Crimini di sistema e Tribunale permanente dei popoli

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1.

Ci auguriamo che il Procuratore presso la Corte Penale Internazionale si attivi a seguito della denuncia presentata da avvocati europei e americani a carico della autorità dell’Unione Europea e di alcuni suoi Stati membri (Italia, Francia e Germania) per crimini contro l’umanità, determinati dalle politiche migratorie. La denuncia si riferisce al periodo gennaio 2014 – luglio 2017, in cui si calcolano (per difetto) 14.500 persone annegate e oltre 40.000 intercettate e riportate nei campi di concentramento libici. Il lavoro di analisi e documentazione è stato compiuto per quel periodo, ma la situazione non è mutata negli anni successivi.

Quei crimini sono gli effetti prodotti da un insieme di cause, tra cui decisive le politiche di esternalizzazione dei confini meridionali dell’Europa, accompagnati dai cospicui finanziamenti al regime di Erdogan per la chiusura della rotta balcanica e alle milizie libiche per il blocco dei migranti africani, realizzato con violenze inaudite e sottratte a ogni controllo, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, che non si stanca di denunciare le atrocità cui sono sottoposti migranti e richiedenti asilo. Tragedie che – secondo le valutazioni rese il 22 marzo scorso dall’Alto commissario dell’UNHCR – costituiscono «una vergogna insanabile per il nostro continente», ricordando come «nel 2018 siano morte nel Mediterraneo sei persone al giorno», con una percentuale cresciuta parallelamente alle restrizioni adottate per le operazioni di soccorso, operate con la criminalizzazione delle ONG ad opera del governo italiano, che ritiene affidabili le autorità libiche che, secondo dichiarazioni del Ministro dell’Interno, «grazie alla presenza dell’OIM, garantiscono il rispetto dei diritti umani degli immigrati». Dichiarazioni gravi, che falsificano la realtà e che ignorano le recenti affermazioni dell’Alto Commissario dell’UNHCR, secondo cui in Libia «una popolazione di rifugiati e migranti vive in condizioni terribili, molti dei quali in centri di detenzione che sono tra i luoghi più spaventosi» da lui visitati.

2.

Questi eventi sono stati presi in esame dal Tribunale Permanente dei Popoli in varie sessioni, svolte tra 2017 e 2018 a Barcellona, Palermo, Parigi e Londra e concluse con sentenze di “condanna” delle autorità europee e nazionali da parte di giurie internazionali di diversa composizione. Gli esiti dei lavori del TPP sono stati presentati il 9 aprile scorso a Bruxelles in una audizione promossa dal gruppo GUE, realizzata in un’affollata aula del Parlamento europeo, con la partecipazione di deputati di diversi partiti, alla presenza di rappresentanti di ONG di vari Paesi e di esponenti delle organizzazioni che avevano richiesto l’apertura di procedimenti sulla violazione dei diritti dei migranti e dei rifugiati.

Il TPP è un tribunale internazionale di opinione che non ha poteri giuridici, ma soltanto l’autorevolezza che deriva dalla sua storia quarantennale, in cui ha dato voce alle vittime delle violazioni di diritti fondamentali. Raccogliendo centinaia di richieste di associazioni europee, il TPP ha raccolto la sofferenza delle vittime e dei parenti dei naufraghi scomparsi nel Mediterraneo, che da crocevia di civiltà è stato trasformato in un immenso cimitero per effetto (oltre che dei trafficanti di esseri umani) delle politiche europee di chiusura e di respingimento; e ha rappresentato la coscienza critica di quanti ritengono che i diritti fondamentali costituiscono beni comuni e valori essenziali che l’Europa non può tradire senza perdere la sua stessa identità.

Per i fatti emersi nell’istruttoria, secondo la sentenza pronunciata dal TPP a Palermo, possono profilarsi responsabilità dell’Unione europea e dello Stato italiano, nonché di specifici esponenti istituzionali che hanno siglato accordi con fazioni libiche che continuano a commettere atroci delitti nei confronti dei migranti nei campi di internamento e nelle fasi di trasporto. Per quanto riguarda le torture in Libia e i respingimenti verso la Libia sono agevolmente individuabili condotte (dello Stato e dei vertici istituzionali) di consapevole cooperazione nei crimini commessi, per i quali Amnesty International (dicembre 2017) motiva le ragioni, secondo il diritto internazionale consuetudinario, di responsabilità dello Stato a titolo di concorso nei crimini commessi dalle forze militari libiche a cui l’Italia presta assistenza finanziaria e strumentale. Per quanto riguarda il crimine di “lasciar morire in mare”, la responsabilità dei vertici di governo consiste in condotte omissive in presenza di un preciso dovere giuridico, aver omesso di attivarsi in modo adeguato davanti a conseguenze tragiche prevedibili ed evitabili.

3.

Le violazioni dei diritti delle persone e dei popoli derivano non soltanto da azioni e omissioni imputabili a specifici soggetti, ma anche, più in generale, dal deperimento della politica a vantaggio dell’economia e del mercato senza regole; dalla crescita abnorme delle disuguaglianze; dall’esclusiva considerazione dei profitti con abbandono e compressione dei diritti umani, civili e sociali delle persone; dalle guerre e dai massacri realizzati nell’inerzia degli organismi internazionali; dalle devastazioni ambientali, di cui subiscono gli effetti soprattutto i popoli più poveri, provocate da uno sviluppo industriale privo di limiti e controlli; dalle atrocità e dalle tragedie, per tornare alla questioni di cui ci stiamo occupando, che si consumano quotidianamente in danno dei migranti costretti a lasciare i loro Paesi per guerra, fame e invivibilità ambientale.

Si tratta di violazioni di diritti fondamentali, che non sempre sono qualificabili in termini di fattispecie penali né sempre imputabili a soggetti determinati, come le necessarie categorie garantistiche del diritto penale richiedono. Sono aggressioni per le quali non è agevole configurare tutti i requisiti garantistici del diritto penale (dal principio della responsabilità personale a quello di determinatezza dei fatti punibili). Esse, per gli effetti devastanti sui diritti fondamentali di un numero indefinito di persone e di intere collettività, costituiscono indubitabilmente crimini, ma non possono rientrare nelle categorie penalistiche tradizionali. E tuttavia, come ha fatto in tante sentenze il TPP, è indispensabile coglierne tutto il disvalore per dare voce alla vittime e per mobilitare l’opinione pubblica sulle cause che li producono.

Anche su questi crimini “non penali” si concentra l’attenzione del TPP, che è appunto un tribunale d’opinione, la cui funzione principale è mobilitare la coscienza civile contro le violazioni sistematiche dei diritti delle persone e dei popoli, facendo assumere consapevolezza del loro carattere criminale.

Nella sentenza palermitana, il TPP ha espressamente affermato di non essere tenuto, come lo sono invece i tribunali penali nazionali e internazionali, a delimitare il proprio ambito di indagine e giudizio solo in relazione al diritto penale nazionale e internazionale, ma può estendere il proprio esame anche alle violazioni sistemiche dei diritti umani che non integrano direttamente o esclusivamente fattispecie penali di diritto positivo. Le stesse normative europee adottate contro l’immigrazione, pur non essendo configurabili come reato penale, ben possono essere indicate come causa del massacro di diritti prodotto dalle chiusure e dai respingimenti degli immigrati.

Proprio sulla base di quella pronuncia, e con il conforto della più avanzata criminologia (W. Morrison) e della dottrina più sensibile al costituzionalismo nazionale e internazionale (L. Ferrajoli), il TPP ha modificato il suo statuto, includendo nella propria competenza, la categoria di “crimini di sistema”, per qualificare gli effetti tragici di politiche e di scelte economiche che sacrificano diritti fondamentali. Le politiche globali di lotta all’immigrazione e di esternalizzazione delle frontiere, con l’obiettivo di mantenere i migranti il più possibile lontano dalle frontiere europee, sono state ritenute integrare crimini di sistema, che hanno provocato, direttamente e indirettamente, innumerevoli morti di migranti che tentavano di entrare per vie irregolari nell’Unione europea, al fine di sfuggire alla repressione, alla guerra o alla miseria, ovvero per tentare di esercitare il loro diritto a una vita degna.

Gli autori

Franco Ippolito

Franco Ippolito, già magistrato e presidente di sezione della Corte di cassazione, è attualmente presidente della Fondazione Basso.

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