Un totale di 100 anni di prigione nella sentenza del processo contro la leadership indipendentista catalana che il Tribunal Supremo ha reso pubblica lunedì 14 ottobre, appena in tempo per non dover procedere al rinnovo del regime di carcerazione preventiva per i “Jordis” per ulteriori due anni. Condannati al carcere i nove dirigenti già privati della libertà da molti mesi. Non per il reato di ribellione, come aveva chiesto la Procura Generale secondo l’impianto accusatorio contenuto nell’istruttoria del giudice Pablo Llarena. Ma per sedizione, come nell’accusa dell’Avvocatura dello Stato, cui per alcuni ex-consiglieri si aggiunge il reato di distrazione di risorse pubbliche. Per tutti, l’inabilitazione da incarichi pubblici per un periodo analogo a quello della detenzione.
Le pene, elevatissime, sono modulate in relazione alla gerarchia delle responsabilità e al teorema secondo cui il reato si è potuto consumare contando sulle tre gambe del potere legislativo (il parlamento), del potere esecutivo (il governo, col sostegno dei Mossos d’Esquadra) e della mobilitazione popolare. 13 anni all’ex-vicepresidente della Generalitat Oriol Junqueras; 12 anni agli ex-consiglieri Dolors Bassa, Raül Romeva e Jordi Turull; 11,5 anni alla ex-presidente del parlamento catalano Carme Forcadell; 10,5 anni agli ex-consiglieri Joaquim Forn e Josep Rull; 9 anni ai leader dell’associazionismo catalano, Jordi Cuixart e Jordi Sánchez, rispettivamente presidente di Òmnium Cultural ed ex-presidente dell’Assemblea Nacional Catalana. Per gli ex-consiglieri in libertà condizionale Meritxell Borràs, Carles Mundò e Santiago Vila, la condanna è per disobbedienza e consiste in sanzioni economiche e inabilitazione dai pubblici poteri.
Secondo il tribunale presieduto da Manuel Marchena, dunque, non ci sarebbe stato alcun golpe per l’assenza di una violenza sufficiente per intensità ed estensione a piegare l’ordine costituzionale, nonostante la destra spagnola ne abbia fatto per due anni la bandiera contro l’indipendentismo e contro la sinistra accusata di connivenza e Vox l’abbia tradotto in nerbo della sua accusa popolare. Ma il fatto che i leader del movimento fossero accusati di ribellione, uno dei delitti più gravi nel Codice penale spagnolo, ha permesso di privarli della libertà senza condanna definitiva e di sospendere le prerogative parlamentari di quelli risultati eletti nelle competizioni politiche ed europee.
La sentenza, però, non solo è grave nei confronti di queste nove persone – rappresentanti politici eletti democraticamente, o leader sociali scelti dalle loro associazioni – e delle loro famiglie per l’entità delle pene. Lo è anche per il reato che viene loro ascritto per avvenimenti che, appena qualche anno fa, con la consultazione del 9 novembre 2014, sarebbero stati trattati come disobbedienza dal Tribunal de Justicia de Catalunya, ossia dal giudice stabilito per legge. E, da un punto di vista più generale, è assai preoccupante perché stabilisce un pericoloso collegamento tra sedizione, come delitto contro l’ordine pubblico che s’invera nella “sollevazione pubblica e tumultuosa” e i diritti di espressione, di protesta e di manifestazione.
La manifestazione pacifica e di massa del 20 settembre 2017 davanti al dipartimento di Economia, per cui i Jordis finirono in carcere un mese dopo, era un atto di protesta per le perquisizioni che si stavano svolgendo all’interno degli edifici della Generalitat e il 1° ottobre era l’esercizio di un diritto di espressione attraverso le urne, per quanto proibito dalla giustizia spagnola e perciò illegale, nonostante il referendum unilaterale fosse stato depenalizzato nel 2005. Perciò la sentenza non riguarda solo l’indipendentismo, ma mette a rischio l’effettivo esercizio dei diritti fondamentali, come hanno denunciato l’associazionismo democratico e il sindacato confederale catalano, nonché i Comuns di Ada Colau e, a livello dello Stato, Podemos per cui la condanna ai leader indipendentisti non risolve il problema, anzi lo aggrava.
Da lunedì 14 ottobre, la Catalogna è percorsa da grandi manifestazioni indette dall’associazionismo indipendentista, dai sindacati, dalle istituzioni catalane e da Tsunami Democràtic, la nuova piattaforma indipendentista, nata e cresciuta sui social, che promuove azioni dirette nonviolente. Ma per la prima volta, si affaccia la violenza nelle città principali, soprattutto a Barcellona nelle prime ore della sera: scontri tra forze dell’ordine che intervengono troppe volte immotivatamente e gruppi di manifestanti che appiccano fuochi e fanno barricate, con una scia di arresti e di feriti, alcuni gravi. Fatti puntuali e isolati, con protagonisti un migliaio o più di giovani a volto coperto, estremisti anti-sistema, tra cui alcuni probabili infiltrati, o semplicemente ragazzi esasperati che veicolano così la rabbia e l’impotenza. Atti condannati dalle istituzioni catalane, dai sindacati e dall’indipendentismo e che comunque non cambiano il carattere pacifico del movimento degli ultimi nove anni. La destra è all’attacco, chiede l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione per commissariare le istituzioni catalane. Il governo di Pedro Sánchez condivide la sentenza, la considera proporzionata e una prova della separazione dei poteri; non ha in programma di concedere indulti e si lascia aperte tutte le possibilità d’intervento in Catalogna che la Costituzione gli riconosce.
Il dialogo, oggi, sembra più distante che mai. Il prossimo 10 novembre, si torna a votare in Spagna, per la quarta volta in quattro anni.
Grazie a questo articolo capisco meglio ciò che sta avvenendo in Catalogna. Conferma il mio pensiero che le pene sono esagerate e serviranno soltanto a fomentare violenza.
Al governo centrale spagnolo, nelle persone del primo ministro e del ministro dell’interno
All’ambasciatore spagnolo in Italia
emb.roma@maec.es
All’ambasciatore italiano a Madrid
segreamb.ambmadrid@esteri.it
Loro sedi
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Protesto con tutte le mie forze, da cittadino italiano ma, ancor prima, da uomo libero e da appartenente alla comunità umana, contro le condanne, pesantissime e ingiustificate, inflitte ai leaders della Repubblica di Catalogna.
Protesto con tutte le mie forze, da cittadino italiano ma, ancor prima, da uomo libero e da appartenente alla comunità umana, contro la violentissima repressione delle giuste aspirazioni del popolo della Repubblica di Catalogna. Repressione che non ha nessuna giustificazione e che non risparmia nessuno, nemmeno i diversamente abili costretti su una sedia a rotelle. Le scene che si susseguono su tutti i mezzi di informazione sono indegne di un paese che pretende di essere civile.
Due semplici domande.
– La Repubblica di Catalogna non è il frutto di un colpo di mano. E’ stata proclamata a seguito di un referendum, ostacolato in tutti i modi dal governo centrale. Che fine ha fatto la democrazia in terra di Spagna?
– Perché sono stati inquisiti i componenti delle forze dell’ordine che si sono rifiutati di usare la violenza contro chi si recava liberamente alle urne per la consultazione referendaria?
Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione. La società non è violenza e imposizione di classe ed economica. La società non è che la libera associazione di individui tutti diversi, ma con gli stessi doveri e gli stessi diritti.
Libertà, eguaglianza, autodeterminazione, nonviolenza,
sergio falcone