Quale tutela per i consumatori?

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È mia ferma convinzione che se un consumatore potesse vedere cosa ci sta dietro il prodotto che egli compra, si asterrebbe molte volte dall’acquistarlo. Si potrebbe chiamare “deterrente” dal punto di vista di chi tutela l’ambiente, ma anche, perché no, “corretta informazione” dal punto di vista della tutela del consumatore.

È certamente vero che oramai tramite la rete ciascuno si può correttamente informare, ma è anche vero che ben altro impatto avrebbe ad esempio una fotografia sulla confezione o a fianco del prodotto. Si potrebbero fare ovviamente enne esempi: l’immagine di una stalla in cui le mucche sono costrette a mangiare tutto il giorno; di un allevamento di galline costrette a produrre uova in continuazione con la luce artificiale; di una foresta rasa al suolo per lasciare posto alle piantagioni di olio di palma e via discorrendo. È del tutto ovvio che questo non accadrà mai: il legislatore non imporrebbe mai dei provvedimenti che minacciassero i settori economici della nazione. Il PIL è più importante delle foreste che scompaiono o del benessere animale.

Ma ci son dei casi in cui invece chi ci governa interviene per la tutela del consumatore. Pochi, ma ci sono.
Ad esempio nel campo della pasta. La pasta, si sa, è motivo di orgoglio e tradizione nazionale. Tralasciando il fatto se essa sia nata o non in Italia (quella secca pare risalire agli arabi), resta il fatto che se in Italia si è sviluppata così tanto ed è diventata uno dei simboli della nostra cucina, se non il simbolo per eccellenza, ciò è dovuto al fatto che in Italia c’era molta materia prima, ossia coltivazioni di grano. In teoria, i dati statistici dicono che i pastifici italiani potrebbero produrre solo utilizzando grano duro coltivato in Italia. In pratica, conviene di più comprare il grano all’estero a prezzi più bassi (anche se poi magari mangi gli spaghetti con il glifosato), piuttosto che acquistare il grano italiano. Abbiamo così un Made in Italy che utilizza materia prima estera.

Fatta questa premessa, veniamo al legislatore. Nel febbraio 2018 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali comunicava che «scatta l’obbligo di indicazione dell’origine della materia prima in etichetta per il riso e per la pasta. Sono entrati pienamente in vigore, infatti, i decreti firmati dai Ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda che consentono ai consumatori di conoscere il luogo di coltivazione del grano e del riso in modo chiaro sulle confezioni. Nel solco di quanto fatto per latte e derivati, la sperimentazione è prevista per due anni». Lo stesso comunicato però avvertiva che i decreti consentivano – nel caso che il grano provenisse da diversi Paesi – che la confezione potesse indicare “Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE e NON UE”. Il risultato è che, ad esempio, sulla confezione di pasta del marchio Garofalo (una delle paste attualmente più rinomate) troveremo l’indicazione pienamente legittima “Paesi UE e NON UE”. Cioè: praticamente tutto il mondo (vedi comunicato stampa del ministero politiche agricole).

Possiamo comprendere che, operando in un regime di libero mercato (forse sarebbe meglio dire “di liberismo sfrenato) non si voglia incentivare la produzione di grano nel nostro Paese, ma che si spacci per tutela del consumatore la possibilità di indicare in etichetta che il grano proviene da tutto il mondo, francamente rasenta il ridicolo.

Gli autori

Fabio Balocco

Fabio Balocco, nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (in quiescenza), ma la sua passione è, da sempre, la difesa dell’ambiente, in particolare montano. Ha collaborato, tra l’altro, con “La Rivista della Montagna”, “Alp”, “Meridiani Montagne”, “Montagnard”. Ha scritto con altri autori: "Piste o peste"; "Disastro autostrada"; "Torino. Oltre le apparenze"; "Verde clandestino"; "Loro e noi. Storie di umani e altri animali"; "Il mare privato". Come unico autore: "Regole minime per sopravvivere"; “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino”; "Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni"; "Per gioco. Voci e numeri del gioco d'azzardo". Collabora dal 2011, in qualità di blogger in campo ambientale e sociale, con Il Fatto Quotidiano.

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