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23/10/2018 di: redazione
C’erano una volta i senza tetto, altrimenti detti a seconda delle latitudini, con termini volta a volta affettuosi o spregiativi, clochards, barboni, homeless e via seguitando. Persone che, per scelta o assai più spesso per necessità, si aggirano trasportando le proprie cose in improbabili carrelli e dormono in cartoni segnati dalle intemperie o in vecchie coperte sotto i portici delle città, nelle stazioni, sotto i ponti o, quando la temperatura è più mite, sulle panchine di giardini e parchi pubblici. Un tempo erano pochi e guardati dai più con simpatia. Poi hanno cominciato a crescere e, con la crisi, sono diventati un esercito di disperati. Giovani e vecchi, donne e uomini, autoctoni e migranti, analfabeti e acculturati. Tutti segnati dalla vita, dalla povertà, dalle disgrazie. E sempre più messi ai margini delle nostre città.
Per anni, nella stagione della guerra alla povertà, istituzioni pubbliche e associazioni private si sono, in qualche modo, curate di loro. Con gli strumenti classici del welfare. Costruendo alternative (dai dormitori alle mense). Realizzando interventi di aiuto (cibi caldi, coperte per la notte e via elencando). Con esiti alterni e non senza ambiguità.
È la stagione descritta – nelle luci e nelle ombre – in una celebre poesia di Bertold Brecht:
«Ho sentito dire che a New York / all’angolo della 26a strada e di Broadway / nei mesi invernali ogni sera c’è un uomo / e ai senzatetto che si radunano / pregando i passanti procura un giaciglio per la notte. / Con questo il mondo non cambia, / le relazioni fra gli uomini non migliorano, / l’epoca dello sfruttamento non è per questo più vicina alla fine. / Ma a qualcuno non manca un giaciglio per la notte, / il vento viene tenuto lontano da loro per una notte, / la neve destinata a loro cade sopra la strada. / Non deporre il libro tu che leggi, uomo. / A qualcuno non manca un giaciglio per la notte, / il vento viene tenuto lontano da loro per una notte, / la neve destinata a loro cade sopra la strada. / Ma con questo il mondo non cambia, / le relazioni fra gli uomini per questo non migliorano, / l’epoca dello sfruttamento non è per questo più vicina alla fine».
Altri tempi. Oggi, nella stagione della “guerra ai poveri”, qualcuno resiste ma le politiche vincenti hanno sempre più come obiettivo quello di “allontanare” i senza tetto dalla vista, spingendoli verso un altrove indeterminato, purché lontano dagli occhi dei “cittadini per bene” (per non parlare dei turisti…). Accade qua e là nelle nostre città in forza di ordinanze emanate da sindaci di ogni colore. E accade in maniera sistematica negli Stati Uniti d’America dove – come scrive Elisabetta Grande (Guai ai poveri. La faccia triste dell’America, Edizioni Gruppo Abele, 2017) – «i poveri di strada, che a milioni invadono i centri urbani, sono quotidianamente presi di mira da un diritto penale crudele che li sanziona se dormono per strada, se vi si siedono, se vi lasciano i loro carrelli rigurgitanti di misere cose, se piantano una tenda sotto i ponti dell’autostrada o sulle rive di un fiume, se dormono di notte nei parchi pubblici o perfino nella propria macchina, se si stendono sulle panchine, se hanno con sé una coperta o fanno i loro bisogni fuori da toilettes convenzionali – per loro peraltro inaccessibili, perché quasi tutte ormai a pagamento – o se chiedono l’elemosina».
Una legislazione simile a quella degli Stati Uniti arriva ora anche in Europa, nell’Ungheria di Orban, dove i senza tetto sono i nuovi bersagli della repressione, dopo i migranti e gli oppositori politici.
Una legge approvata all’inizio di ottobre vieta, infatti, agli homeless di dormire nelle stazioni, sulle panchine, negli androni dei palazzi e simili, prevedendo nei loro confronti pesanti sanzioni. In particolare, se la polizia sorprende un senza tetto a dormire per strada gli ordina di andarsene. La mancata ottemperanza integra una infrazione punibile con una multa fino a 500 euro (che, ovviamente nessun senza tetto sarà in grado di pagare) o con l’obbligo di lavori di pubblica utilità (fino a 180 ore). Chi, poi, viene sorpreso per tre volte nell’arco di sei mesi a dormire per strada è punito con la pena del carcere, da uno a 60 giorni.
Il Governo ungherese minimizza, sostenendo che già esistono nel Paese strutture sufficienti a ospitare tutti i senza tetto e che altre ne saranno costruite, ma è facile prevedere che gli effetti della legge saranno devastanti, considerando che gli homeless in Ungheria sono decine di migliaia (tra i 30 e i 35.000 secondo i dati delle Nazioni Unite, oltre 50.000 secondo le stime di alcune ONG) e che solo la metà trova ospitalità (per definizione precaria) in strutture o alloggi messi a disposizione dalle istituzioni o da organizzazioni umanitarie. Sono, dunque, a rischio carcere, senza commissione di reati, migliaia e migliaia di uomini, donne, vecchi, spesso con disturbi psichiatrici o disabilità, autoctoni, migranti, rom etc.
Quella del Governo ungherese è una vera e propria crociata, mossa da ragioni ideologiche, contro poveri e marginati. Lo dimostra anche l’ostinazione con cui è stata perseguita. Già nel 2011, infatti, era stata estesa a tutto il Paese una disposizione, inizialmente prevista per la sola Budapest, che vietava di vivere in spazi pubblici prevedendo, in caso di violazione, multe fino a 650 dollari o il carcere. La dichiarazione di incostituzionalità della norma, effettuata dal Tribunale costituzionale nel novembre 2017, lungi dall’indurre la maggioranza politica a ritornare sui suoi passi l’ha spinta a modificare la Costituzione in modo da avere le mani libere…