Solitamente tendo a non attingere alla Rete e ai social per imbastire le mie riflessioni. Consideratelo un atteggiamento un po’ snobistico, pure pericoloso, ma se avversare i populismi porta a costruire una torre eburnea, meglio sporcarsi le mani anche con dosi moderate di fanghiglia mediatica. Infatti. Chi ha postato immagini dei bivacchi familiari di fronte ai muri e al filo spinato, lì per impedire un transito legittimo verso speranza e vita, affermando che queste sono le iconografie autentiche del Presepio in questo 2021, mi dà sicuramente da pensare.
Può apparire banale o scontato, ma quantomeno è il recupero di un elemento tradizionale del cristianesimo secondo dei parametri che non prescindono dai contenuti biblici. Perché proprio per traduzione visuale dei testi neotestamentari Francesco d’Assisi propose agli abitanti di Greccio una lettura animata e vivente della nascita del Cristo: il Presepio nasce per l’intuizione di riportare l’evento là dove esso si verificò, confuso tra le storie quotidiane e le vicende esistenziali di un popolo intero, indaffarato a suo modo mentre si compie il miracolo indicibile di un nuovo essere umano che giunge in mezzo a noi. Che questo bambino sia da identificare come il Figlio di Dio può andare in secondo piano: il senso laico del Natale sta nel celebrare la vita – umana e non solo – come proposta di riferimento etico imprescindibile La Natività illustrata dal Nuovo Testamento si colloca solo per alcuni elementi in un ambito strettamente storico, proponendo invece, come è in uso nella cultura ebraica, una narrazione che mira a definire significati, non mere verità razionali. Senza escluderle o disprezzarle: piuttosto perseguendo la prospettiva dei significati esistenziali, che abbisognano di un patrimonio simbolico per esprimersi.
Qui la crisi dei linguaggi con una prospettiva metafisica e ermeneutica o semplicemente artistica si fa sentire. Un’amica – ancora sui social ‒ fa riferimento al mito fondativo del peccato originale raccontandolo in chiave positiva, come il primo atto di disobbedienza, dovuto e lodevole di fronte al potere rappresentato dal divino. Lettura legittima: ma mi chiedo se comprenda la differenza tra le divinità dell’Olimpo, a cui Prometeo sottrasse il fuoco per donarlo agli umani, con il Dio della tradizione ebraica, il quale va identificato con una dimensione di amore assoluto nei confronti di donne e uomini. Non a caso al peccato delle origini segue l’omicidio di Abele e una lunghissima storia di sperequazioni, violenze e oppressioni. Non si sta solo disobbedendo a una figura di controllo e giudizio: ci si sta sostituendo ad essa, si vuol diventare il dio degli altri, assumendo la verità personale come Verità in quanto tale, da imporre al mondo. Si sostituisce la com/passione con l’egotismo. Le persone che non sono io o le mie propaggini sono funzionali al mio potere. Non è autonomia di pensiero, è scelta consapevole del dominio da esercitare sugli altri. È libera – e incontestabile ‒ scelta di chiunque avversare il concetto di Dio: ma si sappia conoscerne gli elementi, prescindendo, almeno in parte, da quel che i seguaci di quel pensiero teologico sanno o vogliono mettere in atto a riguardo.
Non sono certo il primo a pensare che la crisi del cattolicesimo sia legata – tra l’altro – a non aver preso sul serio il dettato del Concilio Vaticano II, patrimonio che abbiamo – a fatica – tutelato e difeso come una roccaforte, quando era piuttosto stazione di partenza, cantiere per edificare la Chiesa che deve essere, non quella che vogliono le gerarchie. Il dettato conciliare passa anche per l’indicazione che si deve tornare alla Scrittura nel rigore delle analisi strutturali, con gli elementi di demitizzazione che ci consentano di confrontarci con i presupposti storici senza gettare, con le sovrastrutture, il potenziale comunicativo radicalmente umano della Rivelazione. Il messaggio al di là del messaggero, che può avere i suoi limiti culturali e va continuamente ripensato. La strada sarebbe stata quella di formare, spiegare, aprire, per consegnare a credenti intelligenti, critici, sensibili, gli strumenti per discernere una tradizione fasulla da ciò che invece è capace di veicolare ancora delle verità a misura di donna e uomo, secondo la dinamica di un Dio che, se si mette in comunicazione con loro, lo fa per renderli più liberi, intelligenti e felici. Un Dio che non reprime o opprime, ma promuove e fa crescere: in un darsi di amore verso tutto ciò che vive, non certo solo nei confronti di coloro che gli credono, gli obbediscono, si inseriscono nelle confessioni e nelle chiese.
Se rileggo i testi dei Vangeli di Matteo e Luca con occhio attento trovo tutt’altro che una vicenda edulcorata, infantilista per incapacità di conoscenza e maturità, segnata da una ingenuità disarmata. Ci scopro il dato di un potere che vuol contare le persone, ridurle a mero elemento di produzione e consumo: e ci trovo, al contrario, un Dio che si spoglia dei segni della divinità funzionali a chi vuol divinizzare la propria autorità. Un Dio che non nasce nei palazzi regali, neanche nelle dimore garantite o nel conforto pure legittimo: un povero tra i poveri. Un Dio bambino escluso, minacciato, inteso fin da subito come il pericolo della Verità proprio da coloro che per primi dovrebbero servirla. Un Dio riconosciuto dagli irregolari, i marginali, gli impediti, i fuori regola, i deviati. Come – insieme ai molti altri che Gesù incontrerà e a cui insegnerà il senso della dignità possibile contro il giudizio dei benpensanti – erano considerati i pastori. Poi ci sarà chi pretenderà di regolamentare, placare e accomodare il contenuto critico del Nuovo Testamento, a servizio dei re e degli imperi. In parte ci riuscirà, con conseguenze rispetto all’ideale di riferimento assolutamente nefaste. Sorvegliando e neutralizzando le sovversioni possibili, a partire da questa idea così destabilizzante che il Dio dei cristiani non desidera fare commercio e avere potere sugli esseri viventi, anzi, ti spiega come resistere a chi lo esercita (purtroppo anche a suo nome).
Il Vangelo del resto non si fa addomesticare. È comunque ruvido e aspro per chi lo ascolta, in particolare nei contesti dell’abitudine o del deliberato fraintendimento. Del fenomeno di un cattolicesimo senza Vangelo, e quindi senza Gesù Cristo, ho già trattato in questa sede (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/12/24/buon-natale/) . L’unico modo per sconfessare tali soggetti è leggerlo sul serio, questo libro. Studiarlo un po’, con rigore. Se ne trarrebbe giovamento, come con tutti i libri che hanno il potere di far pensare, di far sognare, di accreditare un linguaggio di poesia.
Quindi, sì: Gesù lo si può riflettere in quei contesti in cui si disprezzano le persone a causa del profitto, si discrimina, si tiene qualcuno al di là di un muro. Dove si insegna che la morale cristiana corrisponde a quella borghese, giudicante e escludente, il Vangelo assesta un colpo pesante con «i pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel Regno dei cieli»: dove si benedicono portaerei e bandiere militari ci viene ricordato che non si dà autorità con la forza, ma solo nel rispetto che esprime l’amore. Dove si fanno morire persone e ideali sull’altare del profitto (non solo economico) massimizzato ad ogni costo, Gesù ricorda che le persone valgono assai più delle cose e a chi mette un prezzo agli esseri viventi si può rispondere con la poesia del Vangelo:
Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! (Matteo 10,26-31).
Nella verità saranno annientate le dominazioni e gli imperi di questo mondo: e ci sono verità che non possono essere uccise. C’è chi ha il potere di annientare i corpi, ma non si può uccidere la libertà delle identità, delle lotte, dei sogni. La resurrezione ha il potere di disinnescare gli strumenti del potere, in primis la violenza che conduce a morte: e tale resurrezione non è questione che riguardi solo i cristiani o i credenti. La metafisica dell’esistenza genera domande che producono evoluzione. E quindi crescita e libertà.
Se il Natale – al di là della menzogna collettiva che siano denaro, consumo e mercato a garantire la felicità – sarà quello che intende il Vangelo, anche letto al di fuori della fede, ci sentiremo ricordare che l’esistenza umana ha un valore incalcolabile. In questo momento storico mi sembra non ci sia idea più sovversiva, più urgente, più di conforto e resistenza di questa.
In homepage “Presepe di Greccio”, rievocazione 2019, da https://comune.greccio.ri.it
Grazie Andrea…
Felice Natività anche a te !