Il 25 aprile non è la festa del nazionalismo armato

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A casa nostra si mette il tricolore alla finestra due volte l’anno: il 25 aprile per la Liberazione dai nazifascisti, e il 2 giugno per la Repubblica, il voto alle donne, l’Assemblea costituente. Ma oggi alla finestra c’è la bandiera iridata della pace: perché un coro assordante cerca di trasformare il 25 aprile in una festa del nazionalismo armato.

È da un pezzo che, tra revisionismo di Stato, anti-antifascismo e rovesciamento della Costituzione, i valori della Resistenza non hanno nulla a che fare con quelli del pensiero unico dominante. Ma la reazione alla guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina ha tolto ogni inibizione: tutti coloro che fino ad oggi hanno sabotato il 25 aprile, ora provano ad appropriarsene. Dicono che la Resistenza fu un popolo in armi che resisteva all’invasore: non è vero, è stata una terribile guerra civile tra italiani che volevano (inseparabilmente) libertà e giustizia sociale, e italiani fascisti alleati della Germania nazista.

La Resistenza è stata tutto il contrario del nazionalismo. Carlo Rosselli, che andò a combattere contro i franchisti in Spagna, non lo avrebbe fatto in una guerra nazionale: scrisse che «siamo antifascisti perché in questa epoca di feroce oppressione di classe e di oscuramento dei valori umani, ci ostiniamo a volere una società libera e giusta, una società umana che distrugga le divisioni di classe e di razza e metta la ricchezza, accentrata nelle mani di pochi, al servizio di tutti. […] Siamo antifascisti perché la nostra patria non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi». Tutto il contrario del mondo che prepariamo stando (non in condizioni di parità, come impone l’articolo 11) dentro una Nato che non costruisce pace, ma guerra. E viene linciato chi ripete che «si può e si deve discutere sull’opportunità e sulla moralità per l’Occidente ‒ l’impero americano ‒ di combattere contro i russi fino all’ultimo ucraino» (Lucio Caracciolo).

La Resistenza fu una libera scelta, non una coscrizione obbligatoria col fucile puntato alle spalle. Era una lotta dentro una guerra mondiale, non il suo innesco. «Ben pochi giovani sarebbero stati disposti a prendere le armi e a cacciare i fascisti solo per tornare allo Statuto albertino» (Carlo Smuraglia). Se lo fecero, fu per una rivoluzione democratica e sociale: quella contenuta nella Costituzione.

L’Anpi oggi viene crocifissa perché si ostina a difendere quel progetto politico: che nasce dall’orrore per le armi di chi pure dovette prenderle. Il ripudio della guerra è il cuore dell’eredità della Resistenza. Oggi si accusa di pavidità chi non cede all’alternativa diabolica tra perdere la vita o perdere la libertà: ma il nostro dovere è salvare gli ucraini da un vicolo cieco da cui si esce o morti, o schiavi. E invece di costringere i nostri governi “democratici” a portare con ogni mezzo Putin al tavolo delle trattative, armiamo gli aggrediti e contemporaneamente finanziamo (col gas) l’esercito dell’aggressore. Alimentando (dai due lati) il conflitto, neghiamo il ripudio della guerra e tradiamo Costituzione e 25 aprile.

Nel 1940 Piero Calamandrei scriveva che i suoi compatrioti erano i francesi che lottavano contro l’Italia fascista. In questo 25 aprile i miei compatrioti sono i costruttori di pace, i miei stranieri coloro che affidano il futuro alle armi.

L’articolo è pubblicato anche su Il Fatto Quotidiano

 

Gli autori

Tomaso Montanari

Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)

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6 Comments on “Il 25 aprile non è la festa del nazionalismo armato”

  1. La Resistenza è vissuta su tre spinte ideali, due delle quali condivise da tutto lo schieramento partigiano, cioè la guerra per la liberazione nazionale e per la democrazia contro il fascismo e una propria della componente più vicina al PC, cioè la guerra di classe. Negare la componente di liberazione nazionale, vuol dire addomesticare maldestramente la storia per sorreggere zoppicanti argomentazioni.

    Prima di scrivere di Resistenza, non sarebbe male rileggere Claudio Pavone.

  2. ogni anno si riscrivono pagine della nostra storia.

    a seconda degli umori, degli avvenimenti del momento. lascia l amaro in bocca che vertici istituzionali si prestino a tali interpretazioni mainstream (uso l inglese non a caso), dimenticando che rappresentano l italia, non altri.

    siamo in una societa irrigidita su se stessa, sezionata in posizioni manichee fra loro incompatibili. chi sta fuori dalla corrente dominante viene tacciato di tutto un po, discriminato, allontanato, talvolta anche con idranti.

    prima sivax contro novax. ora contro i pacifisti, ove incredibilmente il male é chi vuole la pace (eppure anche le nostre armi uccidono, non sparano fiori)

    mettere la bandiera della Nato -inesistente ai tempi della resistenza!- é un nonsenso storico e uno schiaffo ai partigiani che lottarono anche PACIFICAMENTE x la nostra liberta.
    NAto fornisce armi, intelligence, satelliti, ecc., non a titolo difensivo, poiche Ucraina non ne é membro.

    Non é nemmeno nostra alleata, né particolarmente amica: da UE pretendeva 1,7 MILIARDI USD l anno (una cifra folle!) per il transito del gas sul suo territorio.
    per 8 anni usava le stesse dinamiche militari (a parti invertite) nel Donbass. noi non siamo intervenuti: i civili e bimbi russofoni non sono degni di aiuti? la Nato era chiusa per ferie?

    teniamoci stretti la nostra democrazia e liberta: la Costituzione ci indica la via, non altri dall estero.
    questo ci distingue dalle dittature piu o meno evidenti

    1. Tutti i gasdotti e gli oleodotti pagano royalties ai paesi che attraversano e che sono proporzionali anche alla quantità di gas o petrolio che passano nel condotto, per cui quanto è pagato all’Ucraina per i gasdotti che la attraversano è del tutto normale.

      Mi può poi indicare una fonte attendibile sul fatto che l’Ucraina si sarebbe comportata in modo simile nel Donbass?

      1. certo, tutti i gasdotti pagano le royalties, ma quelle pretese da UCraina erano a livelli talmente indecenti (1,7 miliardi usd l anno) da costringere russia e paesi UE a costruire altri gasdotti, per evitare costi fuori controllo e soprattutto, continue minacce di chiuderli : nordstream 1 e 2, che “saltavano” tutti gli stati, ora divenuti canali del demonio….

        per anni l Ucraina, oltre alle royalties e al gas a prezzo politico, “spillavano” dalle tubazioni anche il nostro gas.
        in una recente trasmissione di Report, il Presidente Prodi afferma che quando era alla Commissione UE
        dovette andare piu volte a Kyev per porre rimedio: di 100 litri di gas acquistati dalla Russia ne arrivavano in UE solo 70-80 litri, la differenza la “tratteneva” l Ucraina.
        grossomodo 200 milioni di euro/giorno (70 miliardi/anno).

        Ci sono molti report sul Donbass esulla Russia di organizzazioni internzionali.
        uno é https://www.hrw.org/europe/central-asia/ukraine

        A quanto pare, nel 2014 non avevamo televisioni, non c era internet. altrimenti
        non si spiega perche non abbiamo avuto MAI alcuna notizia in merito, tanto meno la necessita
        di inviare aiuti alle popolazioni russofone colpite duramente dai loro CONNAZIONALI ucraini
        per 8 lunghi anni.

        solo la Russia sollevo piu volte il problema a livello internazionale. tutti fecero spallucce.
        alche Russia decise di risolvere a modo suo nel 2022….

  3. “Oggi si accusa di pavidità chi non cede all’alternativa diabolica tra perdere la vita o perdere la libertà: ma il nostro dovere è salvare gli ucraini da un vicolo cieco da cui si esce o morti, o schiavi.”
    Non mi sembra la stessa posizione che esprimeva all’inizio della guerra quando auspicava una rapida resa dell’Ucraina che riteneva comunque inevitabile. Non lo dico per amore di polemica ma perché è proprio la definizione di quel “con ogni mezzo” con cui bisogna portare Putin al tavolo della trattativa il punto cruciale. Chi finora è stato contrario all’invio di armi spesso ha proposto come unica alternativa proprio la resa Ucraina facendo finta di non sapere che una pace iniqua è solo una guerra rimandata. Ma a due mesi dall’inizio della guerra non sento ancora voci auterovoli e lucide capaci di mostrare una via alternativa ma credibile e pragmatica alle armi. E ne abbiamo un bisogno quanto mai vitale e urgente.

  4. Ho molta paura che ci siamo ridotti ad un unico pensiero costruttivo: pensare a come comportarsi dopo la guerra atomica. Tutti quelli che ne hanno paura, se vogliono bene all’umanità si diano da fare a pensarci nella speranza che i sopravvissuti siano più capaci alla ricostruzione di una società con l’aspirazione a una VITA che ne rispetti l’esistenza. I sopravvissuti, non so se si potranno considerare fortunati, avranno sicuramente il dovere e compito di raccogliere tutte le forze per mantenere in vita la VITA umana. Avranno fatto l’esperienza di una punizione, altamente educativa! Dovremmo secondo me capire che siamo il risultato di una nostra evoluzione che è durata un periodo che gli studiosi ci dicono essere durato da 500.000 a 250.000 anni. Quante generazioni di uomini, quante esperienze di comportamenti umani, sbagliati e traditi che avremmo dovuto studiare per evitarli e di cui dovremmo tener conto nell’eventualità di sopravvivere!

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