1.
«Genova 2021: voi la malattia, noi la cura»: il nome della rete che ha dato vita alle iniziative vent’anni dopo Genova 2001 sintetizza il senso delle mobilitazioni di allora, le lotte del presente, la rivendicazione di un futuro diverso.
Vent’anni dopo il conflitto fra la malattia, un neoliberismo sempre più aggressivo, e la cura, la lotta per una radicale inversione di rotta, per la giustizia sociale e ecologica, si manifesta in modo ancora più netto e aspro. La pandemia, da leggersi come una sindemia (cioè come un insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici), ha agito da amplificatore e cartina di tornasole, rendendo più nitidi i contorni del conflitto: non sta andando tutto bene e il ritorno alla normalità veicola una ristrutturazione del finanzcapitalismo e un’accelerazione del processo di destrutturazione della democrazia, politica e sociale.
La violenza, culminata nell’omicidio di Carlo Giuliani, e le torture della Diaz e di Bolzaneto sono state il preavviso di una recrudescenza nella repressione del conflitto sociale e del dissenso. Il 2001 è l’anno nel quale, dopo l’attacco alle Torri gemelle, prende l’avvio una legislazione securitaria che alla sicurezza dei diritti sostituisce il diritto alla sicurezza nel nome del quale restringere i diritti. La declinazione sociale della sicurezza è smantellata e diviene terreno di privatizzazioni e la sicurezza si tramuta in presidio dell’ortodossia neoliberista: contro i migranti, che del neoliberismo svelano, con la loro stessa esistenza, le diseguaglianze globali, e ben si prestano a incarnare il nemico contro il quale dirigere la rabbia sociale, sviandola; contro il dissenso, che pretende di volere un “altro mondo” o finanche solo di immaginarlo; contro coloro che vivono ai margini della società, colpevoli di non omologarsi al sistema o di mostrarne gli effetti perversi.
Vent’anni dopo, la globalizzazione economica ha esteso le sue ramificazioni nel mondo virtuale con il capitalismo della sorveglianza, ha amplificato le diseguaglianze, ha svelato la sua brutalità nel genocidio dei migranti, sta fagocitando le istanze ecologiste e imponendo un modello che distrugge le conquiste in senso emancipativo, redistributivo e nel lavoro del Novecento.
Vent’anni dopo, sfruttando le sue crisi, il capitalismo ha esteso la sua egemonia e pretende di negare ogni alternativa, il thatcheriano (TINA) prende corpo in una democrazia politica dove partiti liquidi si allineano alle parole d’ordine della razionalità neoliberista, una governabilità prona all’efficientismo del mercato surroga la rappresentanza, le istituzioni si verticalizzano, il dissenso è represso, il disagio sociale marginalizzato, il conflitto sociale negato e occultato dietro una “coesione sociale” che odora di ordine sociale. I nuovi sovrani della global economic governance impongono il paradigma del profitto e della competitività nella sfera economica, come in quella politica, sociale e antropologica: un dominio omologante e pervasivo. Il progetto di emancipazione personale e sociale è sostituito dalla rincorsa individuale del successo e del profitto, da un’idea di progresso onnivora che divora persone e natura: un progresso che – come la vicenda dei vaccini palesa – insegue il profitto per pochi e non il benessere delle persone. È un progetto contro l’umanità: dalle devastazioni provocate dal riscaldamento climatico, alla blindatura dei privilegi attraverso zone rosse e frontiere, al controllo esercitato attraverso gli algoritmi.
2.
Ai movimenti, come nel 2001, spetta il compito di rivendicare alternative, di immaginare e praticare visioni del mondo altre, di esigere che i diritti siano effettivamente garantiti e non si tramutino in privilegi: la loro stessa esistenza, con la partecipazione in prima persona, la ricostruzione di legame sociale contro l’atomizzazione della società e l’asfissia di una democrazia oligarchica e autoritaria, è un atto di conflitto contro il dominio.
La sinergia dei movimenti, nella pluralità dei loro obiettivi, delle loro azioni, delle persone che li fanno vivere, propone e pratica una visione del mondo alternativa, che collega giustizia sociale e ambientale, unendo le lotte dei lavoratori della logistica, dei rider e dei braccianti agricoli, alle battaglie per l’ambiente, alle occupazioni per il diritto alla casa, alle rivendicazioni per la scuola della Costituzione. I movimenti devono pervadere la società, farsi popolari e trasversali (mantenendo fermo un progetto di emancipazione centrato su dignità e diritti), creare consapevolezza, costruire la base per una democrazia solida ed effettiva, che non può che essere plurale, conflittuale e strutturalmente contraria, nella sua tensione all’eguaglianza e all’emancipazione, alla diseguaglianza e alla sopraffazione insite nel neoliberismo.
La democrazia è un sistema complesso che esige una trasformazione materiale delle condizioni di vita, a partire da un sistema che pone al centro la persona e non il profitto; richiede la presenza di organizzazioni collettive che fungano da intermediazione fra società e istituzioni; necessita di istituzioni che concretizzino il principio di sovranità popolare e garantiscano i diritti, ovvero attuino la Costituzione, e ha bisogno di partecipazione effettiva, di forze, come i movimenti sociali, che la mantengano viva. Il conflitto, ricorrente nella storia, fra dominio ed emancipazione, fra oppressori e oppressi, fra il potere legibus solutus e la sua limitazione, fra il profitto e la dignità della persona, vede oggi rapporti di forza nettamente sbilanciati; il compito è improbo, ma è ineludibile: per evitare il naufragio dell’umanità, «lottare per un altro mondo è necessario».