L’aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom’io con li etterni Gemelli,
tutta m’apparve da’ colli alle foci.
Dante Alighieri,
La divina commedia, III, Paradiso,
canto XXII, vv. 151-153
È il punto di svolta della terza cantica della Divina commedia. Il personaggio Dante, guidato da Beatrice, ha raggiunto il settimo cielo, il cielo di Saturno. Di qui, viene innalzato alla sfera delle stelle fisse, nella costellazione dei Gemelli, sotto il cui segno era nato. Prima di procedere verso le meraviglie più eccelse del Paradiso, Beatrice lo esorta a volgere indietro un ultimo sguardo verso il mondo, verso la terra. Il sommo poeta immagina di vederla, girando intorno ad essa insieme alle stelle, proprio come la vedranno gli astronauti, sette secoli dopo: un’aiuola, un piccolo giardino fiorito. Conteso dagli uomini, animali feroci.
Sette secoli dopo, il genere umano ha avvelenato l’aiuola dove è nato e cresciuto. L’aiuola, infetta, ha infettato il genere umano. Invece di unirsi, per condurre a buon fine la cura della duplice infezione, di se stesso e dell’aiuola, il genere umano si è diviso, ancora una volta, per contendersi e dividersi l’aiuola. Ferocemente. Ha messo mano alla più perversa delle sue invenzioni: le armi. Giunge a sfiorare la più folle: l’arma omicida suicida. La distruzione. La fine di tutto, di se stesso e dell’aiuola.
Fermiamoci. Salus mundi suprema lex esto.
27 febbraio 2022