Nel pieno di una crisi di governo incomprensibile ai più e da cui sembra si possa uscire solo con un Governo tecnico (o, come si usa dire, istituzionale) può sembrare improprio tessere l’elogio del sistema elettorale proporzionale o, comunque, invocarne l’adozione. Il mantra della “governabilità” secondo cui, per uscire dalla situazione di instabilità in cui versa il Paese, occorre «sapere la sera del voto chi ha vinto e ha i numeri per governare» ed è necessario un sistema elettorale maggioritario, sembra, infatti, vincente: viene usato come una clava – e non è una novità – dalla destra ma seduce anche quel che un tempo faceva riferimento alla “sinistra” (a cominciare da ampi settori del Partito democratico).
Non è in realtà così, ed è bene segnalarlo ora perché l’avvicinarsi delle elezioni (anticipate o alla scadenza della legislatura, ormai prossima) pone con urgenza il tema della legge elettorale con cui si voterà, posto che il sistema vigente (di carattere misto) è diventato ulteriormente inadeguato e produttivo di effetti distorti a seguito della modifica costituzionale che ha drasticamente ridotto il numero dei parlamentari. Il Parlamento e il Governo che verrà dovranno, dunque, occuparsene (ed è superfluo dire che anche lasciare le cose come stanno sarà una scelta tutta politica).
È vero, nel nostro Paese e in molti altri caratterizzati sistemi elettorali più o meno proporzionali è difficile formare governi stabili, al riparo dalle incertezze e dai veti interni alle coalizioni. Ma l’argomento gioca solo all’apparenza a favore di modifiche in senso maggioritario. E non solo perché la governabilità scissa dalla effettiva rappresentanza può portare ad effetti paradossali e devastanti (come dimostra la vicenda degli Stati Uniti, in cui il deficit di rappresentanza e la contrapposizione frontale che caratterizzano il maggioritario hanno portato il Paese, non più di un mese fa, alla soglia di una guerra civile o di un esito simile a un golpe).
È bene partire da un dato di realtà. La crisi che affligge da anni le democrazie occidentali non risparmia certo le culle del sistema maggioritario come dimostra, oltre alla citata esperienza americana, il caso del Regno Unito, che ha vissuto negli anni scorsi una crisi di governabilità senza precedenti. E ciò a tacere del fatto che il nostro sistema – quello con cui si è votato nelle elezioni che hanno dato vita all’attuale Parlamento – non è affatto proporzionale ma misto con una significativa torsione maggioritaria. Per altro verso, il Paese europeo caratterizzato da maggior stabilità – non da oggi – è la Germania, in cui vige un sistema misto ma con effetti marcatamente proporzionali. Non per caso o per uno scherzo del destino ma per ragioni facilmente verificabili. Il fatto è che, se una maggioranza parlamentare corrispondente a una maggioranza politica reale favorisce la formazione di governi stabili (qualunque sia il sistema elettorale utilizzato), non è per nulla vero che un effetto analogo è raggiungibile con operazioni di ingegneria elettorale quando quella maggioranza politica non esiste. Là dove non c’è una solida base di consenso, infatti, le forze politiche, per presentarsi alle elezioni con chances di successo, sono costrette a coalizioni preventive o addirittura alla creazione di partiti contenitore, portatori di un’elevata conflittualità interna e inevitabilmente destinati a produrre instabilità (se non a frantumarsi) dopo il voto. Non solo, ma l’esclusione dalla rappresentanza di settori minoritari ma consistenti del Paese è assai spesso fonte di una elevata conflittualità sociale destinata a riverberarsi anche sulla tenuta dei governi (oltre che sulla qualità della vita dei cittadini). La realtà non ammette smentite: la crisi di governabilità, tanto più se profonda e risalente, non si risolve con finzioni ed escamotages (magari diretti a trasformare chi è minoranza nel Paese in maggioranza negli organi rappresentativi) ma solo con una diversa – e buona – politica, capace, nei momenti di difficoltà più acuta, di compromessi alti, pubblici e trasparenti.
L’esperienza della nostra storia è illuminante. Nel 1970, vigente un sistema elettorale proporzionale, venne varato, nell’arco di soli sette mesi, un complesso di leggi che cambiarono letteralmente il volto del Paese: l’attuazione dell’ordinamento regionale, lo Statuto dei lavoratori, la legge regolatrice del referendum abrogativo, la previsione di termini massimi di carcerazione preventiva, il divorzio. A tali riforme seguirono poi, nel volgere di pochi anni, altre leggi fondamentali come quelle sugli asili nido e sulla scuola elementare a tempo pieno, sull’obiezione di coscienza al servizio militare, sulla disciplina della custodia cautelare, sul nuovo processo del lavoro, sulla protezione delle lavoratrici madri, sulla tutela della segretezza e della libertà delle comunicazioni, sulla delega per il nuovo codice di procedura penale, sul nuovo ordinamento penitenziario, sulla riforma del diritto di famiglia, sulla fissazione della maggiore età a 18 anni e via elencando. E ciò avvenne – merita ricordarlo – non in presenza di un diffuso comune sentire ma all’indomani dei sommovimenti del Sessantotto e dell’autunno caldo e nel permanere di una situazione di elevata conflittualità politico-sociale.
La conclusione è evidente: i principali ostacoli e le maggiori difficoltà nella formazione dei governi e nel funzionamento del Parlamento sono di natura politica e non tecnica, tanto da presentarsi anche in casi nei quali i numeri sarebbero sulla carta assai ampi.
Per questo la questione del sistema elettorale va esaminata senza demagogie e suggestioni ed esaminando i pro e i contro dei diversi sistemi al di fuori di slogan suggestivi e fuorvianti. E questo esame porta in modo univoco alla scelta del proporzionale. Come questa TALPA dimostra.
(livio pepino)
Sommario:
1. Sistema proporzionale: un’idea di democrazia, di Marco Revelli
2. Il Rosatellum e la “sostanza” del sistema costituzionale, di Michele Della Morte
4. Le preferenze: una via stretta ma necessaria per garantire la rappresentanza, di Domenico Gallo
5. Sistema proporzionale e democrazia, di Valentina Pazé
6. L’empatia fra neoliberismo e sistema elettorale maggioritario, di Alessandra Algostino
7. Perché la mancanza di una maggioranza assoluta è un bene per la democrazia, di Francesco Pallante
8. La fase politica e la scelta del proporzionale, di Alfiero Grandi
9. La lezione elettorale dei costituenti, di Antonio Mastropaolo
10. Le leggi elettorali nella storia repubblicana, di Francesca Paruzzo
11. L’Europa preferisce il proporzionale. Cenni ai sistemi elettorali in Europa, di Diletta Pamelin
Autrici e autori:
Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale nell’Università di Torino, studia da sempre i temi dei diritti fondamentali e delle forme di partecipazione politica e di democrazia diretta con particolare attenzione alla loro concreta attuazione. Tra i suoi molti scritti: Democrazia, rappresentanza, partecipazione. Il caso del movimento No Tav (Jovene, 2011) e Diritto proteiforme e conflitto sul diritto (Giappichelli, 2018).
Gaetano Azzariti è professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Direttore della rivista “Costituzionalismo.it”, collabora a numerose riviste giuridiche e politiche e a quotidiani, tra cui il manifesto. È presidente di Salviamo la Costituzione.
Michele Della Morte è professore di Diritto costituzionale presso l’Università degli Studi del Molise. Ha scritto, tra l’altro, Rappresentanza vs. partecipazione? L’equilibrio costituzionale e la sua crisi (Franco Angeli, 2013)
Domenico Gallo Gallo, magistrato è presidente di sezione della Corte di cassazione. Da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace, è stato senatore della Repubblica per una legislatura ed è componente del comitato esecutivo del Coordinamento per la democrazia costituzionale. Tra i suoi ultimi libri Da sudditi a cittadini. Il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013) e Ventisei Madonne Nere (Edizioni Delta tre, 2019).
Alfiero Grandi, politico e sindacalista, è vicepresidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale.
Antonio Mastropaolo insegna Istituzioni di diritto pubblico all’Università della Valle d’Aosta. Si è occupato, in particolare, di processi costituenti, dottrine dello Stato, parlamentarismo e storia costituzionale. Ha scritto, tra l’altro, L’enigma presidenziale. Rappresentanza politica e capo dello stato dalla monarchia alla repubblica (Giappichelli, 2017) e ha curato, con Luca Geninatti Satè, Jörg Luther e Chiara Tripodina, Le età della Costituzione. 1848-1918, 1948-2018 (Franco Angeli, 2020).
Francesco Pallante è professore associato di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Tra i suoi temi di ricerca: il fondamento di validità delle costituzioni, il rapporto tra diritti sociali e vincoli finanziari, l’autonomia regionale. In vista del referendum costituzionale del 2016 ha collaborato con Gustavo Zagrebelsky alla scrittura di Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali (Laterza, 2016). Da ultimo, ha pubblicato Per scelta o per destino. La costituzione tra individuo e comunità (Giappichelli, 2018), Contro la democrazia diretta (Einaudi, 2020) e Elogio delle tasse (Edizioni Gruppo Abele, 2021). Collabora con il manifesto.
Diletta Pamelin è dottoressa di ricerca in Diritto e Istituzioni presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino .
Francesca Paruzzo è dottoressa di ricerca in Diritti e Istituzioni presso l’Università degli Studi di Torino e avvocata.
Valentina Pazé insegna Filosofia politica presso l’Università di Torino. Si occupa, in una prospettiva teorica e storica, di comunitarismo, multiculturalismo, teorie dei diritti e della democrazia. Tra le sue pubblicazioni: In nome del popolo. Il potere democratico (Laterza, 2011) e Cittadini senza politica. Politica senza cittadini (Edizioni Gruppo Abele, 2016)
Marco Revelli è titolare delle cattedre di Scienza della politica, presso il Dipartimento di studi giuridici, politici, economici e sociali dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Si è occupato tra l’altro dell’analisi dei processi produttivi (fordismo, post-fordismo, globalizzazione), della “cultura di destra” e, più in genere, delle forme politiche del Novecento e dell’“Oltre-novecento”. La sua opera più recente: Populismo 2.0 (Einaudi, 2017), La politica senza politica. Perché la crisi ha fatto entrare il populismo nelle nostre vite (Einaudi, 2019) e Umano Inumano Postumano (Einaudi, 2020). È coautore con Scipione Guarracino e Peppino Ortoleva di uno dei più diffusi manuali scolastici di storia moderna e contemporanea (Bruno Mondadori, 1ª ed. 1993).
Le riforme elettorali sono bellissimi falsi obiettivi. Spostano tutta la discussione politica incatenandola fuori dell’interesse reale dei governati. Qualcuno mi potrebbe dire che anche dove si mantiene fissa la legge elettorale non per questo le cose vanno bene o meglio. ma questo dimostra qualcosa? Se altri trovano altri modi per perseverare nella cattiva gestione della società, abbiamo motivo di trarne facili deduzioni fuori da ogni logica? La verità è che le società difendono in ogni modo il proprio paradigma di esistenza e non evolvono al bene; Sono tutte governate dai ben integrati, che ne ricevono benefici e cercano in tutti modi di impedire agli altri di farsi sentire. Che c’è di meglio che una libera discussione sulle modalità attraverso le quali ogni cittadino sceglierà chi lo dovrà in seguito difendere per i propri diritti per evitare che i cittadini si interessino proprio della spartizione della torta costituita dal bene da ripartire? Elaboriamo, discutiamo e ridiscutiamo e non interveniamo e coinvolgiamo ma mai sulle cose che riguardano la società per farla evolvere al bene reale dei cittadini, perché a quello ci penseranno gli eletti . Forse, chi sa? Forse mai!