Chi semina vento raccoglie tempesta. La verità elementare espressa da questo antico adagio è la chiave di lettura degli avvenimenti straordinari che hanno sconvolto gli Stati Uniti nella giornata dell’Epifania. Non era mai accaduto che una folla inferocita prendesse d’assalto il Parlamento e, per di più, si impadronisse delle aule e degli uffici parlamentari per bloccare la procedura costituzionale di riconoscimento del nuovo Presidente alla luce dei risultati delle urne.
I riti della democrazia americana sembravano consolidati nei secoli poiché il conflitto politico, a volte assai aspro, si svolgeva sempre nel rispetto delle procedure istituzionali che assicuravano l’alternanza pacifica alla guida del governo fra due parti politiche, non molto dissimili fra di loro, che sostanzialmente si riconoscevano nello stesso sistema economico-sociale. L’alternanza di potere fra un’amministrazione e un’altra non assumeva mai toni drammatici perché non esistevano forze politiche eversive, fuori dal sistema.
La situazione è cambiata con l’avvento al potere di un leader narcisista, ignorante, privo di ogni scrupolo morale e ossessionato dalla passione di dominio. Alcuni intellettuali americani ci avevano avvisato, prima ancora della sua elezione. Noam Chomsky aveva definito Trump «un nemico del genere umano», una disgrazia non solo per gli Stati Uniti ma per tutta l’umanità. Durante i quattro anni del suo mandato Trump non ha perso alcuna occasione per mostrare il suo disprezzo per il diritto internazionale, incoraggiando Netanyahu ad annettersi parte della Cisgiordania e arrivando persino ad applicare sanzioni nei confronti degli organi della Corte penale internazionale; non ha perso alcuna occasione per rivendicare il diritto della forza con comportamenti spregiudicati anche ad personam, com’è avvenuto il 3 gennaio dell’anno scorso con l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani; per non parlare del disprezzo per le condizioni della vita sulla Terra, dimostrato stracciando gli accordi internazionali di Parigi sul clima.
Sul piano interno sono stati prodotti guasti profondi nella società americana. Il negazionismo della pandemia, dettato dall’esigenza di non rallentare la macchina produttiva, e l’insensibilità verso i soggetti più fragili hanno portato ai massimi livelli la cultura dello scarto, col risultato che gli Stati Uniti sono il paese più colpito, con 20 milioni di contagiati e oltre 330.000 morti.
Trump ha fatto venire a galla il fondo nero dell’anima americana, quello incarnato dai riti nazisti del Ku Klux Klan; ha incoraggiato i gruppi paramilitari e i suprematisti bianchi, col risultato che ormai ci sono milizie armate dovunque che si coagulano su messaggi d’odio nei confronti delle minoranze, di immigrati e stranieri. Il populismo arrogante di Trump e la sua insofferenza nei confronti di ogni controllo (a cominciare da quello della stampa) hanno creato una profonda frattura nella società americana e nell’ordinamento politico e il suo tracotante rifiuto di accettare il risultato delle elezioni ha gettato benzina sul fuoco attivando quella vocazione alla violenza che egli ha così persistentemente coltivato.
Se si esclude l’inviolabilità dei diritti fondamentali, che non fa parte della cultura politica americana (basti pensare alla pena di morte e all’assenza di ogni remora per il ricorso alla violenza sul piano internazionale), la democrazia negli Stati Uniti si riduce a mera procedura, un metodo per risolvere i conflitti senza ricorrere alla violenza e assegnare pacificamente il potere di governo. A questa procedura Trump si è ribellato, scagliando i suoi seguaci contro il Parlamento. La marcia su Capitol Hill degli squadristi di Trump richiama alla memoria la più famigerata marcia su Roma. Per fortuna a Washington non c’è un Sovrano pronto a consegnare lo scettro ai marciatori. Per questo l’eversione dei trumpisti non può avere alcuno sbocco. E tuttavia è difficile intravedere un lieto fine. Nella società americana rimane una spaccatura profonda, il seme della violenza è stato diffuso a piene mani e ha avvelenato la coscienza di milioni di persone. Chi semina vento… raccoglie tempesta!
SECONDO EMENDAMENTO
Al pezzo esemplare di Domenico Gallo aggiungo solo che il paradosso americano è anche basato sulla faziosa interpretazione del secondo emendamento come libertà di porto d’ogni tipo di arma dal singolo privato, per finalità anche personali. “A well regulated Militia [,] being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear Arms, shall not be infringed”. Essendo una ben organizzata milizia necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto.
Il senso della frase, dietro la pessima sintassi, è evidentemente unico: è necessario organizzare milizie popolari per la difesa dello Stato (allora soprattutto dalle temute aggressioni degli stati dei colonialisti europei); a questo scopo i cittadini devono poter essere armati. Ometto qui la questione sulle diverse dislocazioni delle virgole nel testo originario, che forse sposterebbero il senso della norma. Non so se Domenico Gallo l’ha già affrontata. Sarebbe ora di riaprire ovunque un dibattito su questo secondo emendamento. Di fatto il 6 gennaio delle “milizie” di privati fanatici armati e sregolati, ma ben aizzati da Trump a sovvertire il libero Parlamento per impedire la proclamazione di Biden e Harris, hanno assaltato il Campidoglio. Invece la “milizia” delle varie polizie locali e statali, forse demotivata o frenata da ordini superiori (certamente non “ben organizzata”) nulla ha fatto per la “sicurezza di uno Stato libero” fino sembrare connivente e remissiva. Anche se Trump verrà frenato, gli strappi nel tessuto della democrazia americana sono tanti e profondi