Non esce bene, l’Italia, dal quadro delineato dall’ultimo Rapporto dell’associazione Antigone sulle carceri italiane. Non esce bene innanzitutto sul piano della consequenzialità e della coerenza tra la realtà e la reazione istituzionale a essa. Se in tutta Europa diminuiscono infatti i reati e, conseguentemente, diminuisce il numero complessivo dei detenuti, in Italia i reati sono in calo ma la popolazione detenuta continua a crescere. Se negli ultimi due anni il tasso di detenzione europeo è calato del 2,2%, in Italia abbiamo invece assistito a una crescita di ben 7,5 punti percentuali nel medesimo arco di tempo. Una schizofrenia che ben dà conto delle menzogne sulle quali si è fondata e continua a fondarsi la ricerca del consenso in particolare da parte di alcune forze governative.
«Il carcere secondo la Costituzione»: è questo il titolo che abbiamo voluto dare al nostro XV Rapporto, a ricordare il dettato dei padri costituenti che le carceri fasciste le avevano vissute e che certo non avrebbero immaginato che si potesse guardare a una pena vendicativa e senza speranza come quella che oggi viene invocata dai nostri governanti.
Dall’inizio del 2016 – momento in cui è cessato l’effetto delle riforme, pur quasi interamente strutturali, messe in campo per far fronte alla condanna del gennaio 2013 da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo – il numero dei detenuti è andato sempre ad aumentare. Oggi conta 8000 unità in più rispetto a tre anni e mezzo fa. Di questo passo torneremo presto a quel livello di affollamento che ha dato luogo alla sentenza Torreggiani.
Il tasso ufficiale di affollamento è oggi quasi del 120%. Sappiamo dalla nostra osservazione diretta che nella realtà la percentuale è maggiore. Ci è capitato varie volte, nelle 85 visite a carceri che abbiamo effettuato nel corso del 2018 con il nostro Osservatorio sulle condizioni di detenzione, di trovare posti letto inagibili che tuttavia continuano a essere conteggiati nei dati ufficiali. Paradigmatico è il caso del carcere di Camerino, chiuso dai tempi del terremoto del 2016 eppure ancora contato dal Ministero della giustizia tra i posti disponibili. In 42 carceri troviamo un tasso di affollamento superiore al 150%. Ancor più indicativo è forse il dato sui numeri assoluti: sono ancora 42 gli istituti nei quali lo scarto tra posti letto disponibili e detenuti presenti supera le 100 unità. In 17 di essi si superano anche le 200 unità, talvolta nettamente (le carceri napoletane la dicono lunga: a Secondigliano sono 418 i detenuti in più mentre a Poggioreale addirittura 731). Centinaia di detenuti da distribuire, stipare, infilare in spazi non pensati per loro.
La nostra osservazione ci dice che nel 18,8% degli istituti visitati vi sono celle dove lo spazio a disposizione di ciascun detenuto è inferiore ai 3 metri quadri, soglia sotto la quale secondo la Corte di Strasburgo è estremo il rischio di trattamento inumano o degradante. Nel 7,1% dei casi vi sono celle dove il riscaldamento non è funzionante mentre nel 35,3% vi sono celle nelle quali manca l’acqua calda. Capita che le due cose interessino lo stesso istituto. Nel 54,1% dei casi vi sono celle senza doccia, pur prevista dalla legge, nel 27,1% non esiste un’area verde per i colloqui e nel 20% dei casi non vi sono spazi per le lavorazioni.
Il lavoro continua infatti a essere un nodo dolente del sistema. Se i dati ufficiali ci parlano di circa il 30% di detenuti impiegati, andando ad analizzare la situazione si scopre che, di questa percentuale, la maggioranza lavora per poche ore settimanali, con mansioni ben poco qualificate alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e con paghe basse. Non va meglio la formazione professionale, che coinvolge circa il 3% della popolazione detenuta. Stanno invece prendendo piede i lavori di pubblica utilità introdotti dalla recente riforma dell’ordinamento penitenziario, che vorrebbero vedere la persona detenuta lavorare senza compenso in maniera volontaria. Non è tuttavia facile assicurarsi della volontarietà di una prestazione che, per esplicita codifica normativa, viene elencata tra gli elementi di quel trattamento rieducativo partecipando al quale il detenuto può sperare di accedere a benefici di legge. La cultura del lavoro, inteso quale diritto e non quale mero elemento del percorso carcerario, dovrebbe essere ben più affermata tanto nella norma quanto nella prassi penitenziaria.
Ancora secondo la nostra diretta rilevazione, il 28,7% del totale delle persone detenute assume una terapia farmacologica dovuta a problemi psichiatrici. Dal 2015 a oggi sono in costante aumento i suicidi, i tentati suicidi e gli atti di autolesionismo. Segno di un aumentato malessere penitenziario che il sistema fatica a intercettare. Non giova a ciò la scarsità di personale non di polizia. Se infatti il rapporto medio tra detenuti e poliziotti penitenziari continua a essere bassissimo (abbiamo circa un agente ogni due detenuti), il rapporto medio tra detenuti e operatori, secondo la nostra diretta rilevazione, è assai elevato, contando un educatore ogni 78 detenuti, con grandi differenze tra istituto e istituto. Non va meglio con i mediatori culturali, che la riforma dell’Ordinamento penitenziario ha inserito tra gli esperti di cui l’amministrazione può avvalersi per le attività di osservazione e trattamento e che sono uno ogni 122 detenuti stranieri.
Negli ultimi anni si riscontra un aumento nelle sanzioni disciplinari comminate, che si fa vertiginoso nel caso degli isolamenti. Una spiegazione, insieme all’aumento dell’entità delle pene, della crescita della popolazione detenuta pur in presenza di una diminuzione degli ingressi in carcere. Per ciascuna di tali sanzioni, infatti, ci sarà la cancellazione del beneficio della liberazione anticipata per buona condotta.
Tanti segnali, qui appena accennati ma raccolti con sistematicità nel Rapporto di Antigone appena pubblicato, che messi tutti assieme restituiscono il quadro di un sistema penale irragionevole nella sua portata repressiva e di un sistema penitenziario che si va discostando dal dettato costituzionale che lo vuole volto a riportare nel contesto sociale chi vi incorre.