La lenta eutanasia della stampa scritta

Volerelaluna.it

13/10/2018 di:

Il 58 per cento degli italiani non legge un solo libro nel corso di un anno solare. Si può immaginare come questa fotografia del popolo dei lettori si rifletta sulla stampa scritta che sta vivendo un’eclissi che potrebbe portare alla sua completa estinzione se non mirata alla sopravvivenza di un piccolo zoccolo duro di affezionati supporters.

Il piccolo continuo derby per la testata più venduta nel comparto dei quotidiani tra Repubblica e Corriere della Sera è da anni un gioco al ribasso. In particolare Repubblica vende circa un terzo del suo periodo più glorioso. Non si giova della riforma grafica né del cambio di direttore, pagando la completa dissociazione rispetto alle scelte dell’elettorato. Ha patito la campagna per silurare il sindaco di Roma Marino e, in questi mesi, la virulenta campagna stampa rispetto ai partiti della coalizione di Governo che pure registrano cumulativamente circa un 65 per cento di gradimento dell’elettorato negli ultimi sondaggi.

La crisi della stampa è un serpente che si morde la coda mentre il Movimento 5 Stelle reclama l’abolizione del discusso Ordine dei Giornalisti che appare, di suo, abbastanza impotente a tamponare l’effetto della crisi e soprattutto l’appropriazione della professione da parte di blogger o di improvvisati cronisti.

Né versano in un periodo migliore i periodici. Panorama (in vendita al gruppo Belpietro) e l’Espresso sono in uno stato di crisi pre-agonico e il loro ridotto formato è l’epitome della loro attuale condizione.

Meno informazione si tramuta in ridotta formazione per il cittadino. E sicuramente le fake news, il precariato e lo sfruttamento dei giornalisti, la penuria di mezzi editoriali, il persistente conflitto di interessi degli editori in circolazione, non aiutano la buona reputazione della stampa scritta agli occhi di un’opinione pubblica che ha individuato mezzi alternativi tramite l’online, le televisioni più o meno a pagamento.

Dunque il moderato bisogno di formazione viene soddisfatto altrove. Chi avrebbe mai potuto pronosticare centinaia di migliaia di utenti per siti come l’Huffington Post, Fan Page, Tiscali o Dagospia, scorciatoia alternative e gratuite, ripagate a sistema dai banner pubblicitari?

Ma c’è un altro elemento destabilizzante nella fruizione della lettura dei quotidiani e, più in generale, della stampa scritta e che s’intreccia con una nuova forma di dipendenza.

Uno studioso dei comportamenti statunitense – Kinnock – ha sondato le abitudini della classe media americana. Il suo soggetto tipo riceve nel corso di 24 ore ben 2836 impulsi dal proprio smartphone (mail, notifiche social network, messaggi whatsapp) e per 76 volte nell’arco di una giornata controlla le informazioni ricevute per un totale di quasi tre ore di utilizzo. Questa pratica favorisce il multitasking (compresi gli incidenti stradali) e sottrae tempo e interesse alla possibile ordinaria lettura. Il fenomeno sociologico illustrato nella ricerca è stato adottato dagli italiani e in particolare dagli adolescenti che giudicano la stampa scritta un ritrovato del passato millennio.

Quali ora allora le risorse per la possibile sopravvivenza? Gli approfondimenti, le inchieste, la rivalutazione di quel quid che altri strumenti di comunicazione non possono dare? Sembra una pretesa velleitaria, un wishful thinking.

Chi se la cava ancora dignitosamente è la stampa sportiva ribadendo l’atipicità tutta italiana della presenza sul mercato di tre quotidiani specializzati (di cui due in mano allo stesso editore).

La scorciatoia attuale per la sopravvivenza (ed è la stessa per la categoria dei giornalai) è l’abbinamento con i gadget: dalle figurine “veltroniane” ai dvd, persino ai teli da mare. Senza magari arrivare agli estremi di Libero (non nuovo a queste trovate) che propone in edicola al modico prezzo scontato di 43,50 euro “la pistola al peperoncino, il miglior strumento per l’autodifesa”. Una proposta ben in linea con il tema della sicurezza sciorinato da Salvini e dalla Lega, pur in assenza di dati concreti dato che le statistiche dimostrano come l’Italia sia una Paese più sicuro, anno dopo anno. Ma le statistiche contano poco rispetto alle percezioni indotte.