La stagione dei sindaci-sceriffo non tramonta mai e anzi si rinnova di continuo da oltre un decennio. A volte riscoprendo un vecchio amore: le zone rosse.
A Calolziocorte, in provincia di Lecco, il consiglio comunale a guida leghista ha approvato un regolamento che istituisce zone rosse e zone blu pensate per tenere lontano certe persone – in questo caso cittadini stranieri ospiti di un eventuale centro di accoglienza per profughi – dal resto della popolazione. Le zone rosse sono state tracciate attorno a luoghi definiti “sensibili” – 150 metri da stazione e scuole – precluse a eventuali centri di accoglienza; nelle zone blu, che circondano oratori e biblioteche, l’accoglienza è possibile solo dopo apposito nulla osta. Lo spirito del regolamento è chiaro: separare i profughi dagli altri, tenerli lontani dai luoghi di aggregazione, insinuare nella gente l’idea che la presenza di quelle persone sia una minaccia. Il tutto a costo di creare in città, anche in un piccolo centro come Calolziocorte (tredicimila abitanti), muri mentali e zone ad accesso differenziato, dove la libertà di movimento e l’eguaglianza fra le persone non sono più realtà. La Costituzione e le sue regole di civiltà e di convivenza si combattono anche così.
Dalla Lega, intesa come partito, a Laura Lega, intesa come prefetta di Firenze, il quadro è simile. La prefetta, con un’ordinanza volta a «garantire la massima sicurezza e la piena fruibilità delle aree urbane per il benessere della città», ha disposto il divieto d’accesso a 17 fra strade, piazze, giardini, parchi (incluse aree enormi come le Cascine, la Fortezza da Basso, la zona della stazione Santa Maria Novella) per chiunque sia stato denunciato dalle forze di polizia (denunciato, non condannato) per spaccio, reati contro la persona, danneggiamento, commercio abusivo. La prefetta ha messo in pratica il cosiddetto “Daspo urbano” previsto dalla legge Minniti e così Firenze avrà una zona rossa a macchia di leopardo interdetta, sostanzialmente, a chi sia identificabile a prima vista come noto spacciatore ma anche a mendicanti, ambulanti e probabilmente anche a quei mimi che nel centro di Firenze si mettono in posa, mascherati e colorati come statue, per poi chiedere una moneta ai passanti.
L’ordinanza promette insomma di scacciare e mandare altrove – verso le periferie, probabilmente – varie categorie di indesiderati. La città quindi si spezzetta, con diversi registri amministrativi (il centro storico è già disciplinato da numerosi divieti), a protezione dei cittadini “perbene” (quelli “permale” devono stare ai margini) e degli affari legati all’asfissiante turismo fiorentino.
Oltre dieci anni fa Firenze guidò la svolta verso destra degli amministratori di centrosinistra in materia di sicurezza urbana, con la non dimenticata ordinanza contro i lavavetri, un atto di enorme valore simbolico e politico. Fu in quel momento che il centrosinistra superò ogni esitazione e decise di mettersi in competizione con la Lega (non la prefetta) e la destra-destra sul terreno preferito da quest’ultima. L’ossessione per la sicurezza, lo strapotere degli imprenditori politici della paura, l’astio dilagante per lo straniero e per l’altro hanno avuto da allora un’escalation continua nella società, oltre che in politica.
Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, ha rivendicato l’ordinanza Lega (stavolta la prefetta) con argomenti che ricordano quelli sempre usati dai poteri autoritari per giustificare misure repressive e liberticide: prima una goffa excusatio non petita («non è un provvedimento che lede la libertà di movimento», ha detto il sindaco), poi un messaggio ripreso dai regimi polizieschi: «L’ordinanza non colpisce i cittadini onesti».
La notte della cultura democratica, liberale e progressista non è ancora conclusa.