti subito dopo che nel 2008 e nel 2010, rispettivamente con le decisioni Heller e Mc Donald, la Corte Suprema aveva dichiarato costituzionalmente tutelato il diritto dei cittadini statunitensi di possedere un’arma a casa propria per potersi difendere. In District of Columbia v. Heller del 2008, la Corte Suprema era tornata, rovesciandola, sull’interpretazione data nel 1939 al secondo emendamento della Costituzione federale, che così recita: «Siccome alla sicurezza di uno Stato libero è necessaria una milizia ben organizzata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto». Si tratta certamente di un disposto normativo poco chiaro, giacché la milizia e il diritto dei singoli cittadini alle armi sono due concetti non immediatamente conciliabili. Nel 1939, investita della questione del significato da attribuire a quell’emendamento, la Corte Suprema aveva, infatti, risposto che il diritto di possedere e portare armi non ha «alcuna relazione con il mantenimento e l’efficienza di una milizia ben organizzata». Pertanto, una legge che puniva la detenzione di un fucile a canne mozze, come la normativa federale la cui costituzionalità la Corte era stata incaricata di valutare, veniva giudicata come perfettamente legittima. Nel 2008, però, una Corte completamente rinnovata nella sua composizione, in una storica decisione redatta dall’ormai deceduto giudice di origini italiane Antonin Scalia, modificava l’interpretazione precedentemente data e dichiarava incostituzionale una legge federale che fin dal 1976 impediva agli abitanti del District of Columbia di detenere una pistola in casa. Da quel momento in poi il secondo emendamento ha garantito agli americani un vero e proprio diritto al possesso di un’arma da fuoco a fini di difesa. Ciò anche perché una successiva pronuncia della medesima Corte, Mc Donald v. City of Chicago del 2010, nel dichiarare incostituzionale una legge che dal 1982 puniva in Illinois chiunque detenesse una pistola, qualificava il diritto a possedere un’arma come diritto fondamentale valido sull’intero territorio nazionale.
Ma avere il diritto di possedere un’arma da fuoco significa anche avere il diritto di andare in giro con quell’arma, magari mettendola in bella mostra? È questa la domanda cui l’odierna Corte ha oggi risposto affermativamente, ampliando la portata della tutela costituzionale ad armarsi. Se il secondo emendamento garantisce il diritto di difendersi con un’arma, ciò deve valere non solo quando il cittadino è a casa propria, ma anche quando egli o ella è fuori casa, scrive per tutta la Corte Clarence Thomas, il più conservatore fra i suoi membri. E ancora, il diritto ad armarsi per difesa, una volta riconosciuto, non può essere un diritto di serie b: «Non esiste diritto costituzionale che un individuo può esercitare solo dopo aver dimostrato una valida ragione per farlo valere». Sta quindi alla pubblica autorità dimostrare che ci sono ragioni valide per limitarlo e queste non possono che ricavarsi dall’intenzione dei padri fondatori e dalla «tradizione storica della nazione». Solo attraverso una interpretazione originalista gli Stati potranno dunque, secondo la Corte, legittimamente circoscrivere un diritto altrimenti illimitato di armarsi, in una nazione in cui ci sono più armi che cittadini (compresi vecchi e bambini) e dove vengono commesse circa due stragi armate al giorno (https://www.gunviolencearchive.org/). E se è certamente vero che, come dice Justice Alito, non è limitando il porto di un’arma – che si può comunque legalmente acquistare e tenere a casa a propria – che si evitano le stragi come quelle recenti di Uvalde, Texas o Buffalo, New York, è pur vero che più si è liberi di comprarle e di andare in giro con le stesse, più è inevitabile che aumenti il numero dei morti per mano armata. I tanti casi in cui improvvisati vigilantes ammazzano persone (soprattutto, ma non solo, nere) innocenti – come il giovane Treyvon Martin (https://edition.cnn.com/2013/06/05/us/trayvon-martin-shooting-fast-facts/index.html) – supponendo erroneamente di doversi difendere o di dover difendere la collettività, insegnano. Così, mentre cresce il numero degli Stati in cui addirittura il permesso di portare l’arma non è mai richiesto (ciò soprattutto se l’arma è in bella vista), col risultato che nessun controllo preventivo viene effettuato sulla stabilità mentale o la pericolosità sociale di chi si aggira magari con un fucile d’assalto, quei pochi Stati che – come New York – consentivano ai propri cittadini di girare con un’arma addosso solo se avessero avuto una valida ragione per farlo, devono oggi cancellare le loro normative dichiarate incostituzionali. Se, insomma, è sempre possibile e costituzionalmente legittimo per uno Stato consentire a chiunque di andare in giro armato, o concedere il porto d’armi anche ai pregiudicati per reati perfino violenti – come accade in almeno venti Stati –, è invece assoggettata a forti limiti costituzionali la possibilità per uno Stato di restringere il diritto costituzionalmente protetto di girare armati. È questo il parere di una Corte i cui membri – in particolare Clarence Thomas e Samuel Alito – da parecchi anni spingevano affinché le lobbies delle armi sollevassero un caso che permettesse loro di andare oltre Heller e McDonald. Così, mentre negli Stati Uniti il diritto di armarsi prevale oggi sul diritto di vivere, subito dopo la decisione della SCOTUS i produttori di armi hanno visto impennarsi i rispettivi titoli azionari (https://www.forbes.com/sites/sergeiklebnikov/2022/06/23/gun-stocks-surge-higher-as-supreme-court-rejects-new-yorks-concealed-carry-law/?sh=5cfbc8e4039f) e finalmente la società americana – inondata di armi, la cui regolamentazione è insufficiente o del tutto assente, e afflitta da tassi insopportabili di omicidi e suicidi a mano armata – risulta essere ciò che essi hanno sempre voluto. Le eventuali regolamentazioni che Stati, come la California o New York, tenteranno di implementare per limitare i danni, saranno soggette al vaglio di una Corte la cui ottica, restrittivamente originalista, lascia pochi dubbi in ordine a un cambiamento di passo.
La seconda decisione, Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, sul diritto di aborto, muove anch’essa da un’interpretazione originalista della Costituzione, per giungere tuttavia a risultati opposti sotto il profilo tanto della prevalenza della vita fetale sull’autonomia riproduttiva della donna, quanto dei diritti costituzionalmente previsti nella Carta fondamentale (the Law of the Land): se con Bruen la Corte amplia infatti un preesistente diritto, quello di armarsi, con Dobbs ne cancella uno previamente garantito, ciò che non era mai successo prima d’ora. L’autodeterminazione sul proprio corpo in gravidanza non è un diritto che i padri fondatori avevano a suo tempo enumerato – scrive per la maggioranza Samuel Alito – e averlo dedotto nel 1973, con Roe v. Wade, dal XIV emendamento sotto le spoglie di una privacy della donna rispetto all’ingerenza statale è stato “egregiously wrong”, cioè completamente sbagliato.
Le implicazioni della decisione di lasciare libertà agli Stati di fare ciò che vogliono in tema di aborto sono disastrose non solo per le donne – che dopo ben due generazioni in cui hanno goduto della possibilità di decidere sul proprio corpo e sulle conseguenze di una gravidanza non voluta si vedono improvvisamente private di una tale possibilità di scelta – laddove nel giro di poco tempo in ben metà degli Stati americani il divieto di aborto sarà totale, o quasi, ivi comprese le ipotesi di stupro e incesto. Sono tremende anche per la scia di incertezza e sicuro carico di litigiosità che essa si porta dietro, giacché – nonostante il convincimento del Justice Brett Kavanaugh che non limitarsi a dichiarare incostituzionale la legge del Mississippi (che prevedeva la possibilità di abortire fino alla 15 settimana, in luogo della 24 ma circa prevista da Roe), come avrebbe voluto il Chief Justice Roberts, significa evitare future richieste di chiarimenti – restano da decidere questioni cruciali. Potrà uno Stato obbligare per esempio un’adolescente a partorire? O imporre di portare avanti la gravidanza anche nel caso di pericolo di vita per la madre, o di grave malformazione del feto? E che succede se uno Stato decide di sanzionare penalmente anche la donna e non solo chi su di essa pratica l’aborto, o di sanzionarla se va ad abortire in uno Stato in cui questo è consentito? O ancora di sanzionare chi invia alla donna, che vive nel suo territorio, la pillola abortiva? Sono tutte questioni che le Corti di giustizia si troveranno ad affrontare a breve e per le donne non sarà certamente facile capire fino a che punto la libertà di scelta sul proprio corpo sarà limitata.
Le implicazioni di Dobbs sono però addirittura più drammatiche sotto un diverso profilo, perfino più importante. Con Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization la Corte ha, infatti, perso definitivamente la sua verginità. Rovesciare un precedente con i toni con cui lo ha fatto Justice Alito significa insultare i suoi predecessori e quindi delegittimare l’autorevolezza stessa della Corte Suprema come istituzione. Non solo. La divisione su linee strettamente partitiche fra i membri della Corte, laddove i 6 repubblicani – così come in Bruen – hanno votato compatti contro i 3 democratici, è aggravata dalle parole dei giudici dissenzienti: «La maggioranza ha rovesciato Roe per una ragione soltanto: perché l’ha sempre disprezzata e ora ha i voti per liberarsene. La maggioranza, perciò, sostituisce oggi il governo della legge con quello dei giudici». Il re è nudo, dunque. Per una Corte, la cui legittimazione poggia sulla sua veste tecnica e mai politica (perché mai 9 giudici potrebbero altrimenti dichiarare invalida una legge votata da tutti i rappresentanti del popolo?) una simile affermazione è, infatti, una vera pietra tombale sulla sua credibilità quale giudice delle leggi.