Come ti privatizzo i servizi pubblici locali

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«Andrà tutto bene!» avevano annunciato i governi quando un minuscolo essere vivente, il Coronavirus-2, inceppando tutti i meccanismi della globalizzazione, aveva rinchiuso in casa più di metà della popolazione mondiale e bloccato tutti i flussi economici, produttivi, dei trasporti e della comunicazione. È andata così bene che, dopo oltre 500 milioni di contagi, 6 milioni di morti e due anni di restrizioni della vita sociale, siamo precipitati dentro una guerra al centro dell’Europa, provocata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma alimentata da molteplici attori statali e istituzionali, nessuno dei quali sembra volervi mettere fine e che rischia di precipitare tutte e tutti dentro l’orizzonte di una terza guerra mondiale. Pandemia e guerra si innestano altresì dentro un tempo che sembra ormai solo scandito da periodi che, a partire da un evento scatenante, dischiudono orizzonti emergenziali globali. Come in un tempo sospeso, in questi ultimi quindici anni siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi sociale, da una pandemia a una guerra, senza soluzione di continuità. E sullo sfondo, ma in maniera ormai non più rimovibile, ci troviamo immersi in una crisi eco-climatica che rischia di pregiudicare nell’arco di un tempo sempre più prossimo le stesse condizioni della vita umana sulla Terra. Mentre lo scenario descritto dovrebbe spingere a una riflessione collettiva sugli elementi sistemici di questo susseguirsi di “crisi” e di “emergenze” e aprire l’orizzonte a profondi cambiamenti sociali ed ecologici, il modello liberista lo utilizza per proseguire sulla medesima strada di sempre, costruendovi intorno un telaio istituzionale ancor più autoritario.

È il caso del Disegno di Legge sulla Concorrenza e il Mercato, attualmente in discussione al Senato. Di che cosa si tratta? Di una delle cosiddette “riforme abilitanti” concordate con l’Unione Europea per avere accesso ai fondi previsti dal Next Generation Eu, attraverso l’approvazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Che cosa prevede? Già la premessa è tutta un programma, laddove si afferma che il provvedimento ha lo scopo di «promuovere lo sviluppo della concorrenza e di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati […] per rafforzare la giustizia sociale, la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici, la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini».

Se dalle finalità generali passiamo al testo, scopriamo come un insieme molto ampio di settori viene sottoposto a (ulteriori) processi di liberalizzazione: dalla sanità all’attività portuale, dal servizio taxi alle concessioni balneari. Ma il cuore del provvedimento risiede nell’art. 6 che riguarda i servizi pubblici locali. Su questo punto va subito notato il salto di qualità messo in campo dal governo Draghi: per la prima volta si parla di tutti i servizi pubblici locali senza nessuna esclusione; come si evince dall’unico passaggio – paragrafo d – in cui sono menzionati i servizi pubblici locali a rilevanza economica, in merito alla necessità di una loro ottimale organizzazione territoriale, il resto del provvedimento supera i precedenti tentativi di privatizzazione per l’estensione dei servizi coinvolti. Ad ulteriore conferma di questo allargamento del perimetro normativo valga il richiamo (paragrafo o) alla necessità di armonizzazione del testo con il Codice del Terzo Settore, che ovviamente riguarda i servizi sociali, culturali e sportivi.

Ribaltando di 180 gradi la funzione dei Comuni e il ruolo di garanzia dei diritti storicamente svolto dai servizi pubblici locali, il DDL Concorrenza (paragrafo a) pone la gestione dei servizi pubblici locali come competenza esclusiva dello Stato da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza e ne separa (paragrafo b) le funzioni di gestione da quelle di controllo. I paragrafi successivi sono un vero capolavoro di rovesciamento della realtà. Mentre all’affidatario privato viene richiesta – buon per lui – una semplice relazione annuale sui dati di qualità del servizio e sugli investimenti effettuati, ecco il tour de force che deve affrontare il Comune nel caso in cui scelga la gestione in proprio di un servizio pubblico locale: dovrà produrre «una motivazione anticipata e qualificata che dia conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato» (paragrafo f); dovrà tempestivamente trasmetterla all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (paragrafo g); dovrà prevedere sistemi di monitoraggio dei costi (paragrafo i); dovrà procedere alla revisione periodica delle ragioni per le quali ha scelto l’autoproduzione. Non soddisfatto di puntare alla privatizzazione delle gestioni, il governo prevede anche (paragrafo q) una revisione della disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro «anche al fine di assicurare un’adeguata valorizzazione delle proprietà pubblica, nonché un’adeguata tutela del gestore uscente». In questo contesto, il richiamo – paragrafo t – alla partecipazione degli utenti nella definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale suona come la beffa una volta determinato il danno.

Come si evince dall’insieme delle norme, si tratta del tentativo di mettere una pietra tombale sul referendum che, nel giugno del 2011, aveva portato oltre 27 milioni di persone – la maggioranza assoluta del popolo italiano – a pronunciarsi contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali, per il riconoscimento dell’acqua come bene comune e per la sottrazione della sua gestione alle leggi del mercato. Il DDL Concorrenza comporta un feroce attacco all’uguaglianza e universalità dei diritti delle persone, ai beni comuni e alla democrazia di prossimità, riproponendo il trittico ideologico “crescita, competitività, concorrenza” come faro delle scelte politiche ed economiche, legato al mantra, ripetuto alla nausea, che «il benessere delle imprese determina il benessere della società».

Contro il decreto è stata avviata una campagna che ha coinvolto moltissime realtà associative, di movimento, sindacali e politiche e che, a metà maggio, ha prodotto un’importante giornata di mobilitazione in decine di territori. Contemporaneamente, molte grandi città – Roma, Napoli, Milano, Torino, Bologna – e decine di altri Consigli Comunali si sono pronunciati per lo stralcio dell’art.6. Una lotta importante che ha fatto retrocedere il governo: il testo dell’art. 6 è stato modificato e, benché non sappiamo ancora l’esito definitivo, è possibile che, anche questa volta, lo scenario di una privatizzazione senza ritorno possa essere scongiurato.

Naturalmente, se un attacco è forse respinto, siamo ancora lontani dall’aver invertito la rotta. Come la crisi plurima – climatica, finanziaria, sanitaria, sociale, culturale e politica – del modello capitalistico ci insegna, è radicalmente altra la strada da percorrere. Occorre abbandonare l’economia del profitto e costruire l’orizzonte di una società della cura – di sé, degli altri e delle altre, del vivente e del pianeta – per approdare a un modello sociale che metta al centro la vita e la sua dignità, che sappia di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul valore d’uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, sull’uguaglianza le sue relazioni, sulla partecipazione le sue decisioni.

L’articolo è pubblicato anche come editoriale del numero di maggio del mensile “LavoroeSalute”.

Gli autori

Marco Bersani

Marco Bersani, laureato in filosofia, è dirigente comunale dei servizi sociali e consulente psicopedagogico per cooperative sociali. Socio fondatore e coordinatore nazionale di Attac Italia, è stato fra i promotori del Forum italiano dei movimenti per l'acqua e della campagna “Stop Ttip Italia”.

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One Comment on “Come ti privatizzo i servizi pubblici locali”

  1. Quello che non era riuscito a Berlusconi viene tentato da Draghi….non è che cambiando l’attore la tragedia sia più accettabile….

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