I danesi e le Sardine: gente comune che decide di “scendere in piazza”

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Voglio raccontare una storia che sicuramente alcuni lettori già conoscono ma che merita di essere nuovamente ricordata perché illuminante rispetto all’oggi e rispetto alla discesa nelle piazze italiane delle Sardine.

È la prima settimana dell’ottobre 1943 e da tre anni – precisamente dal 9 aprile 1940 ‒ la Danimarca è militarmente occupata dai nazisti. Hitler vuole includere nella Soluzione Finale anche questo Paese avendovi  già provveduto ovunque in Europa.  Il responsabile in capo del “Protettorato”, Werner Best, ha tergiversato a lungo, ma il 17 settembre arriva l’ultimatum del Führer. La data per la razzia è fissata al 1 ottobre. Però, quando, quella sera, squadre di poliziotti tedeschi insieme ai volontari danesi delle SS si mettono in movimento in tutto il Paese, i risultati sono magri perché, nel frattempo, la notizia è trapelata e la maggioranza degli ebrei danesi, fin dalla notte del 30 settembre, dorme fuori casa (non abbiamo peraltro cifre sul loro numero). Una cosa è certa: quella sera, quando le linee telefoniche vengono interrotte, quasi tutti gli ebrei hanno già abbandonato le proprie abitazioni, trovando rifugio presso amici, vicini, chiese, ospedali. Verranno messi in salvo, sull’altra sponda, quella svedese, nei giorni successivi. Su una popolazione di circa seimila persone, sono poco più di trecento gli ebrei arrestati e duecentodue quelli deportati.

Due domande: chi sono questi salvatori e perché l’hanno fatto?

Secondo lo storico danese Bo Lidegaard che su quella vicenda ha scritto a lungo, i salvatori del sangue risparmiato (qui un pensiero affettuoso e riconoscente ad Anna Bravo mancata pochissimi giorni fa per il debito contratto con lei proprio su questo tema) sono dei cittadini. Soprattutto sono dei comuni cittadini, molto spesso anonimi, raramente profittatori, disposti a farsi carico di altri cittadini. E aggiunge: «Gli amici e i conoscenti coinvolti in questa azione di salvataggio non fanno parte né della resistenza organizzata, né sono particolarmente militanti e neppure sono persone che hanno dimostrato un particolare disprezzo per il nazismo e per l’occupazione. Al contrario, essi sono dei comuni cittadini che ritengono l’azione del potere occupante come un tentativo di distruggere alla base la società a cui appartengono e di cui si sentono parte». Con la decisione di estendere alla Danimarca la Soluzione Finale, il Terzo Reich aveva risvegliato la forza più potente che possiede un Paese: una “comune volontà popolare”. Una volontà che – continua Lidegaard ‒ si diffonde e si rafforza grazie, forse, a una qualche forma di “contagio benefico” o di imitazione, ma che esprime soprattutto una cultura della tolleranza condivisa appunto da “uomini comuni”, i singoli attori all’interno di una moltitudine che, a differenza della massa, si muove autonomamente e all’insegna dell’inclusione dell’Altro. Una moltitudine dunque – e qui prendo io la penna – non manovrata ma includente che, ricorrendo alla sorpresa, pone in atto un insieme composito di atteggiamenti e comportamenti i quali, per mille rivoli, con la forza dell’esempio (e dell’imitazione?), spiazzano socialmente l’avversario. Se vogliamo, un’azione nonviolenta di massa, che, e questo costituisce un elemento di sorpresa, non si basa né su un’organizzazione né sulla disciplina.

Ma non sono proprio questi stessi i tratti che caratterizzano oggi la moltitudine di umani che sta riempiendo le piazze di tutt’Italia? La risposta è sì. Sono gli stessi perché, al di là dalle apparenze, in entrambi i Paesi il nemico è il medesimo. Esplicitamente brutale, per la violenza fisica che esprime, nell’un caso, l’occupante nazista; violento nella turpitudine del linguaggio e nel tono minaccioso (memorabile la frase salviniana “la pacchia è finita”), l’accoppiata Salvini-Meloni nell’altro caso. Che poi, là, in Danimarca, il nemico fosse esterno, che la minaccia venisse da fuori mentre da noi la minaccia è interna, non vanifica un secondo comune aspetto e cioè che in entrambi i casi la moltitudine scende in campo per difendere gli stessi valori, i valori  fondanti del vivere comune, da noi incarnati nella Costituzione, da loro nella cultura dell’inclusione.

Pertanto oggi siamo partecipi di un’occasione straordinaria. Straordinaria per varie ragioni.

Anzitutto perché smentisce il pessimismo di chi – e siamo stati tanti – ha temuto che la criminale distruzione della cultura da parte del berlusconismo avesse fatto piazza pulita di ogni senso di cittadinanza e prima ancora di ogni capacità critica.

In secondo luogo, perché, non soltanto idealmente ma anche concretamente, questa discesa in campo si collega a un percorso che è stato troppo spesso sottotraccia: un torrente carsico alimentato da storie individuali e collettive di riconoscimento e di solidarietà che ora emerge con l’innocenza (come scrive Marco Revelli: https://volerelaluna.it/controcanto/2019/11/25/sardine-ovvero-linnocenza-necessaria/) delle giovani e dei giovani.

In terzo luogo, perché questa coscienza collettiva ci invita silenziosamente ma fermamente a non dimenticare che la violenza è un continuum, una progressione di crescenti ferocie. E che l’assuefazione ai suoi primi momenti facilita il passo ai successivi: si inizia con il rigetto del diverso e si arriva alla tortura, al  suo annientamento fisico.

Infine agli “sciocchi che arricciano il naso e alzano il dito” e agli scettici che “scuotono il capo”, vorrei ricordare, prendendo ancora lo spunto dalla vicenda danese, che le Sardine dispongono di due armi formidabili: l’ironia, e il suo fedele alleato, lo spiazzamento. Come fu il caso con i danesi, abilissimi nel  mettere in ridicolo situazioni che erano oggettivamente minacciose (come quando affissero su due carri armati tedeschi parcheggiati nella piazza del Municipio di Copenhagen, il cartello “in vendita”). E come fu anche il caso con i giovani protestanti del villaggio di Le Chambon sur Lignon che al rappresentante del governo collaborazionista nella Francia occupata dai nazisti, venuto con l’incarico di convincerli ad aderire al “Nuovo Ordine Sociale” risposero non soltanto con un reciso rifiuto, ma pretesero che lui ritornasse alla capitale un documento che metteva sotto accusa il Governo, responsabile della razzia degli ebrei allora avvenuta a Parigi da pochi giorni. 

Gli autori

Amedeo Cottino

Amedeo Cottino è stato professore di Sociologia presso le Università di Umeaa (Svezia) e di Torino. Si è occupato di diritto internazionale umanitario in qualità di esperto della Croce Rossa Internazionale. Ha scritto sul lavoro nero nell'edilizia e sulla criminalità dei colletti bianchi. Studia, tra l’altro, i temi dell'uguaglianza di fronte alla legge e della responsabilità individuale di fronte alla violenza.

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One Comment on “I danesi e le Sardine: gente comune che decide di “scendere in piazza””

  1. Molto bella questa distinzione fra moltitudine e massa: «moltitudine che, a differenza della massa, si muove autonomamente e all’insegna dell’inclusione dell’Altro».

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