La questione della censura esplicita o sottobanco, esercitata dai politici quando governano, è un tema che mi tocca direttamente ma mi interessa anche come cittadino di un Paese che si vanta di essere una democrazia. Avrei voluto occuparmene da lungo tempo ma mi sono astenuto dal farlo perché non volevo che il mio coinvolgimento fosse percepito come segno di un interesse esclusivamente personale. Oggi, che sto per compiere i 74 anni e posso dire che la parte saliente del mio avvenire sta alle mie spalle, sento di poter essere più libero di esprimermi.
La gran parte dei politici di ogni schieramento ritiene di dover decidere le nomine di coloro che sono preposti alle direzioni delle istituzioni e degli eventi artistici e lo fa basandosi, prevalentemente, su interessi di clientela, di bottega, di partito. Questi esponenti di partiti molto frequentemente non hanno alcuna competenza su cui fondare le loro scelte. Lo fanno con disinvoltura e spregiudicatezza in ambiti ben più sentiti dai cittadini, come il sistema sanitario. Figuriamoci con che senso di totale impunità lo fanno nell’ambito della cultura, in tutte le sue forme e manifestazioni, in un Paese come l’Italia che è afflitto da vaste aree di incultura o peggio di disprezzo per la cultura e i saperi.
Bisogna, dunque, chiarire alcuni princìpi che non dovrebbero essere discutibili. L’artista, l’uomo di cultura, lo studioso e l’intellettuale sono prima di tutto cittadini e, come tali, hanno pieno titolo ad avere idee politiche e a esprimerle come, quando e dove meglio credono. Ma chissà perché molti politici, in particolare nello schieramento delle destre, dichiarano con piglio ammonitorio che gli artisti si devono occupare di arte e non di politica. Questa affermazione insensata viene spacciata come regola deontologica a cui gli artisti dovrebbero attenersi. Ora, l’arte si occupa, per definizione, di vita, di uomini, di relazioni fra di loro. Quindi di società. Necessariamente, se sceglie, non può astenersi dall’essere politica. La censura diretta o indiretta, esplicita o camuffata è tipica delle tirannie e delle dittature. Quando viene praticata da parte dei governanti di una democrazia, significa che quella non è più una democrazia, bensì, una demokratura, parola coniata dello scrittore croato Predrag Matviejievic per indicare una democrazia autoritaria, a cui del sistema democratico restano solo forme svuotate di valore. La censura applicata all’arte e alla cultura, in qualsiasi forma venga esercitata, è un’oscenità che annuncia l’imbarbarimento del tessuto civile.
Ma c’è di più. Censurare l’arte e la cultura dello spettacolo è una forma grave di imbecillità perché si tratta di realtà non hanno il potere di eleggere i governi. Il politico che incassa a viso aperto la satira e le critiche che gli vengono rivolte è un politico di tempra. Solo i piccoli uomini che si fanno grandi dietro al ruolo politico paventano i colpi vibrati dal pensiero di chi non la pensa come loro.