Chiudere i centri commerciali la domenica?

image_pdfimage_print

Grande dibattito ha suscitato nel Paese l’approdo in Commissione attività produttive della Camera di cinque disegni di legge per la revisione del decreto legge varato dal governo Monti nel gennaio del 2012, che aveva liberalizzato gli orari di apertura degli esercizi commerciali.

Tante le voci critiche che si sono levate contro questa proposta.

Il principale argomento avanzato da chi la critica è di natura economica. Si sostiene che l’imposizione per legge della chiusura festiva causerebbe un danno al profitto di quelle attività, con conseguenze negative anche sull’occupazione del settore.

In realtà, più di sei anni di sperimentazione sul campo ci restituiscono dati ormai consolidati che dimostrano inequivocabilmente quanto questa tesi sia infondata. Dal decreto Monti ad oggi, non si è registrato nel nostro Paese un incremento del fatturato delle catene di supermercati. In compenso, numerosi marchi della grande distribuzione hanno avviato processi di ristrutturazione aziendale che hanno portato a consistenti esuberi di personale. Del resto, la domanda dei consumatori non cresce con l’allungamento della fascia oraria di disponibilità dei prodotti, ma dipende da altre variabili, come il prezzo e la qualità delle merci poste in vendita. Il volume degli acquisti non è cresciuto, semplicemente è stato spalmato anche sul settimo giorno di apertura e negli orari serali e notturni dei supermercati aperti 24 ore. Se il fatturato, dunque, non cresce, aumentano, però, i costi di gestione dei punti vendita, a causa del maggiore costo di personale ed energia, necessari per garantire aperture così prolungate.

Da più parti si contesta l’opportunità di una imposizione per legge delle chiusure festive, che viene letta come un’ingerenza dello Stato a scapito della libertà di impresa, un’invasione di campo ai danni della concorrenza tra privati, che devono essere lasciati liberi di decidere in autonomia cosa convenga loro fare.

Non è così. Attualmente, se una catena decidesse unilateralmente di chiudere i festivi per contenere i costi di gestione, avrebbe un danno economico, dato dalla concorrenza degli esercizi che, rimanendo aperti, in quei giorni mangerebbero anche la sua fetta di mercato. Per questo, se si vuole invertire la rotta, è necessario un intervento del legislatore, perché la libera iniziativa dei singoli non è, nei fatti, un’opzione disponibile.

C’è chi sostiene che la vera battaglia da combattere sia quella per maggiorazioni salariali che compensino adeguatamente il disagio dei lavoratori, presupponendo che il lavoro festivo sia comunque sempre prestato su base volontaria.

L’argomento non tiene conto che, nel settore della grande distribuzione, il lavoro domenicale è quasi sempre nella totale disponibilità del datore di lavoro, che lo impone ai propri dipendenti unilateralmente, grazie a numerosi strumenti di legge che glielo consentono. Innanzitutto vi sono le norme che regolano il part-time, con l’introduzione delle clausole elastiche e flessibili, già a partire dal decreto legislativo 276 del 2003, che consentono ai datori di lavoro di prolungare e modificare unilateralmente la distribuzione settimanale dell’orario di lavoro. Gran parte dei turni della domenica è coperta da lavoratrici part-time, che in questo settore costituiscono una buona fetta della forza lavoro. È su questa platea di lavoratrici, soprattutto, che grava il peso di turnazioni imposte dalle aziende, che influiscono pesantemente sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. È, altresì, possibile per un supermercato ricorrere a lavoratori in somministrazione, assunti da agenzie per il lavoro di settimana in settimana per coprire i turni della sola domenica. Contratti giornalieri sono all’ordine del giorno nella grande distribuzione, soprattutto da quando il decreto Poletti ha eliminato l’obbligo di causale per giustificare le assunzioni a termine.

Se queste norme legittimano il datore di lavoro a imporre unilateralmente ai propri dipendenti la turnazione sulla domenica, non si può tacere dei comportamenti scorretti adottati da troppi padroni, facendo leva sul ricatto al quale sono sottoposti i dipendenti per effetto di norme che hanno significativamente modificato il diritto del lavoro, rendendo più fragili i lavoratori. L’introduzione nel 2003 del contratto a chiamata o del contratto a tutele crescenti nel 2015, con il Jobs Act, e la liberalizzazione dei contratti a termine ottenuta con il decreto Poletti nel 2012, che solo marginalmente è stato modificato dal cosiddetto decreto dignità varato dall’attuale governo, hanno avuto come effetto la creazione di un esercito di riserva di lavoratori senza tutele, costantemente sottoposti al ricatto della perdita del posto e per questo impossibilitati a far valere i propri diritti in costanza di rapporto di lavoro. Un lavoratore con il contratto in scadenza può davvero opporsi al datore di lavoro che lo vuole in turno ogni domenica? Può un dipendente rifiutare di prestare la propria attività lavorativa la settima domenica di fila, se sa che il massimo che potrà ricavare a titolo di risarcimento per un licenziamento illegittimo è una manciata di stipendi? E se è vero che la stragrande maggioranza dei contratti di lavoro intermittente non prevede l’indennità di disponibilità del lavoratore e, quindi, l’obbligo di risposta alla chiamata, non è difficile immaginare che chi rifiuta il turno della domenica non verrà più richiamato a lavorare.

Tutte le critiche che da più parti sono state mosse al disegno di legge non colgono un aspetto fondamentale della questione: il fatto che, ancora oggi, la domenica è il giorno di riposo per la maggior parte dei lavoratori ed è importante che il giorno libero sia lo stesso per tanti, perché quel giorno non serve solo a riposarsi, ma anche a godere degli affetti e della condivisione di esperienze ed emozioni con i propri cari, siano essi famigliari o amici.

A voler guardare la questione da un altro punto di vista, la chiusura festiva dei centri commerciali e dei supermercati non è solo utile a restituire questa dimensione del tempo libero a chi ci lavora. La restituirebbe alla società intera, perché poter fare la spesa anche la domenica finisce per tante, troppe persone per essere una condanna a trascorrere quella giornata trascinandosi con tutta la famiglia per i corridoi di un supermercato o per la galleria di un centro commerciale, perché è più comodo rimandare gli acquisti alla domenica, quando si ha più tempo, piuttosto che organizzarsi in settimana, incastrando la spesa tra l’uscita dal lavoro, il ritiro dei figli dall’attività sportiva e il rientro a casa. Ma, così facendo, si finisce per sacrificare quella giornata libera, trascorsa a sbrigare incombenze che ai più non regalano alcun piacere.

Vi sono, certo, anche altri settori nei quali i lavoratori sono costretti a prestare la propria attività lavorativa nei festivi. Va, tuttavia, operato un significativo distinguo tra servizi essenziali (ospedali, sicurezza, trasporti etc.) o servizi per il tempo libero (turismo, cultura, ristorazione etc.) e supermercato o centri commerciali.

Se dei primi non si può fare a meno, perché una loro sospensione metterebbe a rischio diritti fondamentali delle persone (salute, sicurezza, libera circolazione e così via) e se i secondi trovano la loro ragione d’essere nella domanda di intrattenimento durante il tempo libero delle persone, lo stesso non può dirsi rispetto a supermercati e centri commerciali, dei quali si può francamente fare a meno un giorno a settimana senza grossi disagi.

In tanti Paesi che spesso vengono considerati un esempio virtuoso, come la Germania, l’apertura di supermercati e centri commerciali nei festivi è regolamentata in modo decisamente più rigido. Non è detto che in quei Paesi la qualità della vita non sia migliore anche per questo. In ogni caso, ciò dimostra che un’inversione di rotta è possibile.

Gli autori

Valeria Gritti

Valeria Gritti ha conseguito il Master europeo in Scienze del Lavoro presso l'Università Statale di Milano. Dal dicembre del 2011 lavora presso l'Ufficio vertenze della Camera del Lavoro di Torino, dove, da qualche anno, si occupa anche di mobbing.

Guarda gli altri post di:

One Comment on “Chiudere i centri commerciali la domenica?”

  1. Grazie per questo articolo esaustivo.
    Proprio ieri ho dato le dimissioni, dopo sei anni e mezzo, dall’ultimo contratto a tempo indeterminato della mia vita.
    Ho scelto la famiglia, dopo sei anni di lavoro domenicale e festivo. Le mie uniche domeniche a casa? Le due delle settimane di ferie obbligatorie. Il resto delle ferie, dove lavoro (ancora venti giorni, poi la libertà), vengono scaricate a manciate di ore a discrezione del responsabile.

Comments are closed.