Il TAV, apparentemente sdoganato da una patetica dichiarazione di un presidente del Consiglio in caduta libera e da uno scontato e inutile voto parlamentare multipartisan, resta più che mai una questione aperta. Per intanto ha colpito ancora dando la spallata finale alla crisi annunciata del Governo giallo-verde. E, poi, è assai probabile che i suoi prossimi passaggi si riaffacceranno nelle complesse trattative per uscire dalla crisi posto che, anche sotto il profilo giuridico, il via libera ai lavori del tunnel di base è tuttora controverso (cfr. l’intervista a Sergio Foà «TAV, il governo sfiduciato non può dare il via», il Manifesto dell’11 agosto 2019). Che la partita sia tutta da giocare – e che valga più che mai il detto trapattoniano «non dire gatto se non l’hai nel sacco» – lo hanno sottolineato, su queste pagine, Angelo Tartaglia, che ha dimostrato come essa sia ancora al calcio d’inizio, Giovanni Vighetti, che ha spiegato come il Parlamento, a ben guardare, abbia votato sul nulla, e Luca Giunti, che ha chiarito come nella storia e in natura non c’è nulla (o, almeno, nulla di positivo) che si possa considerare irreversibile. Per questo è utile fermarsi su alcuni dei passaggi più recenti della querelle, relativi al passato ma utili per definire scelte e obiettivi futuri.
Primo. Il cedimento del (defunto) Governo Conte al partito degli affari ha aperto sui media e sui social un dibattito sintetizzabile nell’alternativa se i 5Stelle siano traditori o sconfitti. Non so dire quale tra queste qualità sia prevalente ma so per certo che a sopravanzarle entrambe è stata una incapacità politica smisurata o, forse più esattamente, una stupidità per la quale è difficile trovare uguali. Questa – non la mancanza della maggioranza assoluta in Parlamento (evocata come scusante dal redivivo Beppe Grillo) – è, e resterà, la colpa storica del M5Stelle, una colpa tanto accentuata da sconfinare nel dolo. Che cosa poteva/doveva fare una forza genuinamente No TAV dopo la definizione di un contratto di governo in cui stava scritto che «con riguardo alla Linea al Alta Velocità Torino-Lione ci impegniamo a ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia»? Molte cose, alcune delle quali di un’evidenza solare:
– anzitutto bisognava collocare ai vertici di TELT (la società italo-francese preposta alla Nuova linea ferroviaria), alla presidenza dell’Osservatorio Val Susa e nel ruolo di Commissario di Governo, in sostituzione dei sempiterni pasdaran dell’opera Virano e Foietta, tecnici convinti della necessità – appunto – di una “ridiscussione del progetto”. Non per occupare poltrone ma per dare concretezza e coerenza all’azione di governo portandone le convinzioni e i dubbi nelle sedi operative e traducendoli lì in proposte, atti amministrativi, interlocuzioni con le altre parti interessate, presenza mediatica alternativa. Non averlo fatto – nonostante le molte sollecitazioni di un territorio ostentatamente inascoltato – ed essere rimasti inerti in attesa degli eventi ha prodotto, com’era facile prevedere, un’assoluta continuità amministrativa e contribuito a determinare la vittoria dell’establishment;
– poi era necessario predisporre, coinvolgendo geologi e tecnici di primo piano, un progetto di interventi di difesa, manutenzione e risanamento del territorio (un progetto concreto, comprensivo di un’opera per ogni regione e con l’indicazione di finanziamento, tempi di esecuzione e ricadute sull’occupazione) su cui aprire un dibattito nel Paese per valutare l’opportunità di destinare a tali opere o al TAV le (poche) risorse disponibili. Non averlo fatto ha rafforzato le posizioni di chi – interessatamente – ha presentato il TAV come (sola o principale) occasione di rilancio dell’economia e dell’occupazione, così mettendo in secondo piano la stessa analisi costi-benefici richiesta dal ministro delle infrastrutture, univoca nell’evidenziare l’insostenibilità economica della Nuova linea Torino-Lyon;
– ancora, andava aperto con il Governo francese un confronto pubblico e non subalterno sulle rispettive posizioni in punto effettivo interesse all’opera, tempi della sua realizzazione (rinviata in Francia, per la tratta nazionale, a dopo il 2038 e salve ulteriori valutazioni…), costi a carico di ciascuna delle parti (in ogni caso da ridiscutere per l’irrazionale accollamento all’Italia della loro parte maggiore). Se lo si fosse fatto, anziché limitarsi a colloqui di vertice su chi doveva restare “con il cerino in mano”, sarebbe rimasta chiara, quantomeno, l’opportunità di un rinvio sine die o comunque a (improbabili) tempi migliori.
Le battaglie politiche (l’insegnamento vale per il futuro) si fanno non con sparate propagandistiche ma con atti coerenti, che – soli – possono produrre nuovi equilibri pur partendo da posizioni di minoranza.
Secondo. La lezione di questi anni è che il partito degli affari ha una capacità attrattiva senza uguali. Erano originariamente No TAV – come noto e come ricordano libri e fotografie – finanche Renzi e Salvini. Era No TAV, come ha tenuto a precisare nel dare il via agli appalti per il tunnel di base, il presidente del Consiglio Conte. E lo era, ancora pochi mesi fa, prima di diventare segretario generale della Cgil, Maurizio Landini che ora, dopo avere bizantinamente distinto la sua posizione personale da quella dell’organizzazione, ha commentato la decisione del Governo con un eloquente «bene!». Perché questa attrazione fatale, per di più immotivata o giustificata con slogan e frasi fatte, al momento della assunzione di ruoli di governo o, comunque, di rilievo pubblico di primo piano? La domanda è tanto più necessaria per chi – tutti, escluso Salvini – inneggia contemporaneamente a Greta e alla necessità di salvare ambiente e clima, all’evidenza compromessi dallo scavo di una montagna piena non solo di falde acquifere ma anche di amianto con immissione nell’atmosfera di almeno dieci milioni di tonnellate di CO2. La corruzione ideale ed etica prodotta dal potere (o anche solo dalle sue briciole) non è certo una novità del nuovo millennio e la legge del consenso nell’età dei social fa spesso perdere l’anima. Ma non c’è solo questo. C’è la mancanza nella cultura politica e sindacale – con poche eccezioni – di un pensiero lungo e, in esso, di un’attenzione reale all’ambiente, sempre soccombente di fronte al lavoro, all’economia, allo sviluppo. Non sono casuali l’inconsistenza e l’inconcludenza nel nostro Paese dei movimenti verdi (che, spesso, di verde hanno solo il nome). Un cambio di paradigma è, peraltro, imposto dal collasso climatico in atto. Ora, non domani. Con una conseguente priorità politica: trasformare l’opposizione alle grandi opere in parola d’ordine della modernità, su cui costruire alleanze e conversioni.
Terzo. Nel (breve) momento in cui la decisione del Governo sul TAV è stata in bilico le punte di diamante dello schieramento del Sì (a partire dalla strana coppia Salvini-Chiamparino), oltre a mobilitare le “madamine” sabaude, hanno invocato all’unisono un referendum per dare la parola ai cittadini o – come va di moda dire – al “popolo”. La proposta era evidentemente impraticabile e del tutto strumentale, tanto da essere immediatamente ritirata al cambiar del vento, ma contiene un nucleo forte che, sette anni fa, era stato indicato sulle pagine di La Repubblica da Adriano Sofri, subito silenziato dalla direzione del giornale (cfr. www.volerelaluna.it/wp-content/uploads/2019/05/TALPA-3pepino.pdf p. 3). In caso di chiusura, con il suicidio annunciato del M5S, di ogni spazio di discussione parlamentare, la richiesta di una consultazione popolare nazionale (l’unica ad avere senso e legittimazione) può diventare una prospettiva da coltivare, seppur nel medio periodo (se non altro perché la realizzazione di un referendum consultivo nazionale richiede una legge ad hoc). La proposta può sembrare azzardata ma lo è meno di quanto appaia se è vero che l’ultimo sondaggio serio al riguardo, condotto da Mannheimer per il Corriere della Sera nel 2012, segnalava che le rivendicazioni del Movimento No TAV erano condivise dal 44% degli italiani e che tuttora, nonostante la criminalizzazione del movimento e la canea mediatica a favore dell’opera, i contrari restano – secondo gli stessi giornali mainstream – uno su tre. Nel referendum per l’acqua pubblica e per il nucleare si partiva da numeri simili…
Considerazioni semplicemente perfette !!
Due osservazioni:
1) la ministra dei trasporti francese Elisabeth Born ha avviato l’8 aprile 2019 gli studi per la tratta nazionale francese della Lyon – Turin, il che indica chiaramente che i francesi stanno affrontando il problema adesso e non dopo il 2038
https://www.banquedesterritoires.fr/lyon-turin-lancement-des-etudes-pour-la-realisation-des-acces-francais
2) i membri italiani nel consiglio di amministrazione di TELT sono stati nominati con la missione di operare in modo coerente con i fini statutari della società, cioè per la costruzione della tratta internazionale della Torino – Lione, in ossequio a quanto stabilito dalle legge 01/2017 e al trattato firmato con la Francia. Fino a che la legge non verrà abrogato e il trattato rinegoziato, chiunque opererà in TELT dovrà continuare operare secondo i fini statutari della società stessa.
Inoltre qualsiasi iniziativa che portasse a ritardi che causassero perdita di finanziamenti europei, determinerebbe un danno all’erario dell’Italia i cui responsabili dovrebbero rispondere di fronte alla Corte dei Conti.
Infine chi in TELT operasse contro i fini di TELT stessa, dovrebbe rispondere del suo operato di fronte alla giustizia francese, visto che TELT è società di diritto francese.
Devo contraddirla.
1) Il lancio giornalistico da lei citato (come vedrà se avrà la pazienza di leggerlo sino in fondo) riguarda un semplice “annuncio”, per di più pieno di cautele, della ministra dei Trasporti francese. Continuo a pensare che più degli “annunci” e delle dichiarazioni di intenzioni valgano gli atti formali come quello del COI (Conseil d’orientation des infrastructures) secondo cui non ci sono le condizioni di traffico e potenziale saturazione della linea tali da indurre il Governo francese a intraprendere i lavori per la tratta di adduzione al tunnel di base dal lato francese, lavori che, nella migliore delle ipotesi potranno essere intrapresi dopo il 2038 («Il semble peu probable qu’avant dix ans il y ait matière à poursuivre les études relatives à ces travaux qui au mieux seront à engager après 2038» (rapporto COI 2018.02.01, p. 78). Aggiungo che – come riconosce lei stesso – la ministra non ha parlato di inizio dei lavori ma di inizio degli studi («études pour la réalisation des accès français au futur tunnel franco-italien du Lyon-Turin») che, come noto, sono uno dei modi per prendere tempo, come ben sappiamo in Italia dove gli studi per la Nuova linea Torino-Lione sono in corso da oltre vent’anni…
2) Il Consiglio di amministrazione di TELT (i cui componenti di nomina italiana – compreso il Direttore generale – sono revocabili dallo Stato italiano «in qualsiasi momento e senza necessità di un giustificato motivo»: artt. 11.1, comma 7, e 13.1, comma 3, dello statuto) ha tra le sue missioni anche quella del «monitoraggio giuridico, economico e finanziario del progetto» (art. 11.3.i) e dunque deve segnalare ai Governi interessati anche gli eventuali elementi dimostrativi della sopravvenuta (od originaria) inopportunità della realizzazione del progetto per ragioni, appunto, giuridiche, economiche o finanziarie (e sarebbe del resto assai strano che così non fosse). Quanto alla responsabilità contabile per i ritardi comportanti perdita di finanziamenti europei sarebbe bene che, anziché ipotizzarla per il futuro, fosse fatta valere per il passato posto che i ritardi sino ad oggi intervenuti (di cui personalmente non mi dolgo) sono comunque stati assai gravi e imputabili esclusivamente agli amministratori (e non certo agli oppositori del progetto).
livio pepino
Dottor Pepino, la ringrazio per la sua replica. Mi permetto ancora due e ultime osservazioni:
1) Circa l’annuncio della ministra Borne, nel testo da me citato può leggere che “le ministère des Transports dans un communiqué … rappelle que la réalisation de ces accès est inscrite dans la programmation des investissements présentée dans le projet de loi d’orientation des mobilités (LOM) en cours d’examen par le Parlement.”
La loi d’orientation des mobilités è stata approvata dai due rami del parlamento francese (all’Assemblée Nationale il 18 giungo), per cui siamo ben oltre un annuncio, ma di un compito ben preciso che una legge in vigore impone al potere esecutivo.
2) il problema della responsabilità per danno erariale era emerso con chiarezza a marzo, quando eventuali ritardi da parte di TELT nel lancio degli appalti sul versante francese avrebbero messo a rischio 300 milioni di euro di finanziamenti europei. Nello scambio di lettere tra il Presidente del Consiglio Conte e TELT (può trovare qui
https://www.nextquotidiano.it/bandi-telt-tav-rinvio/ il testo delle lettere) TELT aveva chiaramente affermato, senza che qualcuno lo smentisse, che “Tale perdita di finanziamento pubblico rischia inoltre di chiamare in causa la nostra responsabilità civile e amministrativa”.
Il “monitoraggio giuridico, economico e finanziario del progetto” da lei richiamato è regolato dall’allegato 2 dell’Accordo del 30 gennaio 2012. Il testo dell’allegato 2 chiarisce che il monitoraggio è finalizzato all’ottimizzazione dei costi e alla riduzione dell’impatto sul bilancio nel contesto della realizzazione dell’opera e non lascia spazio alla possibilità che TELT metta in discussione le realizzazione dell’opera stessa.
Lei ha perfettamente ragione sul fatto che lo Stato Italiano può revocare in qualsiasi momento i suoi rappresentanti nel CDA di TELT, ma la missione di TELT, quale che sia la composizione degli organi societari, è quella di portare a compimento la costruzione della tratta internazionale della Torino – Lione, coerentemente con leggi italiane, francesi e con gli accordi internazionali. Fino a che non sarà ridefinita tale missione, in seguito all’abrogazione o alla ridefinizione di leggi e trattati, TELT dovrà operare coerentemente con essa e se non lo facesse, i suoi responsabili si troverebbero a affrontare le conseguenze legali e amministrativi.
Le rispondo ancora anch’io molto brevemente. Il confronto delle puntualizzazioni è, infatti, sempre utile soprattutto se fatto in modo civile (come raramente accade di questi tempi e come lei ha fatto – gliene do atto ‒ assai più di me…). Premesso questo, resto convinto di quanto ho scritto posto che:
1) le projet de loi d’orientation des mobilités (LOM) à tuttora solo un progetto e non una legge dello Stato francese. È vero che è stato approvato il 18 giugno scorso dall’Assemblée Nationale ma non anche, nello stesso testo, dal Senato sì che il dibattito parlamentare è ripreso proprio in questi giorni anche con l’intervento di un Comitato interparlamentare alla difficile ricerca di un testo condiviso;
2) in ogni caso, nonostante le intenzioni e gli auspici della ministra dei trasporti, il riferimento alla linea ferroviaria Torino-Lione contenuto in quel testo (riguardante l’intero sistema dei trasporti pubblici e privati) è solo – salvo mio errore – quello del punto III del “Rapport annexé” in cui si fa espresso rinvio al documento del COI da me richiamato nel precedente messaggio (cioè proprio il testo che differisce al 2038 l’eventuale realizzazione della tratta francese) con la precisazione che nulla è innovato con riferimento alle opere non finanziate per il periodo 2019-2037, tra cui, appunto, le adduzioni francesi alla tratta internazionale;
3) è vero che non spetta a TELT decidere il futuro del progetto della Nuova linea Torino-Lione (per fortuna, aggiungo, qualunque sia la composizione del suo Consiglio di amministrazione, trattandosi di decisione politica che deve necessariamente competere agli Stati) ma gli spetta certamente – in base alla norma che ho richiamato e ai rapporti che intercorrono tra una “società di scopo” e i decisori politici – il dovere di segnalare correttamente a questi ultimi l’evolversi degli aspetti giuridici, economici e finanziari riguardanti la realizzazione del progetto (cosa che – ovviamente a mio avviso – non hanno fatto in questi anni né il direttore generale né i componenti del consiglio di amministrazione di nomina italiana: e per questo sarebbe stato opportuno sostituirli);
4) che la perdita di finanziamenti europei determinata da ingiustificati ritardi comporti possibili responsabilità civile e amministrativa è assolutamente vero, ma, appunto, deve trattarsi di ritardi (o inadempienze) ingiustificati, come quelli intervenuti in passato, che peraltro hanno lasciato indenni gli attuali amministratori.
Cordialmente.