Come ti intimidisco i giudici

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Quando un ministro prende di mira un giudice per una sentenza considerata avversa, è necessario alzare le antenne per ovvie ragioni di etica e di sostanza costituzionale: sono in ballo l’indipendenza della magistratura, l’equilibrio fra poteri dello Stato, la qualità dei rapporti interni alle istituzioni. Se poi l’attacco è personale, reiterato e decisamente sopra le righe, diventa necessario reagire e non accantonare l’episodio come uno dei tanti eccessi della strabordante (e squalificata) comunicazione politica di questi tempi.

La giudice finita nel mirino del Ministro dell’interno è Luciana Breggia, dall’agosto 2017 (tenere a mente la data) presidente della neonata Sezione specializzata per l’immigrazione e la protezione internazionale al Tribunale di Firenze. Il casus belli è del 28 maggio scorso, quando il Tribunale di Firenze, in composizione collegiale (tenere a mente il dettaglio), rigetta il reclamo del Ministero dell’interno contro la decisione di un giudice che aveva autorizzato un cittadino somalo, richiedente asilo, a presentare domanda di iscrizione all’anagrafe del Comune di Scandicci. Per il ministero l’iscrizione anagrafica andava negata, a norma della recente legge Salvini sulla sicurezza. Secondo i  tre giudici del tribunale (Luciana Breggia, Luca Minniti, Federica Samà) il ministero non aveva titolo a presentare reclamo, non avendo partecipato al giudizio di primo grado. Dunque, una decisione sostanzialmente tecnico-procedurale.

Tanto è bastato a scatenare il Ministro dell’interno, due giorni dopo: «La democrazia è bellissima ‒ scrive Matteo Salvini il 30 maggio ‒. Invito questo giudice a candidarsi alle prossime elezioni per cambiare le leggi che non condivide. Ma mi aspetto che un magistrato applichi le norme, anziché interpretarle». “Questo giudice” è uno dei tre del collegio, appunto Luciana Breggia, messa all’indice con quattro ‒ diciamo così ‒ capi di imputazione: «È stata relatrice ‒ scrive il ministro ‒ di una sentenza contro il Ministero dell’interno, parla di “deumanizzazione delle migrazioni”, va a dibattiti con le ONG e presenta libri schierati contro respingimenti e porti chiusi».

Ce ne sarebbe abbastanza, sia per l’affermazione sui giudici che devono applicare e non interpretare le leggi, quando l’interpretazione delle norme è proprio l’attività specifica della funzione giudicante, sia per il carattere personale e vagamente intimidatorio dell’affondo contro Luciana Breggia. Ce ne sarebbe abbastanza, ma c’è un secondo tempo, quando si scopre che un cittadino pakistano, arrestato a Viterbo con l’accusa di violenza sessuale su due minorenni, aveva ottenuto la protezione umanitaria grazie a una sentenza del Tribunale di Firenze dell’aprile 2017. La Sezione specializzata non era ancora nata e la dottoressa Breggia a quel tempo si occupava di tutt’altro (diritti reali e locazioni), ma al Ministero dell’interno non vanno per il sottile e chiamano nuovamente in causa la giudice, con nuovi dettagli ‒ giudicati evidentemente riprovevoli ‒ sulle sue attività. Stavolta il ministero specifica (un’altra volta) che «la dottoressa Breggia ha partecipato a dibattiti con le ONG, ha presentato un libro contro i respingimenti e i porti chiusi» e aggiunge un nuovo capo d’accusa: «In un dibattito sul tema “Migranti alla frontiera dei diritti. Una questione storica, giuridica e culturale” ha sostenuto che nessuno è clandestino sulla Terra».

Ciascuno giudichi la forma e la sostanza di quest’attacco personale, dal quale possiamo intanto trarre alcune provvisorie considerazioni. Primo: il Ministero dell’interno ha abbattuto le barriere della grammatica istituzionale, puntando il dito contro un singolo giudice, come mai si dovrebbe fare secondo l’etica costituzionale. Secondo: lo stesso ministero passa con disinvoltura da uno strafalcione all’altro (la sentenza collegiale e non monocratica; la natura tecnico-formale della sentenza sfavorevole al ministero; il mancato coinvolgimento della giudice reproba in una delle decisione improvvidamente contestate), minando la credibilità dell’istituzione. Terzo: si sta cercando di fare terreno bruciato attorno a chi anima il dibattito su materie sensibili come i diritti della persona, le leggi sull’immigrazione e la sicurezza, indicando come posizioni faziose e attività inopportune la partecipazione a dibattiti, convegni e presentazioni che non siano allineati con le convinzioni dell’attuale Ministro dell’interno. Quarto: un’affermazione ovvia, di sapore evangelico, come «nessuno è clandestino sulla Terra» (in quanto essere umano), diventa “prova” contro la credibilità di una donna delle istituzioni, che ha giurato su una Costituzione che afferma la dignità dell’essere umano. È un goffo quanto preoccupante tentativo di capovolgere il mondo.

Luciana Breggia ha ricevuto in questi giorni la solidarietà e l’apprezzamento di associazioni, professionisti e singoli cittadini: è molto importante, in momenti come questi, far sentire la propria voce e respingere alla radice la logica di sopraffazione e intimidazione che ha ispirato il Ministero dell’interno, raramente ‒ in passato ‒ scaduto (più che caduto) così in basso.

Gli autori

Lorenzo Guadagnucci

Lorenzo Guadagnucci, giornalista e blogger, lavora al “Quotidiano nazionale” (Resto del Carlino - La Nazione - Il Giorno). Durante il G8 di Genova del luglio 2001 fu tra i giovani percossi e arrestati nella suola Diaz. Fondatore e animatore del Comitato verità e giustizia per Genova ha scritto, con Vittorio Agnoletto, “L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 di Genova” (2011).

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