Votare, non votare, per chi votare?

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Il voto incombe, drammaticamente. E, dunque, “Volere la luna” ha aperto un confronto al proprio interno e con chi sta condividendo la sua esperienza. Non per dare indicazioni di voto, estranee ai suoi obiettivi, ma per provare, quantomeno, a chiarirsi le idee.

L’incontro si è svolto lunedì scorso a Torino. Eravamo in 60 e ci siamo confrontati attraverso 20 interventi, introdotti da una breve relazione di Marco Revelli. Non ci sono state conclusioni, impossibili e non necessarie, ma qualche punto fermo per sciogliere dubbi e incertezze è stato raggiunto, a dimostrazione dell’utilità di un metodo che si è deciso di proseguire.

Una cosa, anzitutto, è emersa con chiarezza ed è stata condivisa da tutti, seppur con diffusa amarezza: il voto di domenica non sarà un voto per qualcuno ma solo (anche se non è poco!) contro qualcosa. Contro l’onda nera che avanza e che ha in Matteo Salvini la sua espressione più becera e rumorosa. Non sarà un voto per un fronte antifascista largo (che non c’è e forse non sarebbe neppure stato auspicabile senza una congrua preparazione) e neppure per una delle forze politiche a cui molti di noi hanno fatto riferimento in passato. Per la semplice ragione che nessuna di quelle forze è – come ha detto Marco Revelli – minimamente presentabile: non il PD, mille miglia lontano da una prospettiva di cambiamento della società non solo nei suoi quadri dirigenti ma anche nella sua base (salvo una vecchia guardia in via di esaurimento per ragioni anagrafiche…); non La Sinistra, che ripropone per l’ennesima volta senza neppur un’apparenza di rinnovamento (nel metodo e nei contenuti) un’ammucchiata anacronistica che nell’ultimo decennio e più ha accumulato solo fallimenti; non il M5Stelle, che in meno di un anno di governo (e di complicità con il razzismo e l’autoritarismo leghista) ha dissolto il piccolo patrimonio di credibilità conquistato negli anni precedenti. Anche chi ha detto di avere ormai fatto la sua scelta, superando dubbi e incertezze (ed è stata una netta minoranza), ha convenuto con questa analisi.

Questa convergenza sulle caratteristiche del voto di domenica prossima ha prodotto tre passaggi successivi.

Primo. Si è fortemente ridotta, almeno tra di noi, l’opzione della fuga dal voto (attraverso l’astensione o l’annullamento della scheda), sostenuta da non più di due o tre degli intervenuti. Nessuno ha demonizzato tale scelta ma la percezione che i barbari sono ormai non solo alle porte ma ben installati in casa ha spinto i più a ritenere necessaria una reazione anche attraverso il voto (pur ritenuto solo una delle azioni di contrasto necessarie). A ulteriore sostegno di questa opzione c’è chi ha ricordato come il non voto finisce, di fatto, per dare ulteriore forza all’establishment (di destra o di centro sinistra) che, da sempre, preferisce avere pochi elettori controllabili anziché molti elettori incontrollabili che, con le loro oscillazioni, possono turbare il quadro politico.

Secondo. Un’altra conseguenza della specificità di questo voto, teso esclusivamente a contrastare l’onda nera, è stato il ridimensionamento (o la ridefinizione) del concetto di “voto utile” (quello, per intenderci, dato, tappandosi il naso, alla forza di opposizione “numericamente più forte”). Diversi hanno sottolineato che in questo caso, anche per effetto del sistema elettorale proporzionale e delle caratteristiche delle istituzioni europee, non si tratta di scegliere uno schieramento a cui affidare il governo ma di manifestare una tendenza, così rafforzando o indebolendo, nell’immaginario collettivo e nella percezione delle forze politiche, il peso della destra e della sua apparente egemonia. Di qui l’ulteriore passaggio che, sul piano pratico, tutti i voti che si oppongono alla destra sono “voti utili” indipendentemente dalla consistenza del partito prescelto.

Terzo. Da ciò – dalla impresentabilità di tutte le forze politiche in campo (pur tra loro diverse) – è uscita confermata la ragion d’essere di “Volere la luna”. Questa politica non è curabile e va ricostruita su basi diverse: i buoni programmi, pur non così diffusi, non mancano in quella che un tempo si chiamava sinistra; ciò che manca è la coerenza, nella prassi, con quei progetti. E non si tratta di andare in luoghi abbandonati negli anni alla ricerca di consensi e di deleghe ma di vivere quei luoghi calandosi nelle loro contraddizioni.

Di qui in poi le opzioni sul modo in cui esprimere il proprio voto contro, si sono diversificate e, in un report, non si può far altro che registrarle. In favore del M5Stelle c’è stata una sola indicazione esplicita mentre gli altri intervenuti hanno manifestato, in ordine quantitativamente decrescente, il permanere del dubbio (per taluni destinato a protrarsi sino all’interno della cabina elettorale), la scelta in favore de La Sinistra e il voto al PD.

A questo punto il report si ferma, con una postilla. I piemontesi sono chiamati a votare anche per il Consiglio regionale, alla cui presidenza concorrono l’uscente Sergio Chiamparino, il candidato delle destre unite e quello del M5Stelle (oltre a una candidatura minore), mentre manca una lista corrispondente a La Sinistra (e il gruppo di Sinistra italiana si presenta con una lista a sostegno di Chiamparino). Tutti hanno sottolineato l’autonomia delle due competizioni e l’assenza di automatismi tra voto regionale e voto europeo, data la forte valenza amministrativa del primo. Ciò posto, il confronto è stato ancora più serrato e le divergenze più nette: tra chi ha sottolineato il rischio che la (probabile) vittoria della destra crei una macroregione del Nord a trazione leghista (comprensiva di Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto e Friuli) a chi ha messo in campo l’impossibilità di votare un pasdaran del TAV come Chiamparino (e i suoi alleati, estesi sino alle madamine organizzatrici della manifestazione torinese del 10 novembre) posto che il TAV è il simbolo dello sviluppo distorto che ha portato il Piemonte e l’Italia alla crisi in atto e che, per sostenerlo, si è verificata in regione una convergenza totale tra il PD e la destra, anche quella più estrema, con la richiesta di una repressione dura e ottusa di ogni forma di dissenso (plasticamente dimostrata dalla gestione del corteo torinese dell’ultimo primo maggio). Inevitabilmente maggiori rispetto alla consultazione europea sono state le indicazioni per l’astensione e per il voto al M5Stelle, a cui si sono aggiunte anche opzioni per il voto disgiunto (Chiamparino per la presidenza e M5Stelle per il Consiglio, per esprimere, insieme, il contrasto alla destra e l’opposizione al TAV).

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