“Gracias a la vida” è il titolo dell’articolo con cui il quotidiano argentino Pagina 12 commenta il risultato del secondo turno delle elezioni presidenziali in Cile (https://www.pagina12.com.ar/390487-la-izquierda-vuelve-al-poder-en-chile-de-la-mano-de-boric-ho). Viene così richiamata una delle famose canzoni che Violeta Parra compose contro il golpe di Pinochet (con il sostegno della Chiesa) nel 1973.
In effetti, al ballottaggio, il confronto per l’elezione del Presidente del Cile avvenuto ieri l’altro,19 dicembre, aveva l’amaro sapore del passato per la contrapposizione tra un candidato neonazista, José Antonio Kast, e un candidato di sinistra, Gabriel Boric, che tutta la destra e tanta parte degli organi d’informazione cileni consideravano un comunista o, al massimo, un comunista mascherato. Per queste ragioni altri commentatori presentavano la scadenza del ballottaggio come l’alternativa «entre el miedo y la esperanza», l’alternativa tra la paura e la speranza. Ha vinto la speranza, ha subito detto Boric dopo i risultati elettorali.
Al primo turno il candidato con più voti era stato Kast, seguito da Boric, ma al terzo e quarto posto, esclusi dal ballottaggio, si erano affermati due candidati di destra e solo dopo quelli socialista e democristiano (https://volerelaluna.it/mondo/2021/11/30/argentina-e-cile-sconfitte-le-forze-alternative-alla-destra/). Lo scontro era quindi più che mai incerto.
Nell’elettorato cileno si è venuto affermando ormai da molti anni un forte astensionismo nel voto politico (più o meno un elettore su due non si reca alle urne) e il timore che l’astensionismo dei lavoratori e dei ceti popolari potesse favorire il candidato di destra era largamente diffuso tant’è che un giornalista e scrittore di estrema sinistra, Atilio Borón, che pure giudica Boric socialdemócrata, ha rivolto un appello al voto citando Gramsci «Odios a los indiferentes» (https://rebelion.org/antonio-gramsci-y-el-balotaje-en-chile/). Questa volta hanno partecipato al voto 55 elettori su 100, l’otto per cento più rispetto alle primarie.
La vittoria di Gabriel Boric è stata netta (4.620.671 voti, pari al 55,9%, contro 3.649.647, pari al 44,1%) e subito riconosciuta dagli avversari. Tra l’altro confermando diversi sondaggi che, non a caso, nelle settimane passate non erano mai stati presentati, almeno qui in Italia.
Con i suoi 35 anni Boric è il più giovane presidente nella storia del Cile ed è il primo presidente eletto al ballottaggio senza essere stato il primo nelle elezioni del primo turno.
Quel che è avvenuto, ed è particolarmente importante, è che l’elettorato di centro ha rifiutato il ritorno alla presidenza di una persona di chiara e dichiarata tradizione autoritaria che si richiama a Pinochet. Il profilo di José Antonio Kast era noto e motivo di orgoglio del candidato: è figlio di un alto ufficiale nazista riuscito a scappare dalla Germania con risorse economiche tali da affermarsi presto come una delle famiglie ricche in Cile, impegnata in delazioni e in aiuti materiali alle squadracce militari che fecero sparire più di 70 militanti di sinistra impegnati nel territorio dove vivevano al momento del golpe del 1973. La reazione al movimento di lotta sociale e per la democrazia dell’autunno 2019 vedeva scendere nuovamente in campo la destra peggiore. Ma, appunto, ha vinto la speranza e non la paura.
Ora nessuno dei due schieramenti che hanno espresso i candidati al ballottaggio ha la maggioranza nel Parlamento. Ma sia la Camera dei deputati che il Senato hanno una composizione in cui la destra è in minoranza rispetto agli eletti di sinistra e del centro. E il rifiuto dell’elettorato di centro verso il candidato pinochetista, unitamente all’accortezza di Gabriel Boric nella ricerca delle alleanze (già emersa quando partecipò all’accordo con l’ex presidente Pinera per la continuità del suo mandato in cambio dell’approvazione del referendum per una nuova Costituzione), può far pensare che il Parlamento non sarà solo un luogo di blocco e di rallentamento dell’azione progressista.
C’è, almeno in chi scrive, l’ottimismo delle prime ore di celebrazione della vittoria di Boric. Nel viale della Biblioteca Nazionale, assai vicino alla Moneda, si sono riversate centinaia di migliaia di sostenitori ed elettori del nuovo presidente; la manifestazione ricordava, per il numero e per la composizione di giovani e di donne, quella dello sciopero generale del novembre 2019. Boric si è presentato sul palco per un breve discorso di ringraziamento accompagnato dalla musica della canzone “Il diritto di vivere in pace” di Victor Jara. Nel discorso ha ricordato la sua storia a partire dal ruolo di giovane dirigente delle lotte degli studenti («Quanti di voi che siete qui oggi parteciparono alle lotte del 2006, 2011 e 2012? Siamo una generazione che emerge nella vita pubblica per affermare una educazione come diritto e non come bene di consumo») e, poi, le lotte del 2019, in particolare l’obiettivo di contrastare e superare il sistema pensionistico privato («Non vogliamo che continuino a fare affari con le nostre pensioni»). E ha terminato con il richiamo al valore della democrazia politica e dell’assemblea Costituente, a partire dal suo ruolo, ricordando le drammatiche esperienze del passato ma anche del recente presente: «Mai, per nessun motivo, dobbiamo avere un presidente che dichiari guerra al suo popolo». Ora, per il futuro dei diritti umani e della democrazia cilena, sarà indispensabile la soluzione della sua base interetnica e interculturale (penso ai diritti dei Mapuche e non solo).
La foto della homepage è di The Associated Press e quella nel corpo dell’articolo è tratta dal sito Firstonline.info