Il problema dell’immigrazione nella bella Italia è stato fino a poco fa quello del pastorello che aveva l’abitudine di gridare “al lupo al lupo”, senza che il lupo comparisse, e cionondimeno tutti gli abitanti del villaggio accorrevano. Così basta che un pallonaro gridi “immigrati, immigrati” e una massa tumultuante di villici di questo strapaese accorre alle urne per confermare il suo allarme e convincerlo che basti continuare a strillare spaventando a destra e a manca per diventare autorevole e persino per chiedere per sé i pieni poteri. In realtà un lupo è da tempo presente nel Bel Paese e addenta con grande gusto le migliori prede sbranando le carni del futuro. Le prede sono i migliori talenti d’Italia che sono costretti a emigrare per dare possibilità d’eccellenza alle proprie intelligenze e alle proprie vite e contestualmente finiscono per portare incrementi di qualità ai know-how di altri.
La colpa è dunque del lupo chiamato altrimenti immigrazione? Ma no! Sono altri che attirano il lupo offrendo prede per il magnifico animale, perché allevano prede a costo zero e ad alto profitto per sé scaricando il costo esiziale dell’operazione sul corpo del Paese. Chi sono costoro?
Sono i sacerdoti e le vestali del familismo, del nepotismo, della corruzione, del tengo famiglia e via dicendo. Il riconoscimento del merito qui da noi è un’eccezione non certo la regola. Gli esempi si sprecano e vengono anche denunciati di tanto in tanto soprattutto dai media che si nutrono di scandali – questione di audience e conseguente gettito pubblicitario – ma dopo una tempestosa serie di talk show, che presentano le loro compagnie di giro, la sete di “sangue” della plebe teleguidata è soddisfatta e si placa. Le cose continuano, più o meno, come prima.
A questa considerazione è necessario aggiungere un’informazione fondamentale per capire quali sono i problemi reali che i paesi avanzati, il nostro in particolare, devono affrontare. Il più urgente è la denatalità. L’Italia è nelle ultime posizioni nel mondo (secondo alcune classifiche al terz’ultimo posto) in relazione a questa questione: incredibile a dirsi, il paese della mamma, la nazione in cui molti figli rimangono a vivere con i genitori a lungo, anche dopo l’età degli studi. Le coppie, sposate o meno, dello stivale non fanno figli. Perché? Secondo molti osservatori, la bassa natalità dipende dall’insicurezza, dalla precarizzazione del lavoro, dalla mancanza di protezioni sociali, dagli alti costi che è necessario sostenere per crescere i figli.
Ma basta scorrere un acuto articolo di Massimo Fini apparso pochi giorni fa su Il Fatto Quotidiano per capire che paesi che godono di condizioni molto migliori delle nostre hanno tuttavia un tasso di natalità insufficiente a garantire un equilibrio nel futuro. Personalmente ritengo che le radici del problema siano altre e che appartengano al modello di società a cui sono approdate le nazioni “affluenti”. Il turbo capitalismo selvaggio, quello che il grande Luciano Gallino ha definito Finanzcapitalismo, ha demolito ogni valore della vita che non sia legato alla creazione di denaro da denaro, al consumo come paradigma delle relazioni sociali. Ora, se si ha l’intenzione di rimanere in questo tipo di organizzazione economica non c’è via d’uscita a meno di fare dei figli un prodotto negoziabile (marketable) o un servizio al consumo. Altrimenti fare figli “non conviene”. Un’altra soluzione vorrebbe essere quella del cattolicume reazionario sanfedista con i suoi patetici “family day” sostenuti da certi politici della destra più becera che vorrebbe ripristinare la triade clerico-fascista Dio, Patria, famiglia e poi, forse, il fare figli per la gloria della nazione.
La conclusione più ovvia è che l’immigrazione serve da ogni punto di vista a noi. Accogliere è non solo giusto dal punto di vista evangelico e dal punto di vista dei diritti universali dell’uomo ma anche per evitare il declino irreversibile delle società avanzate.