Alla fine, la legislatura a maggioranza Cinque Stelle si conclude davvero come in Svizzera. Solo che a venire presa a modello dal sistema elvetico non è la componente iper-maggioritaria, incentrata sugli istituti della democrazia diretta, bensì quella iper-consociativa, incentrata sul ruolo dei partiti politici. Difficile immaginare una sconfitta più clamorosa dell’impostazione ideologica grillina.
Tra le peculiarità della Svizzera c’è quella di non essere una democrazia parlamentare e nemmeno una democrazia presidenziale: il governo non nasce dalla fiducia conferita dal parlamento né da un voto popolare diretto. La forma di governo elvetica è ispirata al cosiddetto regime direttoriale, un modello, nato dall’esperienza della Rivoluzione francese, che non ricorre in alcuna altra democrazia del mondo. Caratteristica del sistema direttoriale è l’elezione dell’organo esecutivo – che funge anche da Capo di Stato collegiale – da parte del parlamento, in modo tale che sia proporzionalmente rispettata la consistenza dei maggiori gruppi parlamentari. Questo significa che i ministri sono espressione non di una maggioranza politica, come avviene nei sistemi parlamentari, bensì dell’intera assemblea rappresentativa, così da riprodurre in piccolo, all’interno dell’organo esecutivo, il pluralismo politico-ideologico che connota il parlamento. Sarebbe come se, in Italia, sulla base dei risultati delle votazioni del 2018, il governo fosse stato fin da subito – ordinariamente e non, come adesso, eccezionalmente – formato da ministri riconducibili al Movimento 5 Stelle, al Partito democratico, alla Lega e a Forza Italia. Occorre, inoltre, tenere presente che il parlamento svizzero è eletto con sistema proporzionale e che, come nei sistemi presidenziali, una volta designato, il governo non è poi sfiduciabile.
Com’è intuibile, un governo composto secondo la formula ora descritta non è, di regola, in condizione di esprimere un indirizzo politico omogeneo. A sua volta, un parlamento eletto tramite legge elettorale proporzionale e non tenuto a costruire alleanze di governo risulta normalmente incapace di esprimere una maggioranza stabile. Ecco spiegato il frequente ricorso al corpo elettorale per l’assunzione, tramite referendum, delle decisioni maggiormente delicate: il prezzo da pagare per la stabilità dell’esecutivo e per il rispetto del pluralismo politico è il rischio della paralisi decisionale, che viene equilibrato attribuendo l’essenziale del potere deliberativo direttamente agli elettori. Anche se – va aggiunto – nella prassi non è poi così raro che le forze politiche, per non rimanere “tagliate fuori” dall’esercizio del potere decisionale, trovino il modo di accordarsi.
Il problema è che da noi il modello svizzero arriva non in virtù della forza dei partiti, necessaria a riequilibrare la forza degli elettori, ma a causa della debolezza di entrambi: dei partiti e degli elettori. È il tragico paradosso della cosiddetta seconda Repubblica: nata per sottrarre potere alle forze politiche organizzate e attribuirlo ai cittadini, ha finito per toglierlo alle une e agli altri. Quattro «governi tecnici» – Ciampi, Dini, Monti e, ora, Draghi – sono lì a dimostrarlo. Il vecchio sistema politico, bene o male, aveva sempre saputo gestire i passaggi storici cruciali: l’uscita dal fascismo, la guerra fredda, la ricostruzione post-bellica, la crisi petrolifera, la strategia della tensione, il terrorismo. Quello nuovo si sfalda non appena si esula dall’ordinario: l’adozione dell’euro, la crisi finanziaria del 2008, la pandemia e la ripresa post-pandemica.
È venuto il momento di abbandonare la falsa contrapposizione tra i partiti (la società politica) e gli elettori (la società civile) – una contrapposizione portata alle estreme conseguenze dal Movimento 5 Stelle, in piena continuità, non in rottura, con il passato – e comprendere che solo rafforzando i primi si rafforzano anche i secondi. Altrimenti non ci resta che rassegnarci a quella che pare essere la nuova costituzione materiale della Repubblica: quando il gioco si fa duro, i duri escono da Palazzo Koch ed entrano a Palazzo Chigi.
interessante il sistema svizzero. se possibile, avrei 2 domande per capirlo meglio:
1) posto che in Svizzera i ministri sono espressione dell intera assemblea e non di una maggioranza politica, come vengono eletti i Ministri? un partito di minoranza (che per definizione ha pochi eletti) puo ottenere un ministero importante? che peso ha il suo voto nella scelta dei ministri se i suoi voti sono pochi? i numeri nelle votazioni parlamentari sono pesi politici.
2) in Svizzera i ministri sono eletti tra i parlamentari o possono esserci “tecnici”, ovvero esterni, come da noi?
Gentile Ludovico,
il concreto funzionamento del sistema svizzero è piuttosto complesso, risultando in parte disciplinato da norme di diritto positivo e in parte da convenzioni costituzionali (la c.d. “formula magica”).
Può farsi un’idea un po’ più precisa consultando i seguenti link a siti istituzionali svizzeri:
– https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/consiglio-federale/elezione-del-consiglio-federale.html
– https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/consiglio-federale/storia-del-consiglio-federale/partiti-rappresentati-in-consiglio-federale-dal-1848.html
– https://www.parlament.ch/it/%C3%BCber-das-parlament/archivio/elezioni-in-retrospettiva/elezioni-consiglio-federale
– https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/consiglio-federale/membri-del-consiglio-federale.html