Come cittadino, come storico del nazismo e soprattutto come triestino sono rimasto sconcertato, amareggiato e disgustato dalle dichiarazioni del Presidente Mattarella sulla questione delle foibe.
Avevo otto anni quando i partigiani di Tito, il 1 maggio del 1945, proprio sotto casa mia fermarono la loro avanzata per non esporsi al tiro della guarnigione tedesca, asseragliata nel Castello di San Giusto. Erano scesi dall’altipiano del Carso in due colonne, una si era diretta all’edificio del Tribunale dove i tedeschi avevano installato il Comando e l’altra al Castello di San Giusto, dove il vescovo Santin svolgeva il ruolo di mediatore tirando le trattative per le lunghe in modo da dare il tempo ai neozelandesi, avanguardia dell’esercito alleato, di arrivare ed evitare in tal modo che la resa venisse consegnata nelle sole mani dell’esercito di liberazione yugoslavo. Così la guarnigione tedesca si arrese il 2 maggio, presenti anche gli anglo-americani, giunti a marce forzate dalla litoranea. Ma sul Carso, a vista d’occhio dalla città, si combatteva ancora. La cosiddetta “battaglia di Opicina” è costata molti morti, in gran maggioranza tedeschi, e si sarebbe conclusa solo il 3 maggio.
Secondo certe ricostruzioni (Leone Veronese, 1945. La battaglia di Opicina, Luglio Editore, 2015) i primi a essere gettati nelle cavità carsiche furono soldati dell’esercito tedesco, fucilati dopo la resa. La versione secondo cui gli infoibati sarebbero stati in maggioranza cittadini inermi che avevano il solo torto di essere italiani è falsa. La grande maggioranza di quelli che poi furono gettati nelle foibe erano membri dell’apparato repressivo nazifascista, in mezzo ci saranno state anche persone che non avevano commesso particolari crudeltà ma c’erano anche quelli che avevano torturato o scortato i treni che portavano ebrei e combattenti antifascisti nei campi di sterminio. Così come non regge la versione che vorrebbe la città di Trieste sottoposta a una dittatura sanguinaria durante i 40 giorni dell’occupazione yugoslava. Se non altro per la presenza delle truppe anglo-americane.
Peggiori delle false ricostruzioni sono le amnesie. Infatti si dimentica (o si ignora) che l’apparato repressivo nazifascista a Trieste non era di ordinaria amministrazione, aveva un suo carattere di eccezionalità perché ne facevano parte personaggi che hanno avuto un ruolo centrale nella politica di sterminio di Hitler. Christian Wirth era uno di questi. Si legga il curriculum terrificante di questo individuo su Wikipedia: responsabile del programma di eutanasia, prelevava le vittime dalle prigioni, dagli ospedali psichiatrici, tra gli zingari. Comandante del lager di Belzec, riorganizzatore di quello di Treblinka, di Sobibor, fu il primo a usare il monossido di carbonio per gasare i deportati. Arriva a Trieste nel 1943. Un anno dopo i partigiani lo individuano e lo uccidono (non è vero, come scrive Wikipedia, che fu ucciso in combattimento presso Fiume, il suo certificato di morte è apparso in rete non più tardi del 2017, dice: von Banditen erschossen, morto in un agguato organizzato dai partigiani mentre passava su una macchina scoperta, nei pressi di Erpelle (Hrpelje) a pochi chilometri da Trieste). Ma ce n’erano altri di personaggi dalla pasta criminale analoga a Wirth, che si erano fatti i galloni nei peggiori Lager del Reich e venivano a Trieste dove gente importante li accoglieva a braccia aperte e dove trovavano anche il modo di non perdere certe abitudini, visto che a portata di mano avevano la Risiera di San Sabba, un forno crematorio che la mia città ha avuto la vergogna di ospitare. Proprio a Opicina la salma di Wirth ricevette gli onori militari.
Trieste e zone circostanti, assurte a provincia del Reich, erano diventate un ricettacolo di criminali di guerra, l’angolo di un continente dove la risacca della storia aveva deposto i suoi rifiuti più immondi. I partigiani di Tito hanno liberato l’umanità da alcuni di questi individui, hanno spento quel forno crematorio. Dovremmo essere loro grati per questo, pensando quale tributo di sangue è stato da essi versato per compiere quella missione. Ora però vengono ricordati come un’orda di barbari assetati di sangue, non di sangue nemico, no, di sangue di povera gente inerme che non aveva alzato un dito contro di loro.
Ciò che accadde in quelle tragiche giornate di aprile/maggio 1945 impedì alla memoria storica di mettersi subito al lavoro. Quello che sarebbe stato l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia si costituì senza i comunisti. Enzo Collotti diede un contributo fondamentale all’impostazione della ricerca e l’Istituto divenne uno dei luoghi dove cominciai a capire in che razza d’inferno ero cresciuto. Il primo periodo d’attività fu dedicato a “mettere in sicurezza”, come si dice in termine aziendale, la storia dei movimenti di liberazione nella regione, storia tormentata e perciò fonte di drammatiche divisioni (un esempio per tutti l’eccidio di Porzus, ripreso anche nell’ampia pubblicazione, Atlante storico della lotta di liberazione nel Friuli Venezia Giulia. Una resistenza di confine 1943-1945, 2005). Tra tutti gli Istituti della Resistenza italiani quello di Trieste fu l’unico dove la presenza comunista o fu assente o svolse un ruolo decisamente secondario. Del resto il comunismo è finito ormai da 30 anni e i suoi seguaci di allora sono in genere i più accaniti nell’infierire sul suo cadavere, ma a leggere certe vaneggianti uscite di quotidiani come “Il Giornale” o “Libero Quotidiano” nel Giorno della Memoria sembra che orde di “trinariciuti” riescano ancora a dettare legge in Italia.
Negli Anni ’90 la dissoluzione dell’ex Yugoslavia ha investito in pieno il senso d’identità nazionale di croati, sloveni, serbi, macedoni; i nazionalismi hanno fatto a pezzi l’esperienza socialista, la guerra di liberazione non è stata più l’epopea fondativa dello Stato federale, l’immagine di Tito è stata strappata dal piedestallo e se si voleva trovare gente che gettava fango sulla sua figura e sul suo ruolo la si trovava soprattutto tra i suoi compatrioti. L’orrore di quella guerra degli anni Novanta, che così bene Paolo Rumiz ha decodificato nei suoi meccanismi oscuri, ha cancellato ogni traccia di orgoglio per l’eroica ribellione alla dittatura nazifascista. Le falsità, le deformazioni, le mistificazioni che oggi dilagano avrebbero potuto diventare communis opinio in quel contesto, invece gli storici triestini legati all’Istituto colsero l’occasione dell’apertura di certi archivi per intensificare la ricerca della verità.
Perché questo va detto con forza: le ispezioni nelle cavità carsiche, le esumazioni, le ricerche per dare un nome ai morti, il recupero e l’attento esame dei registri, di qualunque documento in grado di fare luce sulle circostanze, sulle vittime e sui carnefici, tutto questo lavoro ingrato e difficile fu opera di storici che si riconoscevano pienamente nei valori della Resistenza posti alla base della nostra Costituzione, come Roberto Spazzali, Raoul Pupo e molti altri. Sono loro che hanno dimostrato rispetto per gli infoibati, che hanno contestualizzato quegli avvenimenti, mentre alla canea revanscista e neofascista il destino di quei morti non interessava per nulla, era solo pretesto, strumento, per aggredire gli avversari politici di turno e oggi per fare pura e semplice apologia del fascismo. Come mai nel Giorno della Memoria un Presidente della Repubblica invece di rivolgersi ai primi per impostare un discorso con un minimo di rigore storico si rivolge ai secondi?
Chi era Christian Wirth
Si legga anche la seguente documentazione (da Angelo Del Boca, Italiani brava gente)
Seguo e apprezzo da anni il lavoro di Sergio Bologna, sia come storico che come analista e critico di temi come portualità, gigantismo navale, ma anche lavoro precario e autonomo di terza generazione.
Per queste ragioni sono molto perplesso per la chiusa finale di questo intervento, dove viene detto che “tutto questo lavoro ingrato e difficile fu opera di storici che si riconoscevano pienamente nei valori della Resistenza posti alla base della nostra Costituzione, come Roberto Spazzali, Raoul Pupo e altri”.
Negli altri andrebbero citati, più dei primi, intanto i loro predecessori all’Irsml di Trieste, Galliano Fogar e Giovanni Miccoli, e poi gli storici come Claudia Cernigoi e Sandi Volk ai quali va il merito di aver continuato le ricerche dei primi, proprio sporcandosi le mani con quel “lavoro ingrato e difficile”, dimostrando, ad esempio, che ogni 10 febbraio a Basovizza si svolgono celebrazioni in un sito dove con ogni probabilità nessuno venne “infoibato” perché italiano. Per questo lavoro questi storici sono stati bollati col termine di “negazionisti” dagli stessi Spazzali e Pupo, nel loro “Foibe” il libricino che fece da stampella storica nel dibattito sull’istituzione del “Giorno del ricordo”, informando le tesi del duo Violante-Menia (PD-AN) dal quale ha origine lo schifo a cui siamo sottoposti oggi, quando Salvini porta a compimento quel disegno con l’equazione aberrante FOIBE=SHOAH e Tajani rispolvera l’armamentario colonialista italiano nei Balcani.
Credo sia utile al riguardo leggere con attenzione, anche nelle sue derivazioni, questo lavoro del collettivo Nicoletta Bourbaki, mai confutato dagli interessati e in seguito al quale Spazzali diede le dimissioni da direttore dello stesso Irsml https://www.wumingfoundation.com/giap/2016/02/se-questo-e-un-direttore-di-istituto-storico-della-resistenza-roberto-spazzali-e-i-guasti-dellideologia-da-giornodelricordo/
Bisognerebbe inoltre chiedere conto a Raoul Pupo delle ragioni per le quali la sua tattica da anni è quella di “aggiustare” le sue tesi a seconda dell’interlocutore di turno, come si accenna qui https://twitter.com/monster_chonja/status/1096897081736921088
Sottolineo queste cose perché il rischio altrimenti è quello di criticare il revisionismo storiografico di destra, utilizzando gli stessi strumenti che lo hanno, di fatto, alimentato. E purtroppo il lavoro di Pupo e Spazzali è stato funzionale proprio a questo.
Il commentatore precedente segnala fra gli “storici” da citare Claudia Cernigoi. Sarà bene informarlo di alcune “perle” di questa storica, in modo che i lettori possano giudicarne la serietà. Ne citiamo solo due, fra la massa enorme, ma eventualmente si potrà agevolmente continuare. La prima perla è la seguente. In un suo dossier del 2011 (http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/01/CasoNormaCossetto.pdf) ella ipotizza che Norma Cossetto (il cui corpo venne recuperato da una foiba) sia in realtà stata uccisa dai nazifascisti. Sulla base di che? Di nulla. E contrariamente a tutte le fonti documentali o testimoniali note. La dseconda perla è la seguente. In un articolo del 2013 (http://www.diecifebbraio.info/2013/09/in-odium-fidei-il-martirio-di-don-bonifacio/) Claudia Cernigoi si lancia in un’altra arditissima ipotesi: secondo lei è possibile che don Francesco Bonifacio (sparito nel nulla dopo esser stato prelevato da un gruppo di partigiani jugoslavi e beatificato dalla Chiesa cattolica “in odium fidei”) “si sia allontanato volontariamente e sia andato a vivere altrove con un’altra identità: ipotesi che tendiamo ad escludere dopo avere letto parti del suo diario, da cui esce una figura di religioso coerente. Ma potrebbe essere stato colto da amnesia ed essere andato da tutt’altra parte”. Sulla base di che? Di nulla. E contrariamente a tutte le fonti documentali o testimoniali note. Per non dire del suo libro “Operazione foibe a Trieste”, che contiene una serie notevolissima di perle, ipotesi ardite od omissioni gravissime per chiunque faccia lo storico. Omissioni gravissime anche per una come la Cernigoi, che non ha mai studiato storia, non è laureata in nessuna materia e di mestiere non fa la storica.