I vaccini appartengono al mercato e non ai diritti fondamentali: parola di WTO

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Mentre scrivo l’evento, anche se sono passate poco più 48 ore, è già scomparso dalle cronache e dai mass media: tanto da rendere necessario richiamarlo per sapere di che si parla. Dopo una notte insonne, piena di scontri diplomatici, economici, politici che hanno prolungato ulteriormente il vertice dei governi della Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), il 17 giugno a Ginevra è stata annunciata la soluzione della ormai mitica guerra/trattativa (i termini sono eco fedele dell’intrico del retroterra e delle implicazioni della decisione) sui criteri e le condizioni per rendere i vaccini per Covid 19 accessibili a livello globale. Di fatto, non cambia nulla o quasi. Della sospensione temporanea dei brevetti (richiesta da India, Sudafrica, da un centinaio di paesi poveri del mondo e da migliaia di personalità) non c’è traccia nei documenti finali, che si limitano a illustrare alcune facilitazioni per i Paesi in via di sviluppo nell’uso delle licenze obbligatorie, già peraltro previste dagli accordi TRIPS (sui diritti di proprietà intellettuale).

Sarebbe necessario, a rigore, entrare nel merito dei dettagli di un accordo atteso come storico, in quanto coincidente con uno snodo-paradigma (teorico ed operativo) in uno degli ambiti chiave che regolano i rapporti tra i diritti fondamentali degli umani e dei beni comuni e i diritti delle cose-mercato. Ma, a guardare la sostanza, riprendere punto per punto il testo della decisione (nella sua incomprensibilità di linguaggio e di implicazioni se non ai super addetti ai lavori) sarebbe addirittura fuorviante per capire “chi ha vinto, e a che condizioni”. La lunghezza stessa della trattativa (ormai dall’inizio della pandemia) e l’atmosfera di “crisi da evitare a tutti i costi” della sua conclusione dicono che l’accordo è tutt’altro che lineare e risolutivo.

Il confronto tra i commenti, i linguaggi, il detto-non detto dei protagonisti dice più di qualsiasi tentativo di interpretazione-comprensione. A fronte delle dichiarazioni trionfalistiche («La WTO ha dimostrato di essere capace di rispondere alle emergenze di questi tempi difficili ed esce da questa vicenda rinforzata ed incoraggiata» (Ngozi Okonjo-Iweala, direttore generale WTO]; «Gli Stati membri sono riusciti a superare le loro differenze per garantire vaccini efficaci e sicuri per coloro che più ne hanno bisogno» [Katherine Tai, rappresentante degli Stati Uniti]), stanno vere e proprie stroncature: «È difficile immaginare una risposta più negativa di quella proposta come soluzione per un’emergenza globale. […] Non c’è nessuna concessione sostanziale o praticabile: si ragiona in termini di “eccezioni eventuali e possibili”, non di politiche propositive ed operative, e si evita del tutto di mettere in discussione, anche soltanto per un periodo, le regole della WTO sui brevetti: si può dire che l’accessibilità ai vaccini rimane un privilegio» (Jamie Love, direttore di Knowledge Ecology International, e autore di riferimento per i diritti di proprietà intellettuale).

Le valutazioni critiche (senza se senza ma) sono comuni a tutte le organizzazioni internazionali indipendenti (più di 100) che hanno lavorato in questi anni per cambiare almeno qualcosa di significativo: «Le decisioni di Ginevra garantiscono e portano vantaggi per la sopravvivenza delle élites internazionali e nazionali. […] Passo indietro drammatico rispetto anche a quanto si doveva fare per essere preparati al futuro. […] La 12° conferenza ministeriale (MC12) è stata un fallimento senza scuse per l’85% delle popolazioni dei paesi più deboli, per i miliardi che nel mondo rimarranno senza possibilità di accesso neppure ai test diagnostici e ai trattamenti che non siano solo alcuni vaccini, senza parlare delle nuove varianti». Le citazioni non finirebbero più. Può essere utile concludere con tre posizioni che riassumono questo lungo periodo di proposte, speranze, compromessi, illusioni, malafede, giochi di potere: «La WTO e tutti i paesi ricchi hanno prodotto un programma che rappresenta addirittura un peggioramento netto di quanto era già possibile fare secondo gli accordi TRIPS» (Asia Russell, Health Director); «Immaginare una sospensione anche temporanea delle regole va contro i principi stessi della WTO: non è infatti un problema di proprietà intellettuale: l’unico fattore che conta nel determinare la scarsità dei vaccini è la struttura complessiva dei mercati» (Direttore generale della International Pharmaceutical Manufacturers Association); «L’accordo approvato dalla WTO è un nothingburger (aria fritta, ndr) dal punto di vista della salute pubblica. La discussione sulle responsabilità più importanti, tra Stati Uniti, Unione Europea, debolezza della SHO potranno andare avanti per il prossimo round. Tanti popoli sono affamati di trasparenza oltre che di vaccini […]. Forse è peggio di un nothinburger. O di carenza di calorie. È carne cattiva» (Politico).

L’evento è stato dunque un non-evento? Purtroppo no. Se da un lato non cambia nulla, dall’altro cambia tutto. In gioco c’era una domanda che aveva acquisito una chiara priorità di fronte all’emergenza pandemica, e prima della disponibilità dei vaccini: se e quando si trova un rimedio a una crisi tanto globale quanto atipica dei mercati, la soluzione sarà disponibile con la stessa logica della pandemia, in modo “universale”, senza eccezione? E la risposta – implicita, etica, di diritto, senza frontiere – era stata: «Certo. Ne va della vita dell’umanità! Si devono superare le divisioni». Ma la decisione della MC12 è stata: «Non scherziamo! I vaccini (senza parlare di tutto il resto: salute pubblica, diagnosi, prevenzioni basate su beni del mercato etc.) sono espressione strutturale del mercato così come è. Si può discutere, suggerire flessibilità ma non dare indicazioni operative! Ognuno deve arrangiarsi…». Le regole non si sospendono: sarebbe come creare un precedente troppo pericoloso e attraente. Si può solo “essere buoni” e prevedere, con equilibrio e senza sbavature, eccezioni. Da approvare di volta in volta. Non da parte di chi ha bisogno: ma da parte di chi è di fatto “indipendente” dal rischio dei bisogni: i proprietari. Purtroppo questa non è la riproduzione di un dibattito stile talk-show: è l’interpretazione ufficiale, e indiscutibile, del diritto internazionale, che all’evidenza non è più universale: non ha più come soggetti e destinatari gli umani, come individui e come popoli, a livello globale e nei singoli stati. Proteste, più o meno scandalizzate o disobbedienti, da parte delle Nazioni Unite, in tutte le loro espressioni? Nessuna. Né ora, né in attesa.

L’evento del 17 giugno 2022 non è certo l’unico segno della crisi per assenza-impotenza-incompetenza del diritto internazionale. Dice però che i tempi sono cambiati. Le guerre mondiali avevano fatto del diritto alla vita di tutte/i, nessuna/o escluso, il principio di riferimento da non violare: insieme alla proibizione della guerra. Da tempo la guerra è stata – macroscopicamente – reintrodotta: dappertutto, tanto da rendere “strana” l’importanza che si da a quella in corso. E il linguaggio e la logica della guerra sono ormai da molto tempo, nelle loro diverse versioni, i veri protagonisti dei rapporti tra popoli, e soprattutto tra poteri, che spesso non coincidono con soggetti di diritti inviolabili, ma con proprietari inviolabili di beni (dei più diversi tipi). È normale dunque che l’evento-non-evento da cui si è partiti non abbia avuto tanto seguito nei media. La guerra dei vaccini è stata sostituita da quella in Ukrajna: nella quale il nucleo fondamentale, la pace, non ha spazio nei talk-show internazionali tra Stati ormai più impegnati nelle guerre dei gasdotti, che “scoprono”, per occupare spazi e tempi nei media, che le guerre provocano anche morti, distruzioni… Nel silenzio, anche qui del diritto internazionale dei popoli.

Ma il discorso si farebbe troppo lungo. Per ora, restiamo in attesa del quarto vaccino, o della prossima pandemia, o di una economia di guerra, che fin d’ora obbedisce alle sue regole: produrre vittime che non si contano, e guadagni altrettanto incontrollabili per i decisori-produttori delle guerre. Nel suo piccolo, fedele ruolo, di dipendente, l’Italia, nella politica dei vaccini e degli armamenti, si accoda.

Gli autori

Gianni Tognoni

Gianni Tognoni, medico, è esperto di epidemiologia clinica e comunitaria. E' stato direttore del Consorzio Negri Sud. Attualmente opera nel Dipartimento di Anestesia-Rianimazione e Emergenza-Urgenza , Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano. E' presidente delComitato Etico, Università Bicocca, Milano.

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3 Comments on “I vaccini appartengono al mercato e non ai diritti fondamentali: parola di WTO”

  1. A che servono le medicine?
    Ma a guadagnare.
    Ma che dici, io quando la mi dottoressa me le consiglia, vado in farmacia e me le compro; mi giovano!
    Appunto! Ma è meglio che vai armato che qualche losco individuo potrebbe rapinarti!
    Le medicine e le armi servono entrambe per vivere

  2. il vaccino piu economico costa 3 euro a dose, quello usato in UK (funziona).
    costa poco piu di un caffe.

    il vaccino piu caro costa 20 euro.

    é davvero una cifra impossibile?

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