C’era in qualche modo da aspettarselo. Poiché la quotidiana cerimonia del “dare i numeri” sul Covid-19 ha superato il simbolico numero dei 1000 nuovi contagi, lo spazio occupato dalle cronache e dai commenti sul tema (già grande e confondente negli ultimi giorni) ha occupato le prime pagine: con il solito balletto di cifre, percentuali, confronti tra regioni, stime di rischio, ricerca di colpevoli e/o di esperti (pochi, questa volta, protetti dalle vacanze).
La domanda ovvia rimane, tuttavia, avendo sullo sfondo i dati sulla chiusura delle scuole in Germania e sui numeri di Spagna e Francia: sta sul serio succedendo qualcosa di importante, inatteso, prognostico di “nuove ondate” e di lockdown? È possibile almeno avere una traccia che permetta di orientarsi?
Proviamoci:
1. Il fatto più preoccupante – dopo mesi di richieste di dati in grado di assicurare la comprensione di quanto succede e non semplicemente di mimare una sorveglianza puntuale attraverso numeri in libertà – è il perpetuarsi di strumenti e di una cultura dell’informazione che si presta più al gossip che a una valutazione “scientifica” (termine peraltro il cui uso per qualsiasi dato è chiaramente fuorviante, suggerendo certezze inesistenti). I dati degli ultimi giorni sembrano in questo senso un modello: una somma di rilevazioni abbastanza casuali, più che l’espressione di una sorveglianza programmata, di cui mettere in evidenza l’inevitabile parzialità e su cui ragionare con i criteri rigorosi e progressivi necessari per capire i rapporti causali e prendere conseguentemente misure appropriate. Suggerire – come sta accadendo in questi giorni – che le valli bergamasche sono un luogo tranquillo per le vacanze (certo meritate per una popolazione tanto colpita) e che la Sardegna (o alcuni suoi gruppi turistici) stanno trasformando il Lazio nella seconda regione con più contagi è semplicemente senza senso. Si tratta, infatti, di osservazioni contingenti: certo da tenere presenti, ma esplicitando che la comparabilità dei dati tra le diverse regioni è assolutamente precaria e mettendo in evidenza che i denominatori su cui vengono calcolate le percentuali sono incerti e ballerini; e facendo magari un minimo di sforzo per qualificare l’insieme dei dati come qualcosa che era “atteso” o meno, sia a livello geografico che come conseguenza dell’inosservanza dei mezzi di prevenzione. Ciò che è necessario e che va richiesto alla politica e ai suoi consulenti è, infatti, far crescere una cultura e un’attitudine diffusa a gestire responsabilmente l’incertezza (che non va in vacanza): l’esatto contrario del gusto per l’apparenza che caratterizza giornali, opinionisti e chi pensa a scadenze elettorali. Il tutto con un po’ più di attenzione, anche guardando alla riapertura della scuola, al linguaggio utilizzato, che deve tendere a coinvolgere i giovani in una gestione controllata dal basso e da dentro le loro vite (e non da fuori e dall’alto).
2. Sullo sfondo più generale di questa carenza di informazione adeguata due cose sono importanti.
Le conoscenze sull’epidemia di Covid-19 non sono molto aumentate durante questi ultimi mesi. Da una parte non si sa nulla sulla contagiosità e gravità nella popolazione “giovane”, che sembra essere la protagonista di questa fase. Dall’altra la “scomparsa” della popolazione anziana è dovuta al fatto che tutti i suscettibili sono morti? O, al contrario, che sono protetti? Cosa sta succedendo nelle RSA, in cui è ancora proibito ai parenti entrare e per le quali non si hanno notizie di cambiamenti istituzionali (le vacanze di avvocati e giudici hanno imposto una pausa informativa)?
Sul tema tanto dibattuto e controverso della scuola, poi, a quale epidemiologia si fa riferimento per stilare raccomandazioni e per dare assicurazioni a tutti? Che cosa si è imparato non soltanto dal tempo di vacanze ma soprattutto dalla ripresa del lavoro e per quanto riguarda la protezione degli insegnanti e dei ragazzi, vista l’infinità variabilità delle età e dei rapporti tra le persone? E su quali dati ci si confronta a livello europeo per avere un’idea un po’ più informata su un periodo nel quale devono essere previsti anche investimenti economici?
3. La coscienza di essere molto ignoranti sul Covid-19, nonostante le infinite promesse di vaccini alle porte e i trilioni di dollari o euro che si investono, è un punto fondamentale da tener presente: per avere chiaro che occorre mantenere ferma l’attenzione alle misure precauzionali, che sono l’unica cosa certa, ma che sono tanto più credibili se non mascherate da falsi dibattiti, allarmi, pareri dissociati di esperti o di saggi. Il caso modello degli Stati Uniti insegna: eccesso di fondi, di esperti, di tutto; primato assoluto di non controllo per politiche incapaci di trasparenza e di confronto reale. L’unica cosa su cui si può ragionare sono numeri effettivamente comprensibili da tutti: aggiornati senza allarmismi, o senza far finta di essere in grado di fare previsioni sulla base di “modelli” che non hanno finora prodotto risultati migliori di quelli del lockdown.
4. Per quanto si può vedere e comprendere, l’attuale, pur significativa, “ondata estiva” di contagi non avrà impatti rilevanti in termini di salute pubblica. È però un test culturale e istituzionale importante. Anche e soprattutto per l’uso politico di informazioni che possono influenzare pesantemente non solo la sanità, ma tutta la società. Basta pensare all’uso vergognoso dei dati riguardanti contagiosità e migranti (cfr. https://volerelaluna.it/migrazioni/2020/08/11/covid-19-pericolo-migranti/). E ancora: vedere come il Covid-19 può essere tenuto sulla cresta dell’attenzione per distrarre da altri problemi o per condizionare il modo di affrontarli. Il “dopo” è già incominciato ed è sempre più chiaro che il Covid-19 più che di sanità parla di democrazia: per la scuola, per il lavoro, “anche” per la sanità.
5. Rimane, in tutta la vicenda Covid-19, il ruolo informativo di “coloro che sanno”, scienziati più o meno specialisti del settore. Una politica informativa democratica passa inevitabilmente, soprattutto quando tante cose sono incerte, per il loro ruolo. Né in Italia, né a livello europeo, né nel mondo globale ci sono stati grandi segni di presa di coscienza di quanto la scienza è chiamata a un ruolo diverso di “servizio”, che cambi i rapporti di potere. Può darsi che il piccolo banco di prova che si sta vivendo con questi contagi (“turistici”, ma non solo) possa essere un’occasione per pensare a una presenza diversa in un futuro, che sarebbe importante non fosse solo o particolarmente sotto la responsabilità della Commissione dell’OMS guidata da Mario Monti.