1.
Come liberarsi dei rifugiati senza formalmente ripudiare il diritto d’asilo e uscire dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e quindi dal consesso delle nazioni che si autoproclamano avanzate? Può sembrare una domanda bizzarra che agita il sonno di qualcuno dei tanti despoti che affollano il mondo, non certo il pensiero di un esponente politico di un paese europeo. Purtroppo non è così: ciò che chiamiamo “esternalizzazione” del diritto d’asilo è una storia lunga e tormentata che segna l’ultimo ventennio dell’Europa. Ma che cosa si deve intendere con questa espressione? Si tratta di una nozione complessa sulla quale non v’è ancora una definizione univocamente condivisa; tuttavia una delle definizioni che ritengo più esaustiva è la seguente: «l’esternalizzazione del controllo delle frontiere e del diritto dei rifugiati può essere definito come l’insieme delle azioni economiche, giuridiche, militari, culturali, prevalentemente extraterritoriali, poste in essere da soggetti statali e sovrastatali, con il supporto indispensabile di ulteriori attori pubblici e privati, volte a impedire o ad ostacolare che i migranti (e, tra essi, i richiedenti asilo) possano entrare nel territorio di uno Stato al fine di usufruire delle garanzie, anche giurisdizionali, previste in tale Stato, o comunque volte a rendere legalmente e sostanzialmente inammissibili il loro ingresso o una loro domanda di protezione sociale e/o giuridica» (https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2020/01/2020_1_Documento-Asgi-esternalizzazione.pdf).
Dei molteplici volti della esternalizzazione del diritto d’asilo tratterò qui quello relativo al tentativo di individuare delle aree geografiche in cosiddetti paesi terzi, compiacenti a svolgere il ruolo loro richiesto, nelle quali inviare i richiedenti asilo della cui domanda di protezione si è responsabili ma di cui in buona sostanza ci si vuole disfare. Correva l’ultimo anno dell’altro secolo, ovvero il 1999, quando il Governo austriaco di allora (nel quale entrava il movimento di estrema destra denominato Partito della Libertà austriaco [FPO] di Jorg Haider) presentò un “Documento strategico sulla politica di migrazione e asilo dell’Unione europea” che proponeva la creazione di centri in Albania e Marocco, entrambi paesi di emigrazione e di transito confinanti con l’Europa. In particolare è interessante il piano relativo all’Albania che prevede “campi”, detti “centri di transito”, finalizzati a rinchiudere i richiedenti asilo con esplicite finalità dissuasive. Passa pochissimo tempo e un altro Governo europeo, di asserito diverso colore politico (ci spostiamo nell’Inghilterra del laburista Tony Blair) propone qualcosa di assolutamente simile. Era infatti il 5 febbraio 2003 quando The Guradian rivelò l’esistenza di un documento del Governo del Regno Unito che descriveva un piano strategico per ridurre il numero dei richiedenti asilo attraverso una duplice strategia: da un lato l’istituzione di “Zone di protezione speciale”, in particolare in Turchia e Iran ma anche nel nord della Somalia e in Marocco, con il fine di bloccare in quei luoghi i rifugiati e impedirne la migrazione verso l’Europa. Dall’altro lato la stessa proposta prevede la costituzione di “centri” alla periferia dell’Europa per trasportare e rinchiudervi i richiedenti asilo durante la trattazione delle loro domande. Entrambi qui tentativi non videro mai la luce per le insormontabili problematiche giuridiche che contenevano. Tuttavia la pulsione a riprendere e finalmente realizzare proposte analoghe non è mai tramontata bensì è riemersa in molteplici proposte, più o meno articolate, che possiamo ritrovare, in toni e forme diverse, persino nei documenti della Commissione Europea, dall’Agenda Europea per le Migrazioni del 2015 (Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Agenda Europea sulla Migrazione, Bruxelles, 13.5.2015 COM(2015) 240 final) fino alla proposta di Patto per le Migrazioni e l’Asilo del 2021 (Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo. COM/2020/609 final).
Il Paese europeo che più ha ripreso i tentativi di esternalizzazione del diritto d’asilo è la Danimarca il cui Parlamento il 3 giugno 2021 a larga maggioranza ha modificato la propria legge sull’Immigrazione prevedendo che coloro che presenteranno (uso il futuro perché la legge-manifesto è di fatto al momento inapplicata) domanda di protezione internazionale in Danimarca potranno essere trasferiti in un Paese terzo nel quale esaminare la loro domanda di protezione purché l’accordo con tale paese «non sia in contrasto con gli obblighi internazionali della Danimarca» (vedi, per ulteriori sviluppi, https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/02/07/delocalizzare-i-penitenziari-e-deportare-i-detenuti-accade-in-danimarca/).
2.
Da ultimo (e di questo caso tratterò più dettagliatamente) ha suscitato sconcerto l’annuncio del premier inglese Boris Johnson di avere concordato con la Repubblica del Rwanda un Memorandum per inviare in tale nazione una parte non meglio precisata dei futuri richiedenti asilo che giungeranno nel Regno Unito. Di cosa si tratta? Sul sito ufficiale del Governo di Sua Maestà è possibile in effetti leggere il testo di un Memorandum tra il Regno Unito e il Rwanda adottato in data 14 aprile 2022 (Memorandum of Understanding between the government of the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the government of the Republic of Rwanda for the provision of an asylum partnership arrangement) in base al quale «considerato che i migranti e i rifugiati compiono viaggi pericolosi attraverso le frontiere e persino gli oceani in cerca di sicurezza e opportunità economiche, fuggendo da conflitti armati, carestie, cambiamenti climatici e altre difficoltà che hanno incontrato nei loro paesi d’origine e che il movimento di massa di migranti irregolari organizzato dai trafficanti di persone sta sopraffacendo il sistema internazionale di asilo» e volendo dunque «contrastare il modello di business dei trafficanti di esseri umani, proteggere i più vulnerabili, gestire i flussi di richiedenti asilo e rifugiati e promuovere soluzioni durature» si conviene tra i due Stati di dare avvio a un «meccanismo per la ricollocazione dei richiedenti asilo le cui richieste non sono state prese in considerazione dal Regno Unito, in Ruanda, che esaminerà le loro richieste e sistemerà o espellerà (a seconda dei casi) le persone dopo che la loro richiesta è stata decisa, in conformità con il diritto interno ruandese». Inoltre «gli impegni indicati in questo Memorandum sono presi dal Regno Unito al Ruanda e viceversa e non creano o conferiscono alcun diritto a nessun individuo, né il rispetto di questo accordo può essere oggetto di ricorso in qualsiasi tribunale da parte di terzi o individui». Sarà il Regno Unito a determinare «i tempi di una richiesta di ricollocamento [in inglese il termine usato è relocation] di individui in base a questi accordi e il numero di richieste di ricollocazione da inoltrare» al Rwanda. In ogni caso «il Regno Unito sarà responsabile dell’esame iniziale dei richiedenti asilo, prima che il ricollocamento in Ruanda avvenga conformemente al presente accordo». Si prevede che tale procedura abbia inizio «senza indugio dopo che la potenziale persona da ricollocare arriverà nel Regno Unito». Appena arrivati in Rwanda, la richiesta di asilo dei deportati – il Memorandum non usa tale parola sgradevole ma questa è la condizione effettiva delle persone coinvolte ‒ verrà esaminata dal Rwanda «in conformità con la Convenzione sui rifugiati, le leggi ruandesi sull’immigrazione e le norme internazionali e ruandesi, incluse le leggi internazionali e ruandesi sui diritti umani, non limitate a garantire la loro protezione da trattamenti inumani e degradanti e dal refoulement». Sarà quindi il Rwanda a occuparsi della sorte futura dei deportati, sia che venga loro riconosciuta una qualche protezione, sia nel caso essa venga negata. Nessun rientro verso la Gran Bretagna è previsto in ogni caso. Non si tratta pertanto di un accordo finalizzato a trasferire coattivamente i richiedenti asilo in un paese terzo disponibile a fornire un’area extraterritoriale nella quale fare esaminare le domande di asilo da parte della Gran Bretagna, bensì di una procedura attraverso la quale il Regno Unito ritiene di potersi liberare dell’obbligo di esaminare le proprie domande di asilo trasferendolo al Rwanda, che lo accetta dietro evidenti compensi o altri favori politici senza che i richiedenti asilo coinvolti nelle operazioni che li riguardano siano considerati soggetti portatori di diritti individuali. Nel Memorandum essi infatti compaiono esclusivamente quale merce umana, soggetta al potere incondizionato dei due Stati coinvolti.
L’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha ricordato in un proprio comunicato internazionale che «il Regno Unito ha l’obbligo di garantire l’accesso all’asilo a coloro che cercano protezione […]; il Regno Unito, invece, sta adottando provvedimenti che abdicano la responsabilità ad altri e quindi minacciano il regime internazionale di protezione dei rifugiati». La nota dell’UNHCR è del tutto condivisibile: non vi sono infatti dubbi sul fatto che sussista la piena giurisdizione della Gran Bretagna sui richiedenti asilo che sarebbero oggetto delle operazioni di ricollocazione coatta in Rwanda in quanto essa si applicherebbe ai richiedenti che giungono sul suolo inglese e chiedono asilo al Regno Unito, Stato che altresì procederebbe persino a un esame iniziale della loro domanda applicando una procedura di screening che nel Memorandum non viene in alcun modo definita. Avendo solennemente sottoscritto la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 (e il successivo Protocollo di New York del 1967) la Gran Bretagna non può però semplicemente disfarsi della propria giurisdizione sulle domande di asilo che vengono presentate sul proprio territorio o comunque laddove esercita la propria giurisdizione, come se l’esercizio della giurisdizione stessa fosse un fardello inutile di cui disporre a piacere decidendo di quali uomini-merce occuparsi e di quali no.
Ci sono ulteriori e assai seri profili di legittimità che sembrano sfuggire al Governo inglese. Anche se uscito dall’Unione Europea – e quindi non più soggetta al diritto dell’Unione in materia di protezione internazionale ‒ il regno di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è parte del Consiglio d’Europa, organismo fondato il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra (per ironia della Storia). Come tale, ha sottoscritto la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU): un trattato internazionale volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa (intesa nell’accezione ben più vasta della sola Unione Europea e che comprende oggi 46 Stati dopo l’uscita della Russia avvenuta a marzo 2022). La Gran Bretagna infatti ratificò la CEDU nel 1953 e nel 1968 entrò altresì in vigore in Gran Bretagna il quarto protocollo addizionale alla stessa Convenzione. Agli stranieri che giungono in Gran Bretagna per chiedervi asilo si applicano dunque i principi e le garanzie previste dalla CEDU, sia che l’attuale Governo voglia accoglierli con entusiasmo umanitario, sia che li voglia ricollocare/deportare in Rwanda o in qualsiasi altro luogo del pianeta. Pochi dubbi infatti possono sussistere sull’obbligo di applicare l’art. 3 della stessa CEDU, che vieta il rinvio verso Paesi nei quali le persone potrebbero subire tortura o trattamenti inumani o degradanti. La valutazione se tali rischi sussistono o meno in Rwanda per lo specifico richiedente asilo va attuata sulla base di chiare procedure di legge che prevedano una valutazione caso per caso di ogni singola domanda il cui esito eventualmente negativo è comunque sempre soggetto a «un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale» (art. 16 CEDU). La stessa privazione della libertà personale con accompagnamento coattivo dalla Gran Bretagna fino in Rwanda non può che avvenire nell’ambito delle procedure e garanzie di cui all’art. 5 della CEDU (diritto alla libertà e alla sicurezza). Infine ogni decisione di allontanamento coattivo dal territorio di uno stato aderente alla CEDU deve sempre essere assunta in modo individuale con provvedimento motivato dal momento che, in applicazione del citato quarto Protocollo aggiuntivo alla CEDU, le espulsioni collettive sono tassativamente vietate. La natura di espulsioni collettive dove non occorrono né motivazioni, né procedure di valutazione individuale è invece proprio ciò che viene affermato in modo chiaro nel Memorandum.
In sintesi quel che emerge in modo inquietante dal Memorandum non è solo il fatto di trovarsi di fronte a una proposta politica estrema, bensì quello di vedere chiaramente emergere un pensiero autoritario che si prefigge di sovvertire i fondamenti di uno Stato di diritto. Solo un pensiero politico squisitamente autoritario può infatti ritenere che un accordo tra Stati che incide in maniera rilevantissima su diritti e libertà fondamentali e che, come precisato nello stesso Memorandum, «non sarà vincolante per il diritto internazionale», possa attuarsi senza conferire «alcun diritto a nessun individuo».
3.
In conclusione va richiamata la nauseante retorica con la quale violazioni di diritto macroscopiche e per certi tratti, persino inimmaginabili, vengono giustificate. È sufficiente presentarle quali misure dure ma necessarie per il bene dei soggetti cui il diritto viene negato. In tale capovolgimento di fini e principi, allo scopo di combattere il traffico internazionale di esseri umani, si contrastano le vittime dei traffici e non le organizzazioni criminali in sé, e non si modificano normative e politiche che, impedendo ai rifugiati di accedere a vie sicure e legali di protezione, li costringono ad affidarsi ai trafficanti quale unico mezzo per porsi in salvo; essi infatti, anche grazie alle nostre scelte, sono da tempo divenuti salvatori e carnefici nello stesso tempo e le tariffe praticate sulla morte e la vita dei loro clienti crescono con l’aumentare delle politiche di contrasto alle migrazioni.
Che cosa insegna l’incredibile vicenda di questo Memorandum, come la non meno incredibile legge voluta dalla Danimarca sul diritto d’asilo nel 2021 e i respingimenti illegali dei richiedenti asilo effettuati dalla Polonia ai confini con la Bielorussia e quelli altrettanto illegali ed attuati con inaudita violenza dalla Grecia verso la Turchia e molte altre situazioni analoghe? Al di là delle differenze tra loro, si tratta, a ben guardare, di situazioni che mettono in luce come la violazione dei “diritti degli altri” (quelli dei non-cittadini) può avvenire in modo pressoché invisibile al resto della società, consumandosi nell’indifferenza e nell’inazione o nella complicità aperta da parte proprio dei pubblici poteri che sono chiamati a tutelare quei diritti. In ultima analisi la gestione delle migrazioni rappresenta il più importante e arduo banco di prova degli ordinamenti democratici di oggi e nessuno dei diritti umani universali ‒ proprio nessuno ‒ può dirsi pienamente acquisito: rimangono tutti dei diritti fragili, sempre a elevato rischio di negazione e oblio, anche negli Stati dalle tradizioni democratiche più antiche e solide.