Juden hier, “qui abita un ebreo”. In via Siacci 16 a Roma abitava un ebreo. La storia la racconta Tommaso, 14 anni, ad altri 500 studenti come lui venuti ad ascoltare Edith Bruck, in una delle non rituali iniziative organizzate nel Giorno della Memoria dall’Università Roma Tre, insieme alla Coalizione Italiana per i diritti e le libertà civili: «Durante la seconda guerra mondiale lei viveva con i genitori e i fratelli a Roma in via Siacci 16. Quando nel 1943 l’esercito tedesco ha iniziato i rastrellamenti degli ebrei, i miei bisnonni hanno nascosto per alcuni mesi una coppia di loro amici ebrei, che altrimenti sarebbe stata deportata nei campi di concentramento. Mia nonna Maria, all’epoca era appena nata. Era tutto molto complicato perché questa cosa doveva rimanere segreta. Non la doveva sapere nessuno. Ad ogni controllo tedesco loro si nascondevano in soffitta. Molti anni dopo la mia bisnonna ha raccontato a mia nonna che secondo lei moltissimi nel quartiere sapevano degli amici nascosti, ma per fortuna nessuno li ha mai traditi. Mia nonna si ricorda benissimo di queste persone. Per tanti anni infatti sono venuti a trovare la nostra famiglia nel giorno di capodanno e portavano sempre un enorme vassoio di marron glacé che a mia nonna piacciono tanto. Qualche tempo fa abbiamo ricevuto una telefonata del tutto inaspettata: una pronipote della famiglia ebrea aveva ricostruito questa storia, risalendo ai miei bisnonni e proponendo di nominarli “giusti fra le nazioni”. Nel 2008, una delegazione della mia famiglia è stata invitata a Gerusalemme per partecipare alla cerimonia di nomina, durante la quale è stato piantato un albero in ricordo dei miei bisnonni. Qualche settimana fa, durante le vacanze di Natale, ho visitato Gerusalemme con mia sorella, i miei genitori e dei nostri cari amici e sono stato al museo dell’olocausto: Yed Vashem. Lì, abbiamo fatto una passeggiata nel Giardino dei Giusti dove abbiamo potuto rintracciare il nome dei miei bisnonni su una delle targhe. Per tutti noi è stata una grande emozione e io sono veramente fiero dei miei bisnonni che hanno rischiato la propria vita per proteggere delle persone innocenti».
Juden hier, “qui abita un ebreo”, qualcuno ha scritto pochi giorni fa sulla porta di una casa a Mondovì dove abita il figlio di una grande donna partigiana che ha vissuto la tragedia della deportazione nel campo di Ravensbruck. Questo era il più grande campo di concentramento nazista, a pochi chilometri da Berlino. A Ravensbruck alcune donne vennero brutalmente ferite, infettate, fratturate fino a produrre cancrena. Lo scopo era quello di verificare l’efficacia di alcuni medicamenti da mettere a disposizione dei soldati nazisti. Ad altre donne vennero trapiantate ossa che erano state amputate a loro compagne di internamento. Centinaia di donne rom furono sterilizzate. Medici, scienziati, economisti si trasformarono in criminali. Si resero responsabili di una vera e propria fabbrica di eliminazione di massa degli indesiderati, a partire dagli ebrei, sino ai disabili e ai dissidenti.
Chiunque abbia scritto su quella porta Juden hier ha offeso tutti noi, la memoria su cui si fondano le democrazie costituzionali contemporanee. Esistono e sono esistiti i criminali, esistono e sono esistiti gli indifferenti, esistono e sono esistiti gli smemorati, ma fortunatamente esistono e sono esistiti anche i “giusti”. La memoria dei nostri ragazzi è anche per ricordare i “giusti”. Senza odio nei confronti dei criminali, degli indifferenti e degli smemorati. Come ha spiegato una meravigliosa Edith Bruck, lei non odia. Il male è servito per capire dove sta il bene. Una lezione straordinaria di etica, di vita, ma anche di diritto.