Siamo arrivati al voto per l’elezione del capo dello Stato. E se il Presidente fosse scelto nel nome della Costituzione? Non vi sarebbero autocandidature, ma le forze politiche ragionerebbero intorno a persone degne, che vantino una storia personale «di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione»; persone che garantiscano quell’imparzialità nel nome della Costituzione che rende il ruolo «incompatibile con qualsiasi altra carica».
Sarebbe un Presidente che «rappresenta l’unità nazionale», garante del pluralismo e della rappresentanza dei conflitti che attraversano la società, dell’espressione delle diverse visioni del mondo, della voce delle minoranze.
Sarebbe un Presidente che non esprime un suo indirizzo politico e non è allineato su quello della maggioranza, ma è il custode della Costituzione, attraverso un’azione di impulso e di controllo nel suo nome.
Sarebbe un Presidente che garantisce che forze politiche e alternative possano trovare nel Parlamento un luogo di discussione, una discussione nella quale si sviluppi una decisione politica ragionata e consapevole.
Sarebbe un Presidente che sente forte il senso del limite insito nel costituzionalismo, che si adopera per tutelare la limitazione, la separazione e l’equilibrio fra i poteri.
Sarebbe un Presidente che nel vigilare sulla Costituzione è consapevole che essa mette al centro la dignità della persona e assume un progetto di emancipazione, personale e sociale.
Sarebbe un Presidente che stimola la costruzione di una Repubblica «fondata sul lavoro», di una società che garantisce l’«effettiva partecipazione» di tutti e il «pieno sviluppo» di ciascuno.
Sarebbe un Presidente che ragiona di liberazione oltre che di libertà, considera come la libertà non possa essere disgiunta dall’eguaglianza; un Presidente che è resistente e non resiliente.
Sarebbe un Presidente conscio del legame fra giustizia sociale e ambientale, dei limiti di un’iniziativa economica privata che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».
Sarebbe un Presidente che rappresenta la Nazione nel contesto di «un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» e una Nazione che riconosca il «diritto d’asilo nel territorio della Repubblica» a tutti coloro ai quali sia impedito «l’effettivo esercizio delle libertà democratiche».
Il Presidente della Repubblica ha un ruolo di garanzia, un compito che, nell’interregno delle istituzioni e della politica che stiamo vivendo, assume una particolare pregnanza: occorre, dunque, una figura che sia all’altezza del compito e che non conduca la forma di governo verso un – illegittimo – semipresidenzialismo di fatto. Consapevoli delle miserie che ci circondano, non lasciamo che divengano norma.
Insieme al Presidente è comparsa una Repubblica, una Repubblica che c’è nel disegno costituzionale ma non c’è nella realtà. Manca il terreno, mancano forze politiche che vogliano e sappiano rendere un programma concreto la Costituzione, e vi sono invece forze politiche che la Costituzione mirano a stravolgere e hanno stravolto, sostituendo la centralità del Parlamento con un processo di presidenzializzazione della politica e di verticalizzazione del potere sempre più spinto e tradendo il progetto di emancipazione sociale.
La Costituzione tuttavia è una utopia concreta; proviamoci.
L’articolo è una versione leggermente rivista dell’intervento pubblicato su il manifesto del 21 gennaio
La pandemia dovrebbe insegnarci come di fronte ad una Società composta da una moltitudine di individui che vivono attraverso le relazioni di ciascuno con tutti gli altri non sia proprio possibile formalizzare le regole imposte per gestire nel modo più giusto ciascuna combinazione di relazioni senza farne una classifica d’importanza. La classifica delle regole che scaturiscono dai diritti di ciascuno, ma anche spesso da aggregazioni di individui deve essere concepita come tentativo di risoluzione delle manchevolezze della Società a far fede al patto sociale che è la motivazione della sua stessa esistenza. La dinamica della vita sociale non può permettere azioni risolutive contemporanee. La società oltretutto vive naturalmente guidata dalla propria organizzazione di gestione che produce resistenza ai cambiamenti. Dovremmo imparare a perseguire l’obiettivo di una società migliore, riconoscendo il valore massimo alla dignità dell’individuo. Sia questo il pragmatismo della evoluzione!
Sono d’accordissimo con qs articolo!