Il nazionalismo del vaccino, ovvero «si salvi chi può»

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Nel suo discorso al World Economic Forum, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dipinto un panorama mondiale che, ovviamente, non è promettente. Quali sono le cause della mancanza di trasparenza nella lotta alla pandemia? Perché l’asimmetria è diventata globale? Guterres ha parlato della fragilità del pianeta, causata dal Covid-19, dalla perdita di posti di lavoro, dall’impoverimento e dal problema climatico. Ha anche fatto riferimento alla possibilità di una grande frattura geopolitica in due settori guidati dalle due potenze, con due valute diverse, e ha accennato all’aumento del gap Nord-Sud. A mio parere, ha dipinto un panorama che l’umanità ha vissuto sotto molti aspetti da più di 70 anni, perché la grande conquista del neoliberismo subito dopo la seconda guerra mondiale fu quella di capovolgere il mondo con un multilateralismo sempre più debole in cui gli obiettivi di sviluppo sostenibile non sembrano far parte dell’agenda internazionale.

Il “nazionalismo del vaccino”: è ciò che alcuni chiamano oggi il comportamento dei governi dei paesi sviluppati, di destra e di centro, che si contendono i vaccini con vari mezzi, credendo che fornendoli alle rispettive popolazioni garantiranno loro il futuro, mentre le nazioni povere sono lasciate alla loro sorte. È il «si salvi chi può» degli sciocchi, perché lo stesso Segretario generale delle Nazioni Unite dice che il «Covid-19 in qualunque luogo significa Covid-19 ovunque» a causa delle mutazioni che si stanno registrando e perché il virus ha più resistenza. La concorrenza tra gli acquirenti riguarda anche i prezzi. Alcune pubblicazioni affermano che ci sono paesi dell’Unione Europea che pagano tra i 14 e i 18 dollari per ogni dose, mentre gli Stati Uniti ne pagano 19 e Israele 62. Da quando l’11 marzo 2020 la OMS ha dichiarato la pandemia, l’unica cosa che si è globalizzata è l’evidente mancanza di coordinamento, che sembra voluta perché continua ad arricchire i più ricchi, le grandi multinazionali, soprattutto le case farmaceutiche. Questo va contro l’affermazione di Guterres che «il vaccino per tutti è il modo più veloce per riaprire l’economia globale». Non molto tempo fa i governi di India e Sud Africa hanno chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) di sospendere temporaneamente i brevetti legati al Coronavirus, in modo che si possano produrre i rimedi con più democrazia e far diventare i vaccini un bene dell’umanità. L’Unione Europea ha concordato con i governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna di opporsi a questa richiesta sostenendo che ciò scoraggerebbe gli investimenti e l’innovazione.

Diversi media del vecchio continente riconoscono che l’Unione europea ha sempre difeso l’industria farmaceutica: quindi quello che ho appena raccontato non è stato un caso eccezionale. Ma le aziende farmaceutiche Pfizer e AstraZeneca anziché restituire questo favore alla UE hanno ritardato la consegna dei vaccini e ridotto le quantità stabilite, cosa che non è piaciuta ai governi europei, molti dei quali li hanno sostenuti con anticipi e impegni multimilionari acquistando oltre 1.300 milioni di dosi. I leader europei come Ursula von der Leyen e Josep Borrel affermano che è necessaria trasparenza sul destino dei vaccini, soprattutto quando le aziende farmaceutiche non riescono a mantenere le consegne promesse all’Unione. Nel frattempo altre pubblicazioni affermano che Pfizer prevede di fatturare nel 2021 ben 12.000 milioni di euro. Le aziende farmaceutiche conservano il diritto esclusivo di vendere i loro prodotti per 10 o 20 anni, a seconda dei casi, il che ci dà un’idea dei guadagni che faranno.

Se l’opacità della destinazione dei vaccini è un problema per i cittadini dell’Unione Europea, il requisito di riservatezza negli accordi tra i governi latinoamericani e le aziende farmaceutiche è allarmante a causa delle affermazioni fatte dai produttori di vaccini. I reclami sono trapelati alla stampa o sono trasmessi diplomaticamente da alti funzionari governativi. Così, in Argentina, la Pfizer avrebbe chiesto come garanzia «una nuova legge per rendere inattaccabili i ghiacciai e la pesca». L’inclusione dei ghiacciai non pare dovuta a attivismo contro il cambiamento climatico, ma piuttosto al fatto che l’acqua ha iniziato a essere commercializzata a Wall Street. Il ministro degli Esteri peruviano non ha fornito dettagli «a causa della clausola di riservatezza» ma ha ammesso in un’intervista che, il 23 novembre, il governo peruviano ha ricevuto dalla società Pfizer la bozza di contratto, che non ha potuto essere firmata nella data prefissata per il suo contenuto. Il presidente uruguaiano, Luis Lacalle Pou, è apparso dichiarando alla stampa che le informazioni sui contratti con le case farmaceutiche non saranno rese pubbliche perché «dovevamo scegliere tra avere un contratto di riservatezza o non avere vaccini». A sua volta, il ministro della Salute brasiliano ha affermato che «le clausole leonine e abusive stabilite dal laboratorio Pfizer creano una barriera alla negoziazione e all’acquisto». In Colombia, le organizzazioni sindacali e la società civile in generale si battono da tempo contro il rifiuto del governo di Iván Duque di fornire informazioni sul contratto.

Dalle situazioni qui narrate si possono trarre diverse conclusioni. La prima è che l’imposizione della riservatezza non solo favorisce gli appetiti da leone dei laboratori, ma è anche la migliore opportunità per alcuni governi corrotti di usarla per continuare a commettere crimini. La seconda è che non c’è motivo di credere che simili richieste da parte delle case farmaceutiche non si siano estese ad altri paesi di America Latina, Africa e Asia, a scapito del Sud del mondo. La terza, inevitabile, è che mentre il Segretario generale delle Nazioni Unite afferma che il mondo ha bisogno di un forte multilateralismo, le grandi aziende trattano il mondo come se fosse il loro cortile, proprio per la mancanza di regole internazionali chiare per frenare la loro avidità.

La traduzione è di Carmen Benitez

Gli autori

Victor Baez Mosqueira

Victor Baez Mosqueira, sindacalista paraguayano, è stato Segretario Generale della Confederazione Sindacale delle Americhe (CSA) ed è attualmente Segretario Generale Aggiunto della Confederazione Sindacale Internazionale (CSI)

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One Comment on “Il nazionalismo del vaccino, ovvero «si salvi chi può»”

  1. ci vuole una buona dose di ingenuita da parte di chi sta al potere per non capire che il
    vaccino é vitale per la propria popolazione e economia.

    quindi chi ce l ha, l ha scoperto e lo produce se lo tiene ben stretto.
    é molto egoistico pretendere di avere il vaccino da altri stati, senza aver fatto nulla per produrlo.

    si tratta di vita o di morte, letteralmente. comprensibile che chi ce l ha se lo tenga.
    questo il ragionamento a livello politico e di singoli Stati.

    a un livello piu ampio fa specie che possano essere sospesi anche diritti fondamentali quali la liberta di movimento (addirittura con obbligo di rimanere agli “arresti domiciliari”, coprifuoco, ecc.), e invece
    non si puo sospendere il diritto al profitto di poche big corporation con adeguati indennizzi per i costi sostenuti.

    tanto piu se milioni di persone MUOIONO a causa dell assenza del vaccino.

    se poi si alza lo sguardo e si guarda oltre il proprio recinto, si capisce che serve a poco vaccinare il proprio Stato. per come va il mondo oggi, se altrove in assenza di vaccino si sviluppa una variante non coperta dal vaccino, siamo di nuovo nel disastro.

    siamo salvi quando tutti gli abitanti del pianeta saranno vaccinati (o l 80% di essi).

    per questo i brevetti sui vaccini devono essere resi liberi subito.

    altrimenti le tempistiche commerciali volte a massimizzare i profitti lasceranno scoperta gran parte della popolazione mondiale rendendo inutili le vaccinazioni fin ora fatte.

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