Draghi in Libia: nulla è cambiato rispetto alla linea Minniti-Salvini

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«Noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa, per i salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia». Con queste poche parole, il presidente del Consiglio Draghi in visita in Libia ha delineato la strategia presente e futura del suo Governo in tema di immigrazione e diritti umani. Nulla di nuovo verrebbe da dire, se non ci si trovasse di fronte all’esecutivo che doveva segnare una svolta per il nostro Paese. Eppure la linea dettata è ancora una volta quella della continuità.

Di fronte a dati reali e testimonianze, anche di agenzie delle Nazioni Unite, che parlano da anni di torture, morte, stupri, riduzione in schiavitù e violenze diffuse, il capo del Governo italiano esprime soddisfazione. Chiama salvataggi quei respingimenti delegati alla cosiddetta guardia costiera libica. Definisce «aiuti e sostegno» le risorse impiegate per sostenere i trafficanti, travestiti da guardia costiera o da polizia locale, non certo per sostenere il processo di pace.

In sostanza, al di là della citazione fugace dei corridoi umanitari – un impegno peraltro imbarazzante se guardiamo ai numeri (poche centinaia di persone a fronte di decine di migliaia di respingimenti) – il presidente del Consiglio ha deciso di sposare in pieno la linea del duo Minniti-Salvini. La strategia è sempre la stessa: fornire strumentazione e sostegno, diretto e indiretto, alle milizie che gestiscono in Libia luoghi di tortura più o meno ufficiali, nonché le operazioni di cattura delle persone in fuga in alto mare (chiamandoli salvataggi), definendola «azione umanitaria in nome dell’interesse nazionale». Passi pure rappresentare l’interesse privato di aziende che operano in Libia come interesse del Paese, ma descrivere il sostegno a violenze e torture come interesse pubblico è davvero insopportabile.

Dal 2017 a oggi, almeno 20 milioni di euro sono stati trasferiti dai Ministeri italiani verso la Libia, che si aggiungono ai 57,2 milioni del programma europeo del Fondo fiduciario, spesi direttamente per formare, equipaggiare e regalare alle guardie costiere libiche almeno 46 mezzi navali (di cui due dovrebbero essere consegnati prossimamente) più 40 fuoristrada e minibus sempre per impedire l’immigrazione. A questi si sommano le attività di coordinamento, supporto e formazione nell’ambito delle altre missioni navali nel Mediterraneo e missioni internazionali sia italiane che europee (780 milioni di euro dal 2017).

Risultato? Più morti, violenze, torture e stupri. Nel 2017 le intercettazioni delle c.d. guardie costiere libiche sul numero degli arrivi in Italia erano il 9%, mentre nel 2020 un profugo su due è stato vittima di respingimento. Dal 2017 a oggi sono oltre 55mila le persone riportate nei lager libici ‒ tenendo conto che gli aggiornamenti arrivano al 27 marzo ‒ e negli ultimi giorni oltre 500 persone sono state intercettate e riportate a terra. Nel solo 2017, furono oltre 15mila persone. Sempre dall’anno della firma del Memorandum hanno perso la vita, nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale, secondo le stime dell’OIM, oltre 6mila persone (6.649).

Gli unici a trarre beneficio da questa strategia, oltre alle milizie libiche, sono i movimenti xenofobi anti immigrati, che su queste tesi hanno costruito la loro fortuna. In altre parole, stiamo usando denaro pubblico per sostenere da un lato quei trafficanti che si dichiara di voler combattere e dall’altro gli Orban e i Salvini di tutta Europa. Nulla di cui essere soddisfatti per un “governo europeista”.

 

Gli autori

Filippo Miraglia

Filippo Miraglia, già responsabile del settore immigrazione e ora vice presidente nazionale dell'Arci, è stato protagonista di diverse campagne in favore dei migranti. Ha scritto, con Cinzia Gubbini, "Rifugiati, Conversazioni su frontiere, politica e diritti" (2016).

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