È da oggi in libreria Dalla parte del torto. Per la sinistra che non c’è, il nuovo libro di Tomaso Montanari edito da Chiarelettere. Ne anticipiamo uno stralcio che ben si colloca nella prospettiva per cui è nata “Volere la luna”.
La prima cosa per cui vale la pena di combattere è la Terra.
La febbre del pianeta si alza ora dopo ora, e mai come in questo nostro tempo è evidente che la fraternità tra esseri umani non ha un futuro se non si apre ad una fraternità più grande: quella con tutta la Terra. Il grido dei poveri di tutto il mondo è indistinguibile dal grido degli animali, delle piante, di ogni essere vivente e del corpo stesso del pianeta: sappiamo – lo sappiamo scientificamente e storicamente: e lo avvertiamo ogni giorno sulla nostra pelle – che non può esserci giustizia sociale senza giustizia ambientale. Sono un’unica cosa.
In qualche modo i cuori più ardenti e le menti più lucide del pensiero rivoluzionario del Novecento lo avevano intuito. Accade, per esempio, in un brano memorabile del carteggio di Rosa Luxemburg. È il dicembre del 1917, e Rosa è in carcere – sarà uccisa due anni dopo da squadracce fasciste agli ordini di un governo socialdemocratico. Scrivendo i suoi auguri di Natale alla sua amica Sonja Liebknecht, ella apre uno squarcio impressionante sulla propria interiorità:
Ahimè, Sonicka, qui ho provato un dolore molto intenso. Nel cortile dove vado a passeggiare arrivano di frequente carri dell’esercito zeppi di sacchi o di vecchie giubbe e casacche militari, spesso con macchie di sangue. Vengono scaricate, distribuite nelle celle per i rattoppi e quindi di nuovo caricate e rispedite all’esercito. Qualche tempo fa è arrivato un carro tirato da bufali anziché da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Di struttura sono più robusti e più grandi rispetto ai nostri buoi, hanno teste piatte e corna ricurve verso il basso, il cranio è più simile a quello delle nostre pecore, completamente nero e con grandi occhi mansueti. Vengono dalla Romania, sono trofei di guerra… I soldati che conducono il carro raccontano quanto sia difficile catturare questi animali bradi, e ancor più difficile farne bestie da soma, abituati com’erano alla libertà. Furono presi a bastonate in modo spaventoso, finché valse anche per loro il detto «vae victis»… Soltanto a Breslavia, di questi animali, dovrebbe esservene un centinaio; avvezzi ai grassi pascoli della Romania, ora ricevono cibo misero e scarso. Vengono sfruttati senza pietà, per trainare tutti i carichi possibili, e assai presto si sfiancano.
Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo investì chiedendogli se non avesse un po’ di compassione per gli animali. «Neanche per noi uomini c’è compassione» rispose quello con un sorriso maligno e batté ancora più forte… Gli animali infine si mossero e superarono l’ostacolo, ma uno di loro sanguinava… Sonicka, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta… gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza. Quanto erano lontani, quanto irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania! Quanto erano diversi, laggiù, lo splendore del sole, il soffio del vento, quanto era diverso il canto armonioso degli uccelli o il melodico richiamo dei pastori! E qui… questa città ignota e abominevole, la stalla cupa, il fieno nauseabondo e muffito, frammisto di paglia putrida, gli uomini estranei e terribili e… le percosse, il sangue che scorre giù dalla ferita aperta. Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia. Intanto i carcerati correvano operosi qua e là intorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano dentro l’edificio; il soldato invece ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni, se ne andò in giro per il cortile ad ampie falcate, sorrise e fischiettò tra sé una canzonaccia. E tutta questa grandiosa guerra mi passò davanti agli occhi…
(R. Luxemburg, Un po’ di compassione, Milano, Adelphi, 2007, pp. 19-21)
«Mio povero, amato, fratello…»: la fraternità che avvince Rosa prigioniera al bufalo in cattività è la fraternità degli sfruttati di ogni specie: ed è una fraternità capace di dividere il mondo tra oppressori e oppressi, indicando qual è la «grandiosa guerra» che siamo chiamati a combattere davvero. Una guerra incruenta: ma il cui esito deciderà la vita o la morte non solo degli oppressi, ma anche degli oppressori, che corrono ciecamente verso l’abisso. Perché la situazione è questa:
lo scenario planetario dal quale nasce il dibattito sui diritti della natura è caratterizzato da un’emergenza ambientale che nelle ultime due decadi ha assunto i contorni di una reale minaccia alla vita e allo sviluppo umano. L’attuale crisi ecologica è conseguenza di un modello di sviluppo che considera la natura come un magazzino inesauribile sia nella capacità di offrire beni e servizi, sia di assorbire rifiuti. La stupidità di un modello che teorizza la crescita economica infinita a fronte di un pianeta con risorse e capacità finite ha prodotto l’attuale crisi strutturale del sistema neoliberista.
De Marzo, Per amore della terra. Libertà, Giustizia e sostenibilità ecologica, Roma, Castelvecchi, 2018, p. 121
Tra le tante voci – di scienziati, associazioni, rari uomini politici – che si alzano per chiedere di invertire la rotta, quella di papa Francesco appare particolarmente alta e consapevole. Qualunque sia il giudizio sulla struttura di potere della Chiesa cattolica (e il giudizio non può che essere assai severo), sul cristianesimo e sulle religioni, è impossibile non vedere l’importanza fondamentale dell’enciclica Laudato sii del 2015, che affronta in modo unitario e spesso rivoluzionario tutti i temi chiavi della lotta per la giustizia ambientale:
l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita.
Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato sii, 2015, paragrafo 16
Al centro dell’enciclica c’è la figura di Francesco d’Assisi, dal quale Bergoglio ha voluto assumere il nome da pontefice, con una scelta senza precedenti negli ultimi otto secoli. È il Francesco che abbraccia il lebbroso, perché – per dirla con le parole particolarmente felici di Umberto Eco nel Nome della rosa – «non si cambia il popolo di Dio se non si reintegrano nel suo corpo gli emarginati». È la lezione principale – forse è l’unica lezione – che la sinistra deve davvero imparare, se vuole rinascere: nessun cambiamento è possibile se non è conquistato dagli emarginati stessi. Ed è l’abbraccio ai nuovi lebbrosi il passaggio cruciale: un abbraccio che significa condivisione di cammino. Francesco abbraccia dello stesso abbraccio i poveri e le creature della natura: con gli occhi di oggi vediamo in lui affrontate contemporaneamente le due grandi questioni del nostro tempo, la diseguaglianza e il futuro della Terra:
La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. …Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati.
Francesco, Laudato sii, cit., paragrafo 11
L’abbraccio di Francesco d’Assisi è la chiave: non una comprensione astratta, teorica, politica. Ma un abbraccio: fisico. Due corpi che si incontrano. L’amore di san Francesco per la vita è un aspetto cruciale, che troppo spesso il culto religioso o peggio l’oleografia cinematografica hanno cancellato. Durante il suo viaggio in Italia, Simone Weil confessa:
ho corso il rischio rimanere per tutta la vita, qualora le donne fossero ammesse, nel minuscolo Eremo delle Carceri, a un’ora e un quarto di strada sopra Assisi. Non vi è spettacolo più sereno, più paradisiaco, dell’Umbria visto da lassù. Quel san Francesco sapeva scegliere i posti più deliziosi per viverci in povertà: non aveva nulla di un asceta.
Weil, Viaggio in Italia, a cura di D. Canciani e M. A. Vito, Roma, Castelvecchi, 2015, p. 42
Francesco non si esercita nel distacco dal mondo: ma nell’amore intenso, fisico e viscerale per il creato. È vicino alla Terra: letteralmente, è umile (da humus). L’umiltà è la via maestra per coltivare la nostra fraternità con il mondo.
Grazie