Carlo Smuraglia se ne è andato.
Per quasi un secolo è stato un punto di riferimento per chi perseguiva libertà e giustizia sociale: nella politica, nelle aule di giustizia, nella società, nell’Anpi. L’antifascismo non è stato per lui, come per molti, una parola da rispolverare una volta l’anno ma uno stile di vita a cui ci ha spesso richiamati, anche con durezza. Come ricorda Francesco Campobello, che ha firmato con lui una lunga e appassionata intervista (Con la Costituzione nel cuore, Edizioni Gruppo Abele, 2018), «la vecchiaia spesso si accompagna al pessimismo, alla malattia, alla resa. Col passare degli anni si guarda sempre più spesso al passato, e in particolare al proprio passato, piuttosto che al futuro. Per Carlo Smuraglia era il contrario. Per tutta la sua lunga vita si è indignato, ha lottato, ha riflettuto e ha agito. A chi gli chiedeva se avesse qualche rimpianto, rispondeva: “certamente fino al 1946 ho fatto il mio dovere”, come se una vita di battaglie repubblicane, sociali e giuridiche, non reggesse il confronto con la liberazione dal nazifascismo». La sua intervista a Francesco Campobello, riassume, fin dal titolo, scelto da lui e a cui era legatissimo, il suo pensiero, la sua passione, i suoi riferimenti. È quasi banale dire che ci mancherà ma è profondamente vero. Ci piace ricordarlo pubblicando l’ultima pagina di quell’intervista, in cui ci lascia un messaggio di ottimismo della volontà, di futuro, di coerenza. Un messaggio dedicato soprattutto ai giovani, ma di cui abbiamo bisogno tutti.
Mi rifaccio al settembre-ottobre del 1943. Se qualcuno, analizzando realisticamente la situazione, avesse detto a noi giovani: «Ma cosa credete di poter fare? Vi volete mettere contro l’esercito più forte del mondo? Lasciate perdere, non avete nessuna prospettiva» sarebbe stato difficile dargli torto. Ma ha prevalso, giustamente, l’idea di libertà e di democrazia a qualunque costo. Perché oggi non possiamo fare altrettanto? […]
Proprio così. Il futuro è in gran parte nelle nostre mani. Se diciamo che non ci sono alternative e ci arrendiamo, non ci sarà avvenire. Ma se riflettiamo sul fatto che l’Italia durante e dopo la guerra ha visto e vissuto di tutto ed è comunque sopravvissuta e risorta, possiamo ritrovare la speranza. Abbiamo avuto tentativi di colpi di Stato, stragi politiche e stragi mafiose, spesso tra loro intrecciate, gli anni di piombo e del terrorismo, e li abbiamo superati. Perché non dovremmo riuscire a fare altrettanto con le difficoltà attuali? Bisogna mantenere ferma la capacità di indignarsi. Io mi indigno spessissimo e moltissimo quando vedo i telegiornali o ascolto la radio la mattina; ma poi rifletto e ritrovo le ragioni di un impegno non visionario ma fondato sulla ragionevolezza, sulla fiducia e, magari, su una piccola dose di utopia.
Non sono un ingenuo o un illuso, ma voglio richiamare le parole e il pensiero dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che aveva partecipato alla Resistenza e aveva sognato, come tutti noi partigiani, un Paese diverso. Ebbene, Ciampi, coerentemente con questa linea, ha intitolato un suo libro Non è il paese che sognavo, ma in esso, rivolgendosi ai giovani, ha citato come esempio i fratelli Rosselli, che diedero a un foglio clandestino, in periodo fascista, il titolo Non mollare. Non è il mondo che ci aspettavamo ma continuiamo a combattere perché diventi il mondo che avevamo sognato; e sono convinto che se ci impegniamo seriamente, e con fermezza, tutto è possibile.
Ho concluso la mia esperienza di presidente dell’Anpi, con un messaggio finale che contiene la mia filosofia e il fondamento del mio “ottimismo della volontà”, traendo spunto da una bellissima frase del poeta Ovidio («Il Creatore ha creato gli animali con la faccia prona, ma agli uomini comandò di guardare eretti il cielo e volgere lo sguardo verso le stelle»): dunque «schiena dritta, sguardo verso le stelle, con dignità e speranza; e il futuro sarà vostro». Un messaggio che spero vivamente venga raccolto. Può sembrare retorico, ma è davvero quello che penso e in cui credo, ancora nel solco di una frase del presidente Ciampi, rivolta a dei ragazzi «sta in voi di volgere in positivo le difficoltà di questi tempi».
La scomparsa di Carlo Smuraglia giustamente mobilita il ricordo di lui come antifascista, partigiano, Presidente dell’Anpi, perciò pilastro di democrazia repubblicana. Qui lo vorrei ricordare anche come giurista. Negli anni ’70 del ‘900, io e altri magistrati fra i quali Raffaele Guariniello e Claudio Castelli (ora Presidente della corte d’Appello di Brescia) trovammo nei suoi scritti di diritto penale del lavoro un sostegno e un indirizzo al nostro impegno per la tutela della salute e della sicurezza in fabbrica come valori costituzionali inderogabili. Lui, docente di diritto del lavoro e avvocato dedito a tutelare le vittime della nocività, aprì la “Rivista Giuridica del Lavoro” della Cgil alla tematica infortunistica. Noi collaborammo con lui alla Redazione per diffondere, discutere e approfondire le nostre esperienze giudiziarie. Furono anni di grande impegno, anche nei corsi del C.S.M., dove lui e alcuni di noi lavorammo alla formazione dei giovani magistrati sul punto. Si avviò una stagione di intenso controllo sulle illegalità nelle imprese, purtroppo offuscata negli ultimi anni da un calo di professionalità degli organi dello Stato e da un minore impegno da parte dei sindacati, in parallelo con il dilagare di sfruttamento e precarietà dei dipendenti. Carlo Smuraglia rimane un esempio di rigore scientifico ed etico per l’attuazione dei valori sociali scritti nella Costituzione. Non dimentichiamolo, anzi riprendiamo il suo insegnamento.
“Se diciamo che non ci sono alternative e ci arrendiamo non ci sarà avvenire”
Questa è esattamente la frase che per un trentennio abbiamo sentito ripeterci a sinistra: “non ci sono alternative”.
E così facendo ci siamo giocati l’avvenire.