Almeno a me c’è voluto qualche giorno per avere il coraggio di prendere in mano i numeri delle Europee, e guardarli con un po’ freddezza. Perché non c’è dubbio: i primi sentimenti di domenica sera sono stati angoscia, rigetto, paura. Il ministro della paura, e il suo consenso fondato sulla paura, fanno paura, sì. E quella sacrosanta paura (la paura di perdere la democrazia, diciamolo chiaro) deve diventare il motore di un riscatto.
Esattamente come nel 2014, il dato più rilevante che emerge dalle urne è anche il meno compreso: l’astensione. Come allora per l’effimero ‘trionfo’ di Renzi, oggi per quello di Salvini e per la presunta resurrezione del Pd, tutte le cifre vanno esattamente dimezzate. E anzi: se nel 2014 l’astensione fu pari al 41,3 % (circa 20,3 milioni di elettori), e fu il record negativo di sempre in Italia, oggi siamo arrivati al picco del 43.7 % (non hanno, cioè, votato, 21 milioni e mezzo di cittadini), con punte oltre il 60% in Sicilia e in Sardegna. Sul 100% reale degli aventi diritti al voto, la Lega ha dunque il 19% dei consensi (Renzi nel 2014 ne aveva il 23,3%), il Pd il 12, il Movimento 5 Stelle il 9: questi i numeri che si dovrebbero citare quando si parla del consenso presso «gli italiani». E mai il primo partito d’Italia aveva avuto così ‘pochi’ voti.
Ed è, forse, qui la chiave per interpretare il risultato. Non certo per ridimensionare lo choc del successo di una Lega razzista e venata di esplicito neofascismo, cui si devono sommare i voti ai Fratelli, per ora separati, d’Italia: in un blocco complessivo di 10.901.397, che include cioè un italiano su 4,7. Una mostruosità, comunque la si giri.
Al contrario, per fermare la destra parlando alla stragrande maggioranza che non la vota: anzi, che non vota proprio. Provando a riavvicinare l’Italia all’Europa, dove nel complesso non hanno affatto vinto le destre (nonostante l’impresentabilità dell’establishment e delle politiche europeistiche popolari e socialiste), ma semmai i Verdi (con 70 seggi contro 58 all’Europarlamento). La domanda cruciale è: esiste una forza in grado di contrastare questa destra con una visione davvero alternativa, e con la capacità di costruire consenso, riportando al voto almeno un 10% di coloro che si sono astenuti domenica scorsa?
La risposta è: no, attualmente non c’è.
Ed è questa assenza, non le dimensioni dell’attuale consenso (potenzialmente volatile), la vera assicurazione sulla vita di Salvini. Questo è il cuore del problema: non Salvini, ma il vuoto intorno. E soprattutto il vuoto a sinistra. Un vuoto culturale, prima che organizzativo e politico.
Né il Movimento 5 Stelle né il Partito Democratico sono stati in grado di proporre una visione dell’Europa, dell’Italia o di alcunché che riuscisse a tener testa alla distopia nera di Salvini. Perché la visione di futuro che ha quest’ultimo è certo mostruosa, ma c’è: mentre dall’altra parte non si trova nulla, se non la consacrazione dell’orrendo stato delle cose (Pd), o un confuso balbettìo su tutto e il suo contrario (5 Stelle).
Diciamolo apertamente: un diciottenne marginalizzato fin da prima di nascere che decida malgrado tutto di votare, e che cerca giustamente qualcuno “contro”, chi riesce a trovare se non la Lega? Una cosa orrenda: ma una cosa. Una cosa, di fronte al nulla altrui. E temo che sia questo il senso del voto: non la grandezza di Salvini, ma la assoluta inesistenza degli altri, sul piano della visione di futuro e società. Manca una forza che dica: vogliamo rovesciare il mondo dalle fondamenta, e lo vogliamo fare in nome di libertà, eguaglianza, fraternità. Manca chi parli di giustizia.
E dunque, sì, la strategia renziana del pop corn ha funzionato, ma nel modo peggiore: forse in modo imprevisto (o, peggio, in quello voluto: chissà). La scelta del Pd di mandare al governo i grillini e i leghisti ha ucciso i primi (è vero), ma ha premiato Salvini, non il Pd. Un vero capolavoro. Di tutte le panzane postelettorali quella più incomprensibile riguarda proprio la presunta “resurrezione” dei Democratici: che perdono non solo oltre 5 milioni di voti rispetto alle Europee del 2014, ma addirittura altri 116.000 rispetto al tragico 4 marzo 2018. Non c’è stato, dunque, nemmeno il “rimbalzo del gatto morto”: la metafora giusta è semmai che, arrivati al fondo, si è cominciato a scavare. Il che significa che la “calendizzazione” del simbolo e della identità del partito di Zingaretti rappresenta l’ennesimo suicidio annunciato.
I 5 Stelle hanno pagato in un epocale bagno di sangue (oltre sei milioni di voti in quattordici mesi) la loro spaventosa sudditanza alla destra: da argine si sono fatti fiume, e di fronte ai servi sciocchi di Salvini, gli elettori di destra del Movimento hanno preferito votare direttamente il padrone. E il grottesco miniplebiscito su Rousseau che dovrebbe aver rimesso in sella Di Maio denuncia una definitiva perdita di lucidità che rischia di essere fatale non al capo politico (già, nei fatti, finito), ma al Movimento.
Della cosiddetta Sinistra, già morta il 4 marzo 2018, non mette conto parlare: ha preso meno voti delle schede nulle, e se questo ceto politico di sabotatori non si decide a trovarsi un lavoro fuori dalla politica, rimane solo da spargere il sale sulle macerie. Per essere chiari: nessuna delle sigle attuali (Sinistra Italiana, Potere al Popolo, Rifondazione, Possibile e tutte le altre) hanno la benché minima possibilità di futuro. E, anzi, rappresentano, loro malgrado, altrettanti ostacoli alla costruzione di qualcosa.
Dunque, mentre sul breve periodo l’unico modo per evitare danni irreparabili (cioè un Salvini solo al comando con numeri da elezione del successore del pallido Mattarella e perfino da riforma costituzionale autoritaria) è il dialogo tra 5 Stelle e PD, credo si avvicini il momento in cui dovrà nascere a sinistra un partito radicalmente nuovo, capace non di parlare agli attuali votanti, ma di riportare alle urne un popolo che pensa e fa “politica” di sinistra ogni giorno, ma non vota più.
Nessuno, oggi, ha ricette o scorciatoie. Non esiste nemmeno ancora un sistema coerente di pensieri che vada in questa direzione. Eppure inizia ad esser chiaro che dovrà succedere, prima o poi. C’è bisogno di un partito capace di infilare una lama nella contraddizione della Lega, che prende i voti dei poveri, ma sostiene per intero il dogma liberista che li terrà poveri per sempre. Un partito che riattivi un conflitto sociale ricchi-poveri, togliendo terreno a quello tra poveri bianchi e poverissimi neri costruito da Salvini. Un partito che lotti per poche cose: ambiente, patrimoniale, diritto alla salute, al lavoro vero e all’istruzione. Un partito che (per ora) non c’è.
“…credo si avvicini il momento in cui dovrà nascere a sinistra un partito radicalmente nuovo, capace non di parlare agli attuali votanti, ma di riportare alle urne un popolo che pensa e fa “politica” di sinistra ogni giorno, ma non vota più…Un partito che lotti per poche cose: ambiente, patrimoniale, diritto alla salute, al lavoro vero e all’istruzione. Un partito che (per ora) non c’è.”
Questa la chiusa dell’ennesimo articolo di Tomaso Montanari sulla sinistra, questa volta a commento delle elezioni. Non è una novità che Montanari sogni un partito nuovo di sinistra. Lui stesso si fece artefice qualche tempo fa della nascita di un nuovo soggetto, poi abbandonato.
Montanari sogna, mi sento di dire, in ogni senso. Innanzitutto, potremmo partire dal termine “sinistra” e porci la domanda se sia mai esistita una politica di sinistra in Italia, sotto qualsivoglia simbolo. Ma cosa dovrebbe essere la sinistra, innanzitutto. Sicuramente una formazione politica che abbia come unico scopo il bene di tutti. Montanari non lo dice, forse lo pensa, ma se non lo pensa, lo dovrebbe pensare: sinistra dovrebbe significare superamento del modello capitalista. Non esiste un capitalismo buono come non esiste uno sviluppo sostenibile. Ed un soggetto fuori dalla logica capitalista non è mai esistito, e certamente non lo è stato il partito comunista, legato all’operaismo industriale e a tutto ciò che ne conseguiva.
Non voglio qui entrare nel campo sdrucciolevole di quando sia nato il capitalismo e se non sia forse vero che esso iniziò all’alba dell’uomo con la nascita della proprietà privata. Ammettiamo comunque che si possa superare tale modello. Certo, non lo si supererebbe per garantire a tutta la popolazione del mondo (in questi termini occorre ragionare, non dentro i confini dello stivale) uno stile di vita che sia compatibile con tutti gli esseri che vivono sulla Terra: si tratterebbe di far pace con la natura. di superare il paradigma della crescita. Solo così si potrebbe pensare di garantire una forma di vita all’umanità che duri anche in futuro. L’esatto contrario del capitalismo che vive per il qui e ora. Come ho sempre detto: ad un industriale frega poco che l’inquinamento che lui produce arrechi la morte per cancro ai suoi figli. E’ altresì l’arcinoto discorso dell’impronta umana sulla Terra. Chiaro che per raggiungere questo obiettivo, occorrerebbe sinergicamente una politica volta a limitare drasticamente le nascite (altro che bonus bebé!), e volta a contenere altresì drasticamente i consumi. Occorrerebbe, favorire un’economia quanto più possibile localistica e non globalizzata e di realizzazione di beni duraturi e non legati al petrolio: “vivere di interessi senza intaccare il capitale”. Non mi vergogno a dire che questo modello corrisponderebbe con il progetto di Serge Laouche, di una società della decrescita, ma penso davvero che questa sia l’unica soluzione credibile (non dico praticabile) e realmente di sinistra per garantire la sopravvivenza non solo dell’uomo ma della vita.
Ma se questo è vero e vero è (mi si perdoni la presunzione), allora domandiamoci se sia praticabile tutto ciò in un regime democratico. Montanari parla di un nuovo partito politico che abbia a cuore ambiente, salute, istruzione, eliminazione della povertà. Dato che tale soggetto non potrebbe che avere come scopo la decrescita, proviamo ad immaginare chi lo voterebbe. Proviamo ad immaginare anche solo un soggetto che vieti la produzione di armi, che chiuda tutte le produzioni insalubri per l’ambiente e per chi ci lavora, che imponga un limite alle nascite, che blocchi il consumo di suolo, che si tolga fuori dal processo di globalizzazione, che favorisca il ritorno alla terra, che abbatta tutte le costruzioni abusive. Dico un po’ di cose così, a caso, come mi vengono. Chi lo voterebbe? La risposta è in re ipsa.
Conclusione: Montanari effettivamente sogna, forse, inconsapevolmente, ancor di più che ad occhi aperti.
Caro Fabio,
non so se è un sogno, certo è l’aspirazione di «chi vuole la luna»! Credo, siamo in tanti ormai, che il capitalismo in questa forma sia sostanzialmente incompatibile con i diritti umani, con la sopravvivenza stessa dell’umanità. Occorre un evento catastrofico globale per capirlo davvero? O magari per liberare la Terra dall’umanità? Nessuno, oggi, lo sa: ma io credo che camminare verso l’abisso o invertire la rotta non siano la stessa cosa. Vorrei provarci. Vorrei la luna?
Un caro saluto,
Tomaso
Buongiorno, ho appena letto l’articolo di Tomaso Montanari sui risultati delle elezioni. Analisi fredda e spietata. Condivisibile pienamente, così come, quando ho avuto l’occasione di ascoltarlo a Firenze – o leggerlo su giornali o riviste – esprime quelle idee e considerazioni che rispecchiano anche il mio pensiero.
Ma c’è un “ma”. Tomaso Montanari è troppo pessimista.
“…ma come si fa ad essere ottimisti in queste condizioni ?…” – potrebbe essere la sua risposta.
Bene: anche il Manifesto ha disegnato una vignetta che vedo riprodotta sul sito ” Non avere paura, c’è ancora la Luna”.
Io andrei ancora più avanti. Secondo me si vede già sorgere il Sole. Anche se qui da noi, in Italia intendo, arriviamo sempre dopo. Avete sicuramente visto i risultati dei giovani che hanno votato in Germania, Francia, Portogallo, Spagna. Finlandia. E i movimenti giovanili e non solo che stanno “devastando” la scena politica negli Stati Uniti e che, ovviamente, non trovano spazio sui nostri grandi giornali.
Ma soprattutto ieri pomeriggio sono stato al cinema Odeon, a Firenze, ad ascoltare gli interventi in un convegno organizzato da Libertà Giustizia “Non passeranno”.
Mi sono perso – mea culpa – gli oratori della mattina. Ho sentito quelli del pomeriggio.
Oddio niente di trascendentale, alcuni tiepidi altri meno: MA…
Esatto, MA. Ho ascoltato stupefatto e rapito, in senso positivo ovviamente, un intervento che se fosse stato pronunciato non da quella persona, ma da un altro cittadino, avrei detto che la Sinistra aveva trovato il suo “condottiero”.
Marco Tarquinio.
Esatto. Il direttore del quotidiano Avvenire. Il giornale della CEI. Conferenza Episcopale Italiana…
Io sono cattolico come qualsiasi italiano che è stato battezzato. Niente più. forse.
Ma ho una teoria. Ed è questa che mi fa essere ottimista, politicamente.
Se una “organizzazione” ( scusate il frequente uso delle ” “) che ha duemila anni di esperienza ed è realmente radicata in ogni parte del mondo e in Italia come nessuna altra, si esprime, anche attraverso uno dei suoi maggiori, autorevoli nonché capillarmente distribuiti mezzi di comunicazione -L’Avvenire : affrontando temi sociali politici e fiscali nei termini che possiamo leggere quotidianamente ed anche criticando senza mezzi termini il capo di un partito e che è anche il ministro dell’Interno del Governo in carica, bene: sono ottimista.
Certo non vedo nell’orizzonte italiano nè un gruppo politico, nè un personaggio – Maurizio Landini dov’è? – per adesso capace di soddisfare il cinquanta percento degli elettori che si sono astenuti. Ma sono sicuro che da qualche parte c’é.
Per farlo venir fuori occorre non stancarsi di impegnarsi, lavorare, scrivere e dibattere.
E soprattutto: coraggio. Questo ci vuole nell’attuare politiche sociali per tutti.
Un saluto, Gabriele Brogelli
Approfitto di questo scritto di Tomaso Montanari, che stimo, sognatore quanto è giusto essere, visto che “sognatori” lo siamo tutti, anche e soprattutto chi si professa “realista”.
Dov’è la sinistra e come dovrebbe essere la sinistra? La matassa è ingarbugliata: io partirei dai referendum del 2011. Fu un risultato straordinario: contro le solite tattiche dell’astensionismo, 26 milioni circa di italiani votarono a favore dell’acqua pubblica e della rinuncia all’energia elettrica nucleare. Ancora più sorprendente fu il fatto che nessuna forza politica fu capace di convogliare quel gigantesco consenso politico, così a portata di mano: dove andò a finire il “realismo” della nostra classe politica? Non erano temi di sinistra? Non erano graditi alla destra? Bersani, subito dopo gli esiti, disse che loro non avrebbero obbligato i comuni a privatizzare l’acqua: mi si gelò il sangue nelle vene. Era questo che volevano gli elettori, che “non si obbligassero i comuni a privatizzare”?! Se trovassimo una risposta sensata alla mancata rappresentanza politica di quell’elettorato, secondo me potremmo cominciare a capire cosa non va nell’aderenza tra politica e popolo in Italia.
L’ economia è fondamentale, si sa. Certe cose sono però più fondamentali di altre: chi è a stabilirlo? Una mela viene acquistata dal primo grossista a 40 centesimi/kg, per approdare sui banchi del mercato rionale o della GDO, venduta al consumo per circa 2 euro/kg. Milioni di salariati (e non solo!) acquistano beni di sussistenza rincarati del 400% rispetto alla produzione, ed è sulla base di quei prezzi che i loro sindacati contratteranno il costo del lavoro. Tra i più bassi dell’Europa occidentale eppure, a detta degli analisti, non competitivo con quelli dell’Est. Da quando ho cominciato a seguire i fatti del mondo (e sono più di 50 anni) mai, ripeto: mai, mi è capitato di trovare tra i programmi di un partito l’obiettivo di razionalizzare la rete distributiva alimentare. Magari mi sarà sfuggito, però ne ho letti parecchi.. Di nuovo: non è un argomento di sinistra? Nemmeno di destra? Mi si obietterà che nessun elettorato ha manifestato un tale desiderio. E questo dovrebbe bastare per rassegnarsi ad una assurdità? Lo spread è veramente così importante per quei salariati (e non solo!), più importante del costo della loro vita?!
L’ elenco potrebbe continuare. Per esempio con l’altro assurdo della mancata riduzione dell’orario di lavoro necessario, e conseguente redistribuzione dello stesso, pur in presenza di un continuo sviluppo tecnologico labour-saving. Qui in realtà qualcosa è stato detto, e non solo dai “sabotatori” di sinistra: ma siamo molto lontani da una consapevole presa in carico politica.
Mi preme qui sottolineare come non sembri più questione di etichette, destra-sinistra, ma di incapacità (chiamiamola così) di individuare i problemi concreti, grandi come montagne ma nascosti da una cortina fumogena di chiacchiere divaganti. Da dove viene questa incapacità?
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