Droghe: rimpiangeremo Giovanardi?

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Si pensava che la “questione droga”, essendo rimasta fuori dal contratto di governo Lega-Cinque Stelle, non avrebbe segnato alcuna discontinuità da come era stata trattata dalle politiche precedenti: terreno di non belligeranza, di assoluta indifferenza istituzionale, problematica di secondo piano rispetto a temi percepiti come prioritari (i migranti, l’ordine pubblico e la sicurezza, la povertà e il reddito di cittadinanza, la riforma della legge Fornero, le tasse…).

Ci si preparava – come operatori, associazioni, consumatori – a un lungo sonno e alla ricerca del modo per risvegliare l’attenzione e riaccendere i riflettori intorno a un fenomeno che sta di nuovo riempiendo le carceri, che ha registrato l’aumento delle overdose, che non ha fermato la trasmissione delle malattie infettive, che presenta nuovi e molteplici aspetti da affrontare col mutare dell’offerta sul mercato illegale da parte del narcotraffico e col cambiamento della propensione e degli stili di consumo sul lato della domanda.

Invece la sorpresa: il 26 giugno, giornata tradizionalmente legata alla problematica della droga e data di scadenza per la trasmissione al Parlamento della Relazione annuale sullo stato dei consumi e le dipendenze, al posto della Relazione, ad oggi non ancora pervenuta e debito informativo inevaso, è giunta la notizia che il “Governo del cambiamento” nominava come referente politico del Dipartimento politiche antidroga (ruolo rimasto scoperto da più di sette anni per il compromesso sul nulla di fatto tra centrosinistra e centrodestra) nientemeno che Lorenzo Fontana. Amico personale di Salvini, già parlamentare europeo al suo fianco, e subito distintosi come ministro per la famiglia per le posizioni omofobe, Fontana non perde tempo a far conoscere il suo pensiero rilasciando le prime e immediate dichiarazioni: “tolleranza zero” e “lavori forzati”, successivamente corretti in “socialmente utili”, per i consumatori.

Al cospetto di un mondo intero che sta rivedendo le politiche sulle sostanze psicoattive, avendo finalmente preso atto del fallimento della “guerra alla droga”, portata avanti in modo improduttivo e dispendioso per decenni, si scopre che, pur fuori dal “contratto”, la questione droga (non meno di altre), è non solo a traino leghista, ma viene trattata come ulteriore filone aurifero di consenso elettorale, di nuovo cavalcando i temi della paura, dell’esagerazione e del moralismo, asfaltando ogni complessità, individuando “nemici” a destra e a manca, mirando non tanto sul narcotraffico, ma su consumatori, piccoli spacciatori. Da qui alla criminalizzazione (al pari delle ONG che operano in mare per i migranti) dei servizi e degli operatori che, in molte situazioni difficili, lavorano con buon senso col criterio della riduzione del danno, il passo non è solo breve, ma già ampiamente sperimentato dal lungo e buio periodo di Giovanardi.

Alle dichiarazioni sono subito succeduti i fatti.

Nonostante il periodo estivo in meno di due mesi, pur nel sostanziale vuoto di provvedimenti da parte del Governo, viene preparata la direttiva “Scuole sicure” del Ministero degli interni, che non si riferisce al controllo e alla manutenzione dei tanti edifici scolastici pericolanti e a rischio (rispetto ai quali il timore è giustificatamente cresciuto dopo il crollo del ponte Morandi) ma contempla lo stanziamento di due milioni e mezzo di euro per il contrasto dello spaccio davanti alle scuole. L’80 per cento dei fondi è devoluto alla videosorveglianza e all’assunzione di vigili urbani precari (o al pagamento degli straordinari per quelli già in funzione) per la sorveglianza e la segnalazione di episodi di compravendita. Il fondo è da suddividere tra le 10 grandi città più popolate in Italia. Torino, ormai scesa sotto i 900.000 abitanti risulta quarta, e beneficerà di non più 250.000 euro. Dei due milioni e mezzo stanziati solo il 10 per cento è fruibile per progetti educativi, di informazione e formazione rivolti a studenti e insegnanti, ma con un obiettivo molto ben definito: infatti devono essere preventivamente approvati dai Comitati provinciali per la sicurezza!

Ma l’iniziativa del ministro degli interni non si ferma qui: il “nemico” comprende anche l’utilizzo ludico della canapa industriale, la cannabis “light” che non possiede pressoché alcun principio di psicostimolazione, contenendo lo 0,2 di THC, ed è oggi venduta in alcuni appositi negozi. A fronte di un mercato illegale che propone cannabis con THC mediamente all’8 per cento, e con non poche produzioni clandestine (anche in Italia) che schizzano molto oltre il principio attivo contenuto, una circolare del ministero degli interni di fine luglio allerta tutte le Questure sul nuovo pericolo (!) invitandole a esercitare i controlli sui canapa shop. L’assist è fornito da un parere del Consiglio superiore della sanità che, in base a un principio di precauzione, non esclude una potenziale pericolosità della cannabis light. Si oppone la ministra della salute Giulia Grillo che, dopo il parere dell’ISS, chiede quello dell’Avvocatura di Stato e non rimette in discussione la vendita per l’uso ludico della canapa industriale (la cui produzione è tornata legale, per i suoi svariati scopi, dal dicembre 2016). La “questione droga” non è nel contratto di governo, ma è pienamente agita dai poteri che competono al Ministero degli interni. Il Dipartimento antidroga, per legge alle dipendenze dirette del presidente del Consiglio (il premier Conte), che dovrebbe coordinare l’attività dei vari ministeri in cui si suddivide la complessità della materia, non batte colpo.

Che fare? Altro che risvegliare le istituzioni dal lungo sonno sulla droga! Bisogna contenere il “Governo del cambiamento” dal riportarci alla war on drugs, che oggi solo Putin e Trump rilanciano a fronte della scelta di un numero crescente di Stati di più continenti nella direzione di sperimentazioni e strade alternative. L’Italia, il cui governo sta facendo l’occhiolino sia agli USA che alla Russia, si è subito allineata alla posizione, in questo caso comune, di Trump e Putin. Tutto ciò nella più competa indifferenza governativa di fronte agli obblighi legislativi che prevedono una Conferenza triennale sulla droga (orma dimenticata da più di nove anni) e nei confronti delle condizioni dei servizi di prevenzione e cura, il cui taglio progressivo di personale ne riduce la capacità di intervento, con conseguente diminuzione dell’utenza.

Sono oggi 130.000 le persone che si dichiarano dipendenti e chiedono un aiuto, all’interno di un mondo di consumatori che incontra le sostanze psicoattive con continuità stimato intorno a 6 milioni di persone e che porta qualcosa come 14 miliardi di euro l’anno nelle mani dei narcotrafficanti. Non è questa la priorità anziché la repressione dei consumatori di cannabis light?

Gli autori

Leopoldo Grosso

Leopoldo Grosso, psicologo e psicoterapeuta, è stato per molti anni coordinatore del settore Accoglienza del Gruppo Abele e fondatore dell’Università della strada. Tra i suoi libri più recenti: “La comunità terapeutica per persone tossicodipendenti” (con Maurizio Coletti, 2011), “Atlante delle dipendenze” (con Francesca Rascazzo, 2014), “Questione cannabis. Le ragioni della legalizzazione” (2018), tutti per le Edizioni Gruppo Abele.

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