Voto a 16 anni? Magari anche no…

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In pochi giorni si sono rincorse e accavallate nel dibattito mediatico due proposte di allargamento della cittadinanza che meritano di essere attentamente esaminate.

La prima non è una novità: si tratterebbe di introdurre nel nostro ordinamento una forma di ius soli, o ius culturae, che renda finalmente giustizia alle persone di origine straniera residenti nel nostro paese e ai loro figli e figlie, che qui studiano, crescono, giocano, lavorano, praticano sport, ma continuano a non godere degli stessi diritti dei loro coetanei. Una proposta a sostegno della quale esisterebbe oggi, sulla carta, una maggioranza parlamentare, se non fosse per il pernicioso dilagare della “sindrome dei due tempi”, ben descritta da Gad Lerner, che spinge a dire: «giusto, giustissimo, ma non è il momento…».

Sembra invece che sia arrivato “il momento” per estendere il diritto di voto ai sedicenni, dopo le oceaniche manifestazioni per il clima che li hanno visti protagonisti, nelle piazze di tutto il mondo, insieme a ragazzi più grandi, e anche molto più giovani, di loro. L’idea, lanciata da Enrico Letta in un’intervista, contestualmente alla benedizione del taglio dei parlamentari, “controbilanciata” ‒ si fa per dire ‒ dalla reintroduzione del Mattarellum (!), è stata subito rilanciata e accolta con favore da vari commentatori, abbagliati dallo spettacolo colorato delle piazze per il clima: «I ragazzi hanno lo sguardo lungo, diamogli il diritto di votare»; solo estendendo il diritto di voto ai sedicenni l’“agenda Greta” sarà in grado di imporsi a politici incapaci di pensare al futuro…

Peccato che questa proposta non provenga affatto dal “movimento Greta”, concentrato su ben più sostanziose rivendicazioni. E che le parole pronunciate di fronte ai grandi della terra dalla sedicenne simbolo del movimento vadano in direzione piuttosto diversa: «Non ascoltate me, ma gli scienziati»; «Ė tutto sbagliato. Io non dovrei essere qui. Dovrei essere a scuola dall’altra parte dell’oceano». Nella loro disarmante semplicità, queste parole ci invitano a non crogiolarci nell’illusione che il mondo possa venire “salvato dai ragazzini”. Chiedono a noi adulti di assumerci le responsabilità che ci spettano per i disastri che abbiamo combinato con le nostra miopia politica e la nostra ignavia. Ci dicono che tocca a noi oggi ‒ e a loro solo domani, quando avranno gli strumenti per farlo ‒ tradurre in misure concrete principi e istanze che un movimento come questo inevitabilmente rivendica su un piano ideale, più che operativo.  

Di certo, prendere sul serio l’invito ad “ascoltare gli scienziati” è molto più difficile, per chi oggi ricopre ruoli di potere, che concedere il diritto di voto ai sedicenni. Non è un caso che l’idea abbia registrato larghi consensi tra le forze politiche, già intente a compulsare sondaggi sulle ipotetiche intenzioni di voto dei potenziali nuovi elettori. Quelle stesse forze politiche che ‒ quasi senza eccezione ‒ fanno orecchie da mercante di fronte alle richieste del movimento. E non mostrano alcuna intenzione di modificare le norme del “decreto sicurezza bis” che, criminalizzando modalità di azione politica come l’occupazione di edifici e il blocco stradale, potranno domani essere usate contro gli stessi studenti che occupano le scuole e partecipano a manifestazioni, quando non “graziosamente autorizzate” dal ministro dell’istruzione, naturalmente…

Intendiamoci. In astratto, l’idea di estendere il diritto di voto ai sedicenni è degna di essere discussa. Il tema è serio: ha a che fare con la definizione dell’età in cui si acquisisce, mediamente, la maturità necessaria per esercitare in modo consapevole i diritti politici. Chiediamoci, allora: quest’età si è oggi spostata verso il basso? Molte ricerche ‒ ma credo anche l’esperienza di chi sia genitore, insegnante, o comunque viva a contatto con giovani e giovanissimi ‒ inducono a esprimere qualche dubbio. L’adolescenza si prolunga, ben oltre i diciott’anni. L’età della responsabilità e dell’autonomia tarda ad arrivare, non per colpa dei giovani, peraltro.  L’interesse per la politica, nei cui confronti prevale un senso diffuso di sfiducia e scetticismo, è ai minimi termini, anche in questo caso per ragioni comprensibili, che rinviano a ciò che noi abbiamo costruito e siamo oggi in grado di offrire alle nuove generazioni. Quanto alla democrazia, una ricerca di pochi anni fa, riferita ai “giovani” dai 15 ai 30 anni, rilevava la prevalenza di una visione estremamente semplificata, “(iper)presidenzialista e dirigistica”, ben rappresentata dal 64% del campione dichiaratosi d’accordo con l’affermazione: «C’è troppa confusione, ci vorrebbe un Uomo Forte a guidare il Paese» (E. Lello, La triste gioventù. Ritratto politico di una generazione, Maggioli Editore 2015, p. 89).

Diritto di voto ai sedicenni? Se anche Nuela, il sedicenne vincitore di Xfactor con il tormentone “Carote”, si premura di comunicarci che sentirebbe piuttosto l’esigenza di una scuola che affronti in modo approfondito i temi legati al cambiamento climatico, c’è di che riflettere… Il tempo della riflessione, invece, è decisamente scaduto per quell’altra riforma, spesso annunciata e sempre procrastinata (ricordate Fini, quindici anni fa?), che consiste nel riconoscere la pienezza dei diritti agli immigrati lungo residenti, oltre che ai loro figli, nati, cresciuti e scolarizzati nel nostro Paese.       

 

Gli autori

Valentina Pazé

Valentina Pazé insegna Filosofia politica presso l’Università di Torino. Si occupa, in una prospettiva teorica e storica, di comunitarismo, multiculturalismo, teorie dei diritti e della democrazia. Tra le sue pubblicazioni: "In nome del popolo. Il potere democratico" (Laterza, 2011), "Cittadini senza politica. Politica senza cittadini" (Edizioni Gruppo Abele, 2016) e "Libertà in vendita. Il corpo fra scelta e mercato" (Bollati Boringieri, 2023).

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2 Comments on “Voto a 16 anni? Magari anche no…”

  1. Il voto ai sedicenni con una scuola che vuole formare i futuri lavoratori precari per il profitto dei soliti noti.
    Una scuola che non forma i cittadini visto che neppure legge ai suoi scolari i primi dodici articoli della Costituzione ” I principi fondamentali” durante il ciclo d’istruzione obbligatorio, quando in molti sono i sedicenni che l’abbandonano. Poveri nostri ragazzi e poveri pochissimi professori che danno l’anima in una scuola maltrattata altro che voto ai sedicenni.

  2. Dubbi più che legittimi, quelli della prof.ssa Pazé. D’altra parte, sono constatazioni inoppugnabili quelle su cui si fondano.
    “L’adolescenza si prolunga, ben oltre i diciott’anni”. E chi può negarlo?
    “L’età della responsabilità e dell’autonomia tarda ad arrivare… ” E come contestarlo?
    Ma la domanda, per ricollegarmi al precedente commento, come diceva quel tale, sorge spontanea: Sarà mica un effetto della scolarizzazione prolungata?
    Sarà mica la scuola a inibire o, quantomeno, a ritardare la crescita?
    E se (come vado pensando da tempo) cosi fosse, si tratterebbe di un effetto paradossale o di una conseguenza inevitabile della logica (pratiche, liturgie, istituti – valutazione in primis) di quella istituzione?

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