Le buone ragioni per la legalizzazione della cannabis

image_pdfimage_print

Le buone ragioni a sostegno della legalizzazione della cannabis faticano a trovare spazi di dibattito. Chi espone tesi a favore viene etichettato come propugnatore del consumo di droga. Non si ascoltano le proposte e si evita il confronto di merito sui contenuti. Se si “osa” indicare strade diverse dal divieto penale e dalla criminalizzazione del consumo si è subito investiti da un giudizio morale e indicati come un pericolo per la gioventù: incoscienti che non si rendono conto delle conseguenze deleterie delle proprie posizioni; egoisti, consumatori essi stessi, che tirano l’acqua al loro mulino; un furbastri che strizzano l’occhiolino ai giovani con l’intento di cercare popolarità tra le nuove generazioni.

Si fomenta così un clima culturale che ignora i dati di realtà, le ricerche e l’evidenza scientifica delle stesse sperimentazioni in atto in altri paesi. Gli studi sottolineano tre ragioni a sostegno della legalizzazione della cannabis, non solo a scopo terapeutico ma anche per uso ricreativo: ragioni di contrasto alla criminalità e di giustizia economica, ragioni di salute e di sanità pubblica, ragioni educative e di rispetto della legalità.

Delle prime è presto detto: rendere legale il consumo di cannabis non stroncherebbe il mercato nero del settore (persiste ancora oggi il contrabbando di sigarette), ma assesterebbe un duro colpo alle organizzazioni criminali che lucrano sulla coltivazione illegale e sull’importazione e lo smercio clandestino di hashish e marijuana, che costituiscono da soli circa l’80 per cento dell’intero mercato della droga. Vorrebbe dire, secondo le stime di Saviano,«sottrarre alle organizzazioni criminali tra gli 8 e gli 11 miliardi di euro l’anno», una liquidità che fornisce i capitali da investire nell’economia legale, sbaragliando ogni concorrenza e corrompendo amministratori e politici. Con la legalizzazione, sul piano economico si otterrebbero inoltre alcuni benefici secondari: un sensibile risparmio di costi per le Forze dell’Ordine e per il sistema penale, un possibile utile per l’erario tramite le entrate fiscali (anche se è prudente non pensare alla legalizzazione come a una nuova “tassa” che si ripercuote sul prezzo di acquisto, giacché, per spostare il consumo dal mercato illegale a quello legale, questo dovrebbe mantenersi basso, per competere, almeno inizialmente, con le strategie delle organizzazioni criminali).

Le ragioni di salute sono in apparenza meno evidenti e meno immediate da comprendere, ma altrettanto significative. Prima che il governo canadese desse luogo alla legalizzazione della cannabis fu interpellato il più autorevole istituto scientifico nazionale, il Centro per l’addiction e la salute mentale (CAMH), che nel 2014 pubblicò un documento in cui si sostiene che, come modello di salute pubblica, la legalizzazione si mostra di gran lunga più efficace sia del proibizionismo che della mera decriminalizzazione del consumo: quest’ultima definita una “mezza misura” in quanto non contrasta la produzione e il commercio illegale, non fornisce allo Stato strumenti di controllo del prodotto, non mira specificatamente alla maggiore protezione della salute dal consumo di cannabis.

A tal proposito il documento evidenzia i tre maggiori rischi per la salute: gli incidenti stradali causati dalla guida sotto l’effetto di cannabis, in particolare se associato al consumo di alcol; i carcinomi al polmone causati dalla via di assunzione (il fumo); la vulnerabilità minorile e giovanile, rispetto a cui si dispone oggi di un robusto e crescente corpo di evidenze che dimostrano come il consumo regolare di cannabis possa danneggiare lo sviluppo cerebrale («I danni cronici per la salute riguardano soprattutto i consumatori a più alto rischio, che usano la cannabis frequentemente e/o che hanno iniziato ad usarla in età precoce»). Il documento conclude che «i rischi per salute risultano relativamente modesti» e che per la tutela della sanità pubblica il modello di legalizzazione risulta il più efficace se ottiene il rispetto di alcune regole certe: il divieto di acquisto e consumo da parte dei minorenni con relative sanzioni per coloro che trasgrediscono; la proibizione di qualsiasi pubblicità dei prodotti in vendita; la trasparenza informativa rispetto alla qualità dei prodotti che devono essere testati rispetto ai vari livelli di THC e CBD contenuti; interventi restrittivi per evitare la guida sotto l’effetto di cannabis; l’aumento delle opportunità di accesso al counselling e alla presa in carico precoce per le situazioni che lo richiedono; l’investimento in interventi di promozione alla salute e nella riduzione dei rischi e dei danni relativi a determinati stili di consumo e di vita.

L’obiezione che con più insistenza viene rivolta alla legalizzazione riguarda il timore dell’estensione del consumo, che convoglia l’ansia di molte famiglie intorno all’idea che il venir meno di un divieto di legge possa sottrarre forza all’autorità genitoriale nel tentare di convincere i figli ad astenersi dall’uso. La risposta più convincente viene dall’ormai quarantennale esperienza olandese, in attesa di una conferma/disconferma dalle attuali sperimentazioni in corso (Uruguay, alcuni States nord-americani, a cui si è aggiunta recentemente la California…), avviate da ancor troppo poco tempo per poterne trarre indicazioni affidabili. L’esperienza dei coffee-shop, valutata a più riprese, non ha comportato, sul medio periodo, nessun incremento della diffusione del consumo, se confrontato con altri paesi in regime di proibizione. Con un’eccezione a favore: paragonando tutte le fasce di età coinvolte nel consumo, in Olanda l’uso adolescenziale è risultato inferiore e l’età media di iniziazione alzata a 20 anni, contro i 16 anni e tre mesi degli Usa. Inoltre è stato evidenziato che «i giovani consumatori di cannabis olandesi hanno meno probabilità di iniziare un consumo di cocaina rispetto ai consumatori di cannabis più anziani». La spiegazione viene individuata nella sottrazione della cannabis al mercato illegale e nel venir meno della contiguità dell’offerta. Che il divieto per legge e le sanzioni previste per i trasgressori (tra cui la più temuta è la sospensione della patente di guida) siano misure di per sé inidonee a contenere il consumo è evidente, particolarmente in Italia dove 645.000 studenti su 2.580.000 fra i 15 e 19 anni hanno fatto uso di cannabis nell’ultimo anno (uno su quattro). Nonostante vengono fermate annualmente dalle Forze dell’ordine più di 30.000 persone, di cui l’80 per cento trovate in possesso di cannabis per uso personale, la dissuasione per via legislativa e sanzionatoria non porta a risultati significativi. L’“effetto deterrenza” non ha efficacia (solo tra il 5 per cento e il 10 per cento secondo gli studi di metanalisi), né sui consumatori abituali né su quelli occasionali, i quali non si sentono scoraggiati nel consumo e sviluppano, al contrario, una maggiore accortezza per non farsi scoprire nella loro abitudine.

I benefici della legalizzazione hanno una ricaduta anche sugli aspetti educativi: più specifici per quel che concerne la promozione alla salute, più generali per quanto riguarda il rispetto della legalità. Con la legalizzazione il divieto di consumo persiste limitatamente alla minore età, come avviene per alcol e tabacco che, insieme alla cannabis costituiscono la triade di sostanze di gran lunga più consumate. Il divieto di accesso alla cannabis, liberato da ogni percezione di ipocrisia perché definitivamente equiparato al regime delle sostanze psicoattive legali, consente di meglio evidenziare le buone ragioni che sostengono la scelta di non consumare. Gli obiettivi consistono nel procrastinare l’età di iniziazione limitando l’uso precoce, nel guadagnare tempo per consolidare la scelta di non-consumo, nell’intervenire sulla riduzione dei rischi e dei danni per chi ha scelto di usare la sostanza, nel prendere in carico con tempestività le situazioni più critiche meno portate a nascondersi per la riduzione dell’effetto di stigmatizzazione.

Anche l’educazione alla legalità trae un beneficio indiscusso dal venir meno della proibizione del consumo. Generazioni di giovani adulti possono desistere dalla logorante messa in scena del gioco a “guardie e ladri” ingaggiato con le Forze dell’Ordine su una problematica che ha bisogno di rispondere alla maturità individuale e alla responsabilità sociale piuttosto che a logiche giudiziarie. In questo modo si evita che il consumo trasgressivo di cannabis si trasformi, da ricerca di un qualche segno distintivo di identità in un meno gestibile movimento “contro”, di più diffusa ribellione giovanile, col risultato di radicalizzare e generalizzare un atteggiamento anti-istituzionale.

Maggiore sicurezza rispetto al prodotto consumato, separazione dell’approvvigionamento della cannabis dai mercati illegali della droga di strada, esclusione di conseguenze penali e amministrative per la violazione della proibizione del consumo, maggiori opportunità preventive e di cura, più controlli a protezione della sicurezza propria e altrui (sulla guida, nei luoghi di lavoro..), sottrazione di ingenti risorse alla criminalità organizzata… A fronte di questi benefici, il rischio di un aumento del consumo che esperienze condotte e ricerche in merito indicano come limitato sul breve periodo (effetto novità) e destinato a rientrare già alla media distanza. C’è un’evidenza sufficiente per essere favorevoli e ragionevolmente ottimisti.

Gli autori

Leopoldo Grosso

Leopoldo Grosso, psicologo e psicoterapeuta, è stato per molti anni coordinatore del settore Accoglienza del Gruppo Abele e fondatore dell’Università della strada. Tra i suoi libri più recenti: “La comunità terapeutica per persone tossicodipendenti” (con Maurizio Coletti, 2011), “Atlante delle dipendenze” (con Francesca Rascazzo, 2014), “Questione cannabis. Le ragioni della legalizzazione” (2018), tutti per le Edizioni Gruppo Abele.

Guarda gli altri post di: