Il profitto della droga non si trae solo dal mercato illegale, ma anche dal suo uso legale in ambito politico. La droga viene usata come merce ideologica nel mercato elettorale. Posizionamenti politici semplici che ignorano ogni evidenza scientifica fanno presa sulle ansie e sulle paure delle persone. Si individuano facili capri espiatori, additati come i colpevoli della situazione, utili parafulmini per calamitare rabbie specifiche e aggressività sedimentate.
Abilissimo in operazioni di questo tipo il Ministro degli interni, e il suo ufficio per la propaganda, stanno però raschiando il fondo del barile nell’inventarsi specchietti per le allodole.
La questione dei cannabis shop rasenta il ridicolo. La canapa che in questi negozi viene venduta contiene dallo 0,2 allo 0,6 di principio attivo (Thc). Procura unicamente un effetto “placebo”, utile a coloro che vogliono smettere o ridurre il consumo, e assolutamente innocuo per coloro che pensano di “darsi un tono” agli occhi propri e altrui con un comportamento trasgressivo ma legale, evitando di entrare in contatto con il giro dei pushers e delle sostanze più pericolose.
I pochi studi di valutazione disponibili sembrano indicare che i cannabis shops svolgono un ruolo in direzione contraria a quello sbandierato dal ministro Salvini: non incentivano l’uso di droga, non facilitano il passaggio a un comportamento illecito, ma contribuiscono a limitare il richiamo del mercato illegale di cannabis, soprattutto giovanile e “in ingresso” per quanto riguarda i comportamenti di consumo. Chiudere i cannabis shop è pertanto un favore agli spacciatori che tanto si dice di volere contrastare con l’aumento delle pene per chi vende “al minuto” e con la derubricazione dell’attenuante della eventuale “lieve entità” della sostanza spacciata.
Nella crociata contro i cannabis shop (“li chiuderemo uno a uno”, è la parola d’ordine che chiama a una mobilitazione collettiva), invece dei dati di realtà e degli studi di valutazione vengono tenuti in massima considerazione i sondaggi d’opinione, che sembrano premiare chi “spaccia”, tra la popolazione, l’illusione di risolvere il problema droga. Sorge il dubbio che ciò che preoccupa, più il segretario della Lega che non il ministro, sia in realtà il successo testimoniato dal “boom” dei negozi di cannabis shop che, pur vendendo canapa senza alcun effetto psicoattivo, offrono chiari indizi di quanto potrebbe risultare efficace un provvedimento di legalizzazione della cannabis nel sottrarre ingenti risorse al narcotraffico, nel limitare la liquidità di denaro illegale che penetra e inquina l’economia del Paese, e tutelare maggiormente sia la salute dei consumatori che dei non consumatori.
È ormai risaputo in ambito preventivo che più che reprimere i comportamenti sbagliati, è più efficace promuovere stili di vita più salutari. Una cosa non esclude l’altra, ma senza un’adeguata offerta di opportunità, la sola “dissuasione” non è sufficiente per l’assunzione di scelte equilibrate e comportamenti responsabili. Se si avessero veramente a cuore i problemi della gioventù, una formidabile azione preventiva sarebbe costituita da un serio piano per l’occupazione giovanile. Pur senza un nesso evidente con la questione droga, in realtà l’integrazione al lavoro di tanti giovani che hanno terminato gli studi, ma anche di coloro che li hanno abbandonati, avrebbe l’effetto di una straordinaria iniezione di benessere. Restituendo dignità, autonomia, e prospettiva di futuro a migliaia e migliaia di giovani, si sottrarrebbe ampio terreno al consumo di droghe. Se i giovani potessero disporre di opportunità di coinvolgimento e di impegno, esercitando un proprio sano protagonismo, si contribuirebbe in maniera significativa alla costruzione di identità più sicure, che avrebbero meno bisogno di ricorrere a un certo tipo di compensazioni ed evasioni diversive.
Ma non si ascolta nessuno. Sono trascorsi 10 anni senza che sia stato rispettato da parte del Governo l’obbligo di legge di convocare la Conferenza nazionale sulla droga (prevista ogni tre anni). Da altrettanti anni non c’è più uno straccio di Comitato scientifico e Consulta di esperti (anch’essi previsti per legge) che accompagnino l’attività del Dipartimento antidroga, che è stato voluto alla diretta dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nel frattempo, nell’indifferenza della politica e nell’attacco alla spesa pubblica, i servizi sanitari e sociali sono stati depotenziati, e, con essi, la tutela dei diritti delle persone più in difficoltà. I Ser.d (servizi per le dipendenze) dispongono di un numero sempre decrescente di operatori; alcune comunità terapeutiche sono state costrette a chiudere.
È evidente, rispetto ai cannabis shops, come non sono la causa delle dipendenze giovanili, nemmeno la loro chiusura ne è la soluzione.